Siamo alla possibile vigilia di una “tempesta perfetta”: da una parte i vecchi mercati basati sullo spaccio di strada sono partiti all’assalto con sostanze low-cost dall’altra, ci sono vendite on-line dove distributori e produttori piccoli e grandi tentano il “chilometro zero” con il consumatore: si ordina ed il tutto arriva a casa in un pacchetto anonimo. Semplice, economico, veloce, sicuro.

Ma le droghe sul mercato ci sono sempre state che,  c’è di nuovo? Tutto.

Questa è una rivoluzione paragonabile ai voli low cost, alla nascita della telefonia mobile o di internet. Chi non la vede è perché cerca di interpretare i fenomeni di oggi con gli occhi e l’esperienza di ieri. Ciò che c’è di nuovo è che esiste una sorta di “convergenza” di mercati legali ed illegali che spingono i consumi di sostanze psicoattive a scopo non terapeutico, utilizzando mezzi vecchi (presenza sul territorio) e nuovi. È il risultato dell’utilizzo della “convergenza multimediale” che vediamo in tutti i settori del commercio. Non dimentichiamo che quello delle sostanze psicoattive è un mercato.

Parlo di “sostanze psicoattive” e non di droghe perché le droghe (illecite) sono solo una parte minoritaria di questo mercato dove entrano una serie ampia di prodotti legali e illegali, ad esempio alcol e farmaci. Bere alcol in modalità binge, fino ad arrivare quasi al coma etilico, in un tempo breve e assumendone in quantità, non fa parte della nostra cultura. E’ un bisogno indotto da un mercato senza scrupoli che organizza anche eventi e promozioni creati apposta per questo. Normalmente chi beve binge non è un tossicodipendente, eppure  spesso usa anche altre sostanze. Se usa cannabis, cosa frequente nelle persone giovani, usa anche tabacco e, se beve binge, fuma cannabis e usa tabacco. E’, ovviamente, in una situazione a rischio ed aperta anche ad altri consumi, per esempio la cannabis sintetica, oppure farmaci psicoattivi: in questo c’è l’esempio della “convergenza” di interessi di mercati di cui parlavo.

Si creano clienti che, soprattutto, sono buoni consumatori, spesso assolutamente consapevoli ma, anche, non critici rispetto alle proprie scelte. Attraverso i nuovi media ricevono moltissime conferme rispetto ai consumi scelti. Camminano su un filo. L’importante è che lo facciano a lungo perché produce guadagli sterminati alle imprese legali, ed illegali. Se cadono dal filo (e va bene!) ci sono i Pronto Soccorso a rianimarli e se diventeranno tossicodipendenti cronici o malati psichiatrici la cronicità verrà gestita dai Servizi di Salute Mentale e Dipendenze o dalle carceri, che stanno diventando gli ospedali psichiatrici del futuro, vista la patologia che contengono. Solo a questo punto non saranno più di grande interesse per i mercati.

Molti farmaci, inoltre possono essere usati come sostanze psicoattive a scopo non terapeutico. Non sono solo quelli che molti si immaginano, per esempio i farmaci oppiacei: ce ne sono anche molti altri di uso più o meno comune. Poi c’è chi usa farmaci prescritti che danno dipendenza e non riesce a farne a meno, così continua a consumarli per periodi indefiniti. Il tutto crea un mercato che probabilmente è più grande di quello delle droghe illecite ma di cui non si parla mai e che non viene sondato per non creare danno al mercato stesso. Ma il mercato clandestino vede con interesse questi prodotti. Molte, Nuove Sostanze Psicoattive (NPS), sono, di fatto farmaci, derivati da farmaci o farmaci mai entrati in produzione: come tali che vengono anche prodotti clandestinamente e immessi sul mercato. Ci sono Nuove Sostanze Psicoattive in grado di agire con azioni multimodali, in pratica è come se si assumessero più sostanze contemporaneamente. Solo alcuni farmaci di recentissima produzione riescono a fare altrettanto. Per chi ama seguire la tendenza del “poliabuso”, si tratta di una proposta interessante ed efficace.

