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La situazione non è semplice. Chi ha raggiunto questa pagina, probabilmente, sta cercando la soluzione di un problema grave e ancora irrisolto. L’importante è aver verificato che si tratti di un abuso di sostanze o di una tossicodipendenza “diagnosticabili”  su questo link e non semplicemente con un consumo di droga descritto qui (se non lo si è fatto E’ FONDAMENTALE raggiungere i link che le ho proposto, PRIMA di leggere tutto quello che segue).

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E’ necessario ora rendersi conto che si deve affrontare un problema serio normalmente, non risolvibile in tempi brevi. Se la situazione è fortunata o riconducibile a situazioni di abuso non complicate si tratta almeno di mesi, altrimenti parliamo di anni. E’ meglio soffermarsi un attimo su questa considerazione, altrimenti la situazione rischia di essere valutata male ed affrontata peggio.

Molte persone credono che la fine di una tossicodipendenza consista nel sospendere l’uso di droga (o di alcol) e di superare l’eventuale crisi di astinenza. Non è così. Quasi tutti i tossicodipendenti, in periodi della loro vita, sospendono, anche completamente, o riducono l’uso di droghe. A volte lo fanno per spontanea volontà, altre volte per problemi contingenti, altre volte perchè è l’unico modo per ricominciare ad avvertirne gli effetti piacevoli. Sospendere l’uso di droghe in modo brusco e non assistito, inoltre, può provocare problemi molto gravi dal punto di vista fisico o psichico (in caso di alcolismo o in condizioni fisiche precarie o, ancora, in presenza di particolari malattie esiste anche un reale pericolo di vita). Tuttavia la stessa sospensione di droghe assistita da personale specializzato può essere l’inizio o, meglio, una parte di un percorso molto più complesso e, quindi, deve essere programmata nei modi e nei tempi più opportuni che, non necessariamente, sono quelli più rapidi.

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Una domanda a cui è difficile rispondere con dei discorsi generalizzabili è  se da una tossicodipendenza sia possibile “guarire” completamente. La risposta è certamente positiva anche se esistono persone (e non sono poche) che vivono in una situazione di cronicità con periodi di remissione seguiti da ricadute.  Le casistiche che abbiamo riguardano, tuttavia, soprattutto persone che si sono rivolte ai servizi di cura e che, quindi, erano già in una situazione di particolare difficoltà. Alcuni studi dimostrano, invece, come esistano soggetti che sono stati in grado di uscire da situazioni tossicomaniche senza particolari aiuti (ciò non toglie che il “fai da te” sia sempre un inutile rischio) e, nel tempo, hanno condotto una vita assolutamente regolare senza ricadere nell’uso di droghe. Quindi, così come è sicuro che esistano tossicodipendenze che, nel tempo, paiono non risolversi, ve ne sono altre che hanno un andamento completamente diverso. Come accade per altre malattie, quindi, ciascuno risponde alla situazione in modo diverso. Probabilmente esistono predisposizioni, anche di tipo genetico, in grado di influenzare la risposta individuale. Gli stimoli culturali, ambientali e la rete relazionale della persona rivestono ruoli fondamentali così come la capacità di svolgere bene il proprio lavoro da parte di chi cura o, comunque, si prende cura dell’individuo. Sicuramente il tossicodipendente e, probabilmente, anche l’abusatore di sostanze hanno una sorta di predisposizione alla ricaduta e/o all’abuso ed alla dipendenza. Questa tendenza dovrà essere contrastata con intelligenza praticamente per tutta la vita. Meglio tenerlo presente sin dall’inizio.

