In un articolo sul Il Riformista del 10 aprile 2024, a firma Giovanni M. Jacobazzi, intitolato “Trenta suicidi in cella: insufficienti i fondi per gli psicologi” si precisa che “Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha firmato l’altro giorno un decreto con cui vengono stanziati 5 milioni di euro per il potenziamento dei servizi trattamentali”. Questo può migliorare in qualche modo la situazione, tenendo, però, presente che questi servizi dipendono dalla Amministrazione Penitenziaria e il “trattamento” a cui ci si riferisce, consiste, come esplicitato nel sito del Ministero della Giustizia, “nell’insieme degli interventi rieducativi che gli operatori penitenziari propongono di attuare nei confronti del condannato o internato nel corso dell’esecuzione della pena”. Sebbene la fase di “osservazione scientifica della personalità” possa fornire alcuni elementi utili per allertare sulla eventuale presenza di situazioni patologiche, l’équipe di osservazione, composta da personale dipendente dell’Amministrazione Penitenziaria, ha a che fare solo indirettamente con la clinica e la cura di patologie e si muove sostanzialmente in area rieducativa.
Quindi il problema rimane, considerando che nelle carceri sono recluse sempre più persone (troppe) che hanno disturbi psichiatrici, a volte anche gravi ed avrebbero primariamente bisogno di una diagnosi certa e di cure appropriate.
C’è chi sostiene che le carceri stiano poco per volta assumendo la funzione che un tempo avevano gli ospedali psichiatrici. Ma, tenendo presente tutte le ragioni che ne hanno portato alla chiusura, e, sia chiaro, senza alcun rimpianto, almeno i manicomi avrebbero dovuto essere luoghi di cura.
Ciò che a mio parere è davvero carente (e in pochi ne parlano) è la presenza del Sistema Sanitario Pubblico nelle carceri, in particolare per quanto riguarda la presenza di Servizi specialistici Psichiatrici (psico-sociali). Parlo di una presenza strutturata di Servizi multidisciplinari, specificamente dedicati ai disturbi mentali ed alle dipendenze patologiche. Nella maggior parte dei casi è disponibile (quando c’è) una ridotta presenza di singoli specialisti, che accedono dall’esterno. Non essendo parte di servizi incardinati nel carcere, non di rado hanno anche il limite di una ridotta efficienza negli interventi: tra le misure di sicurezza all’ingresso, la logistica generale e gli spostamenti interni dei detenuti, in una intera mattinata, uno specialista riesce a fare veramente poco. Rare sono le situazioni più strutturate ed organizzate. Vengono portate ad esempio, quando serve, ma rimangono iniziative isolate e non di rado sono in difficoltà, per carenza di personale esperto, proprio in una situazione in cui le patologie psichiatriche, l’abuso di droghe e di farmaci e le dipendenze patologiche, sono sempre più diffuse e, in carenza di una adeguata assistenza, possono solo peggiorare.
Il carcere, evidentemente, non è il luogo ideale per curare o essere curati ma, se, di fatto, ci entrano persone malate o che si ammalano, perché portatrici di particolari fragilità, la carenza di risposta terapeutica MULTIDISCIPLINARE, e di una costante presenza di terapeuti e di supporto, può trasformarsi in un dramma. Quindi, se da una parte occorre prestare attenzione, a diverso livello, per non trasformare davvero le carceri in nuovi manicomi, è indispensabile che la presenza del Sistema Sanitario Pubblico sia più strutturata e presente nelle carceri e che, assieme all’Amministrazione Penitenziaria, possa essere organizzata diversamente, anche dedicando una maggiore attenzione alla collocazione dei detenuti con particolari problematiche, laddove è possibile affrontarle.
Come purtroppo sappiamo, il Sistema Sanitario Pubblico è carente fuori dalle carceri ma, almeno fuori, si possono trovare alcune alternative che in carcere sono difficilmente accessibili, nonostante la buona volontà di chi, professionalmente o volontariamente, ci lavora. Come se non bastasse, c’è anche un problema per gli stranieri dove, senza una buona conoscenza della lingua e della cultura, è difficilissimo intervenire, comprendere situazioni patologiche psicologiche e psichiatriche, diagnosticarle e, soprattutto, curarle. Anche di questo problema, che pure dovrebbe essere noto, si tiene conto in modo insufficiente.
Le difficoltà del Servizio Sanitario Pubblico, in relazione alla assistenza territoriale sono evidenti e rappresentate per quanto riguarda i cittadini “liberi”, cosa che sta perversamente diventando una giustificazione per rimandare nel tempo la ricerca di soluzioni per ogni problema che si presenta, ma anche le carceri sono nel territorio, ed i detenuti, in relazione alla salute, dovrebbero avere almeno gli stessi diritti di chi detenuto non è, anche se si tende a dimenticarlo.
Chiudo con una osservazione. È giusto porsi un problema di assistenza, se nelle carceri entrano sempre più persone con disturbi mentali, che rimangono senza risposta, ma sarebbe ancor più corretto chiedersi perché questo avviene. Credo sia, prima di tutto, un compito della politica analizzare questo argomento, accettandone la complessità, facendosene carico responsabilmente, e indirizzando la ricerca di nuove soluzioni, senza fermarsi ad inutili scontri tra schieramenti, che nulla cambiano, o a facili riferimenti ad una errata programmazione negli anni passati che rischia di portarci a scelte semplicistiche e sbagliate, anche per quelli futuri.
Riccardo C. Gatti
Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Il Riformista in data 11/4/2024