Anche se dall’esperienza  possiamo trarre indicazioni come, per esempio, essere più presenti in strada, nei luoghi dove lo spaccio non è virtuale perché la presenza deve essere reale, non simbolica e bisogna avere risorse per poterlo fare, non si possono leggere i fenomeni di oggi con gli occhi, l’esperienza e le chiavi interpretative di ieri. Ma non è facile evolversi con l’evoluzione dei tempi  a livello politico, ad esempio quando si parla del tema si ritorna ancora ai dibattiti alla Marco Pannella sulla legalizzazione della cannabis. O si è pro o si è contro e da lì non ci si schioda. Si cerca di far credere che una legge piuttosto che un’altra possa risolvere la questione ma la realtà è che ne può cambiare solo i contorni. A livello dei sistemi socio-sanitari, invece, ci si arrocca sempre più sulla gestione della cronicità. Non per nulla i Servizi Dipendenze diventano sempre più parte di una assistenza Psichiatrica, non certo orientata, suo malgrado, alla prevenzione. Insomma, il problema si allarga ed il campo di azione si restringe per “ripulire” il campo dai “caduti”. Il sistema di intervento e la concettualizzazione della sua azione rimane figlio di “guerre alla droga” che, ormai, nemmeno ci sono più e di un sistema di “controllo sociale” che, oggi, rispetto al problema, lascia il tempo che trova. Nemmeno si dice, ad esempio, che i controlli stradali, sui lavoratori con mansioni particolarmente delicate, per il rilascio del porto d’armi, per le persone sottoposte a restrizione della libertà personale ecc. controllano solo pochissime sostanze e, paradossalmente, finiscono per spingerne l’uso di altre, che gli esami fatti non rivelano. Addirittura nei Pronto Soccorso si rilevano in caso di urgenza solo alcune sostanze. Si tratta di determinazioni appropriate per gli anni ’70, non per i giorni nostri. Ci sono limiti tecnici ma, soprattutto, di poca conoscenza dei fenomeni, di scarsa apertura mentale.

Personalmente però credo ci sia margine di azione per cambiare le cose: siamo messi sotto scacco soprattutto dalla convergenza di interessi di commercianti senza scrupoli e dalla nostra generale ignoranza non da mostri invincibili venuti da altri mondi.  E’ vero che parliamo di mercati che hanno una capacità economica e corruttiva enorme che può essere reinvestita per aumentare i consumi ma è anche vero che ci possono essere strumenti potenti per contrastarli. Dobbiamo avere il coraggio di ripensare a tutta le questione, analizzarla nuovamente, da diversi punti di vista, riportarla al centro del dibattito e trovare nuove soluzioni e strategie, prima che sia troppo tardi.

Per esempio potremmo:

– rimodulare trasversalmente gli attuali sistemi sociosanitari per dare attenzione a questi problemi preventivamente, un po’ come si fa per le malattie cardiovascolari o per il cancro, dove l’attenzione è diffusa e non limitata  ai Servizi di cura specializzati;

– parlare alla popolazione dell’uso delle sostanze psicoattive a scopo non terapeutico, in modo diretto, concreto ed esperto, senza girare intorno al problema ma anche senza inquadrarlo come una volta si inquadrava il tema “guerra alla droga”

– lavorare molto nella interazione con le persone, rendendole capaci di essere non solo consapevoli ma anche critiche rispetto ai loro consumi

– utilizzare accortamente e costantemente i mezzi social di interazione non solo per informare ma anche per creare contatti tra le persone e svelare il gioco sporco e le fake news che continuamene cerca di rivestire di effetti benefici l’utilizzo di sostanze psicoattive a scopo non terapeutico

– organizzare e gestire reti territoriali coerenti con le esigenze, tarate in modo dinamico per la corretta risposta ai bisogni del territorio di riferimento, orientate per prevenire la cronicità prima che a gestirla, visto che nessuno nasce cronico, in questo ambito

– ricordare sempre che in questo campo l’offerta (di prevenzione, di intervento precoce o di cura) non genera necessariamente domanda ma la conoscenza si; se non ricordate alcuna campagna di informazione che presenti positivamente l’azione di Servizi di cura … è perché non ce ne sono mai state

– darsi strumenti di studio, ricerca, programmazione, di rilevazione dei fenomeni, e di organizzazione della risposta di rete forti, competenti e dotati di risorse adeguate che guardano al presente ed al futuro, non al passato

– elaborare strategie politiche che definiscano obiettivi precisi, i modi, i tempi e gli investimenti per raggiungerli

Ma tutto questo non basta: nel passaggio tra la localistica società post-industriale e la società globalizzata ed interconnessa di oggi si è creato uno stacco che ha generato un vuoto culturale simile a quello denunciato da Pasolini nel passaggio dalla società agricola a quella industriale. È in questo vuoto che si crea lo spazio per fenomeni di consumo di massa di sostanze in grado di alterare lo stato mentale. Ai tempi il nuovo media era la televisione, oggi è la convergenza multimediale. Chi vende lo ha capito benissimo.