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La volontà individuale è importante ma, evidentemente, non è tutto. Generalmente è una condizione necessaria ma non sufficiente per affrontare un percorso di guarigione. Questo fatto ha portato a tutta una serie di fraintendimenti (che tuttora continuano) e che potrebbero riassumersi nella considerazione errata che se il tossicomane “avesse la volontà di farlo” potrebbe smettere definitivamente di usare droghe in qualunque momento. Questa considerazione non solo è errata ma è anche pericolosa perchè comporta una serie di considerazioni conseguenti altrettanto sbagliate. Per esempio il tossicomane che, dopo aver “promesso” anche a sé stesso di non usare più droghe, finisce per ricadere, viene considerato un mentitore rispetto ai suoi (buoni) propositi. Quanto più la situazione è grave, quindi, tanto più la sua persona viene svalutata e messa in dubbio. E’ una cosa che non viene fatta per altre patologie e che è determinata da un pregiudizio: quello di pensare che tutto sia solo una questione di buona volontà. Stranamente è un pregiudizio che coinvolge molti tossicodipendenti in prima persona. Molti loro fallimenti sono collegati alla convinzione, che loro stessi hanno, di poter interrompere l’uso di droga o di alcol così come lo hanno iniziato. Rinforzarla, quindi, non li aiuta così come non li aiuta sottovalutare il problema pensando che possa essere risolto con quattro farmaci ed una vacanza lontano dagli ambienti usuali.

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La famiglia, un amico, il partner possono avere un ruolo molto importante per favorire un processo di guarigione se hanno ben chiaro in mente che non possono essere loro a curare la persona cara e che, nemmeno, si possono prendere responsabilità al suo posto. In fase iniziale il ruolo di chi vuole aiutare l’abusatore di sostanze o un tossicomane è quello di aiutarlo a comprendere esattamente la gravità della sua malattia ed il fatto che quanto più tempo passa prima di affrontarla quanto più il deterioramento fisico e mentale che ne conseguono aumenta. Attenzione! In questa fase bisogna essere risoluti ma anche delicati. Molti tossicomani, per quanto possa sembrare strano, non sono convinti di esserlo o, meglio ancora non accettano di ammettere a se stessi di aver perso irrimediabilmente il controllo della situazione. Chiunque può capire come sia difficile accettare di avere una grave malattia quando fino a pochi mesi o anni prima ci si sentiva assolutamente sani e con una gran voglia di divertirsi o di provare emozioni. Purtroppo con un figlio, un amico o un partner è facile stabilire una complicità perversa in cui l’illusione del “farcela da soli” viene portata avanti anche per anni. Il fine è buono: mantenere la speranza che la cosa non sia così grave, che la volontà e l’affetto possano essere una cura … così si va avanti. Su questa illusione di speranza e sulle reciproche accuse che conseguono le eventuali  ricadute si sono disfatte famiglie, dissolti patrimoni anche notevoli, rovinate carriere professionali, sono morte persone ed altre sono rimaste invalide. Eppure la speranza non era, di per sé, una cattiva consigliera. Da queste situazioni non è facile uscire ma … si può uscirne bene: non bisogna dimenticarselo mai. Il problema è come. La soluzione è (possibilmente) mai da soli ma con l’aiuto di professionisti esperti.

 

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Se la prima fase deve essere quella di aiutare a comprendere la gravità della situazione per poi rivolgersi a qualcuno che possa prendere in cura o curare è anche vero che, soprattutto in alcune fasi, chi abusa di sostanze e, peggio ancora, chi è tossicodipendente non sembra avere alcuna intenzione di accettare suggerimenti e consigli. Oppure, se lo fa, non sembra poi andare al di là di alcune affermazioni di principio. Attenzione! Ricordiamo sempre cosa significa la tossicodipendenza! Rinunciare coscientemente ad una sorta di “istinto primario acquisito” che, in alcuni momenti,  spinge violentemente verso una ricerca compulsiva della sostanza o delle sostanze da cui si dipende, è una cosa molto difficile se non impossibile quando la si affronta da soli. Chi fa buoni propositi e non li mantiene … non è, quindi,  necessariamente un mentitore. Anzi, nella maggior parte dei casi non lo è. Certamente non è facile distinguere e, in un certo senso, è anche inutile, almeno in questa fase. Molto meglio , ancora una volta, avere pazienza, cercare di convincere, ragionare, mantenere la calma anche se può essere estenuante.

Troppo? Forse si. Anche chi vuole aiutare, in molti casi, deve essere aiutato. Può sembrare impossibile ma il solo dichiarare al figlio, all’amico o al partner che ci si sta facendo seguire da una persona esperta per riuscire ad aiutarlo in considerazione di una situazione di cui si percepisce nettamente il rischio e la gravità a volte sortisce effetti straordinari. In ogni caso, essere supervisionati nella proprie decisioni, fornisce lucidità e forza. Aiuta a non commettere errori, a scegliere la posizione giusta, a non autodistruggersi perchè in un determinato momento le cose non sembrano funzionare così come si vorrebbe. L’importante è rivolgersi alle persone giuste. Vedremo poi a chi.

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Regola basilare: ricordarsi, da questo punto in poi, che non esiste la soluzione che funziona per tutti. Quello che ha fatto l’amico o il conoscente può non essere utile per noi o per la persona cara. Ciò che è necessario fare non è trovare la soluzione migliore a livello teorico ma quella che funziona meglio nella realtà contingente. Lasciamo i miracoli a chi li sa fare e rendiamoci conto che, nella maggior parte dei casi,  cercare il miracolo è una insana follia e prometterlo è una truffa. C’è tutto un percorso da costruire che sarà lungo e pieno di ostacoli. Talvolta, come per altre patologie, l’obiettivo di evitare danni peggiori permettendo una vita più stabile può essere meglio di puntare ad una guarigione, in quel momento, impossibile.  Bisogna comprendere chi è la persona che abbiamo di fronte, quali risorse, quali debolezze, quali vincoli e quale desideri ha; quanto la situazione sia grave, che cosa si aspetta di ottenere da sé stessa e dalla vita; quali obblighi la condizionano; quale supporto può realmente avere dall’ambiente che la circonda; che cosa è effettivamente disposta a fare per cambiare la situazione; che cosa può fare in realtà; fino a che punto ci si può aspettare di arrivare in tempi ragionevoli. In gergo clinico si dice fare una diagnosi multidisciplinare (il medico o lo psicologo da soli non bastano) ed una prognosi che comprenda la valutazione dei rischi che si possono correre nel percorso e quali, invece, bisogna evitare. Quanti comprendono che questo è il lavoro che va fatto prima di iniziare un percorso “terapeutico – riabilitativo”? Quanti comprendono che questa valutazione richiede possibilità di osservazione e, quindi, tempo?  Quanti pretendono che questo percorso venga fatto anziché premere a favore di scelte tanto rapide quanto inutili e pericolose? Quanti sanno che questa valutazione deve essere dinamica e, quindi, continuata nel tempo mentre la situazione si evolve?

Per anni una cattiva informazione ha fatto credere che per gli eroinomani la scelta fosse di tipo statico tra il metadone e la comunità terapeutica senza nemmeno pensare che il metadone è un farmaco e la comunità è un luogo; che il farmaco di per sé non è una cura ma uno strumento per curare e che le comunità sono luoghi diversi fra loro che non “salvano” nessuno ma, ripeto, in modo diverso (e quindi una non vale l’altra), possono aiutare a ritrovare una strada differente da quella percorsa curando o prendendosi cura. Per anni, di fronte ad un problema di alcolismo l’alternativa è stata il farmaco di nascosto nella minestra (“così se beve sta male”) oppure il ricovero per disassuefare oppure il gruppo di auto-aiuto il tutto visto in modo passivo così come la eventualità di “chiudere” la persona da qualche parte … così non fa danni. Ora che la cocaina è diffusa assieme ad una miriade di sostanze diverse, di cui si abusa o si è dipendenti, ancora si cercano e, talvolta, si propongono soluzioni semplici a problemi complessi con gli stessi disastrosi risultati. Si intraprendono viaggi della speranza ignorando che, a volte, la soluzione è vicina a casa.