Abbiamo quindi strumenti potenti ma anche un vuoto altrettanto potente. Chi pensa di affrontare il problema dell’uso di sostanze psicoattive a scopo non terapeutico solo con le leggi, che pure vanno riformulate perché pensate in un mondo diverso da quello di oggi, oppure solo con gli strumenti clinici tradizionali, legandosi ad antiche e stigmatizzanti definizioni. probabilmente sbaglia: in pratica coglie solo alcuni fattori della questione, non solo dal punto di vista generale, ma anche dal punto di vista della strutturazione dei singoli percorsi di cura. Si chiude, cioè, in una visione molto ristretta di un unico livello di realtà, giustificato dall’appartenenza ad una parte politica o ad una disciplina scientifica scontrandosi, poi, con quel vuoto contemporaneo, con cui convivono anche quelle stesse appartenenze, dove la dipendenza diventa di fatto, ma solo in alcuni casi, un illecito e, sempre, UNA malattia del cervello.

Il vuoto di oggi, tra l’altro, è molto diverso da quello di ieri. Intervenire significa trovare convergenza tra comunicazione, clinica, conoscenza e cultura, anche intesa come creatività ed arte. Non è impossibile. Lo stiamo sperimentando in modo estremamente concreto e con successo, sebbene in scala ridotta, in luoghi e situazioni particolarmente difficili.

In ogni caso sono convinto che gli interventi e le strategie di domani saranno necessariamente molto differenti da quelli di oggi. Dovranno  svilupparsi, cioè, con un approccio transdisciplinare [*] (attenzione: non semplicemente interdisciplinare!) inattuabile solo per chi continua a formulare obiettivi ed a costruire organizzazioni ed interventi vedendo il presente ed il futuro solo con gli occhi del passato, della propria esperienza umana e della propria singola disciplina professionale.

Se così non sarà, avremo perso molto di più di una guerra alla droga.

Riccardo C. Gatti

 

[*] i partecipanti al Primo Congresso Mondiale di Transdisciplinarità (Convento di Arrabida, Portogallo, 2-7 novembre 1994) adottarono una sorta di statuto costituente, una  Carta, descrittiva  dei principi fondamentali della Comunità degli studiosi transdisciplinari.  Ne riporto alcuni articoli. Articolo 1: Ogni tentativo di ridurre il concetto di essere umano ad una mera definizione e di considerarlo una pura struttura formale, qualunque essa sia, è incompatibile con la visione transdisciplinare. Articolo 2: L’accettazione dell’esistenza di differenti livelli di Realtà, retti con logiche differenti, è inerente all’attitudine transdisciplinare. Ogni tentativo di ridurre la Realtà ad un solo livello, governato da una sola logica, non trova posto nel campo della transdisciplinarità. Articolo 3: La transdisciplinarità è complementare all’approccio disciplinare; essa fa emergere dal confronto delle discipline l’esistenza di nuovi dati, che fanno giunzione o snodo fra le discipline stesse; essa ci offre una nuova visione della Natura e della Realtà. La transdisciplinarità non cerca il dominio fra più discipline, ma l’apertura delle discipline a ciò che le accomuna e a ciò che le supera. Articolo 5:La visione transdisciplinare è decisamente aperta, nella misura in cui essa supera il campo delle scienza esatte, per spingerle al dialogo e alla riconciliazione, non solo con le scienza umane ma anche con l’arte, la letteratura, la poesia e l’esperienza interiore.
Da Lima de Freitas, Edgar Morin, Basarab Nicolescu, La Carta della Transdisciplinarità. Traduzione dal francese a cura dell’I.P.E., Istituto per ricerche ed attività educative, Napoli. Il testo verrà successivamente pubblicato, in lingua inglese da B. Nicolescu, Manifesto of Transdisciplinarity, translated by K. Claire Voss, State University of New York Press, Albany 2002, pp. 147-152.

Nella foto, in testa allo scritto, si vede il Convento di Arrabida, in Portogallo