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Nel nostro Paese, in questo campo, abbiamo una fortuna che molti ci invidierebbero se solo non avessimo l’abitudine congenita di parlar male di ciò che ci riguarda. Negli anni 80 e 90 si è costituito un sistema di intervento sulle tossicodipendenze costituito da una miriade di centri ambulatoriali delle Aziende Sanitarie Pubbliche  (SERT    o SERD), da Comunità Terapeutiche (di diverso tipo ed organizzazione!), da centri diurni e psicoterapici, da centri di assistenza per il reinserimento sociale (per chi ne avesse bisogno), che hanno maturato una grandissima esperienza a disposizione di tutti. Questo sistema (con almeno vent’anni di esperienza!) è in grado di fornire gratuitamente supporto, consiglio, trattamento terapeutico a chi abusa di sostanze, è tossicodipendente oppure a chi ne è familiare, amico o partner. I SERD (Servizi Dipendenze) sono dei Centri Multidisciplinari Integrati nel senso che vi lavorano professionisti di discipline diverse (medicina, psicologia, educazione. assistenza, scienze infermieristiche) in grado di fare una diagnosi, un trattamento o di inviare ad altre parti del sistema (ad esempio una comunità o un centro psicoterapico) per un trattamento. In alcuni casi esistono gruppi di auto aiuto molto efficienti collegati o compatibili con le attività complessive del sistema. Attualmente in alcune Regioni stanno aprendo anche Servizi Multidisciplinari gestiti dal privato ma convenzionati con le Regioni stesse. Anche il sistema pubblico-privato sociale ha dei limiti, come tutte le cose, ma, in generale, fornisce un livello di assistenza con un buon livello medio ed ha esperienza per affrontare situazioni anche molto difficili. Un difetto di questo sistema è quello di essere poco sponsorizzato. In anni di campagne istituzionali contro la droga nessuno ha mai pensato, ad esempio, di raccontare l’esistenza di questo sistema pubblico – privato no-profit e di aiutarlo a costruire una “buona immagine” di sé. Così, come spesso accade per le cose buone, è poco conosciuto e, di conseguenza, valutato. E’ a questo sistema che consiglio di rivolgersi perchè è in grado di dare le migliori risposte possibili nel nostro Paese. Esistono anche alcuni centri privati – profit che intervengono in questo settore. Rispondono ad esigenze particolari e sono di buon livello ma è necessario conoscerli bene per poterli scegliere. Consiglierei di non “andare a caso”.

Rispondo pertanto alla domanda  “Mio figlio, un amico, il mio partner è tossicodipendente: che fare?” con una risposta semplice. Dopo aver compreso quanto esposto nei punti precedenti (mi raccomando, eventualmente, di rileggerli) chiedere consulenza e aiuto … anche per sé … nel caso che la persona interessata non abbia (ancora) maturato una consapevolezza critica della situazione in cui si trova. Si può partire prendendo un appuntamento al SERD più vicino (quello della Azienda Sanitaria di zona)  oppure chiedendo alla Regione (normalmente esiste un Ufficio che si occupa di tossicodipendenze presso l’Assessorato alla Sanità o ai Servizi Sociali) chi, in un determinato territorio, svolge attività in questo campo, essendo riconosciuto dalla Regione stessa. Attenzione: ribadisco che gli interventi in questo settore sono direttamente gestiti dal Servizio Sanitario Pubblico oppure sono “convenzionati” e, quindi, gratuiti.

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Se la situazione, invece, fosse critica, al punto da richiedere un intervento immediato per un grave stato di alterazione mentale, connesso all’uso di sostanze, e tale da rendere indispensabili  cure urgenti ospedaliere che l’interessato, sebbene in pericolo, rifiuta, proprio in conseguenza della sua alterazione … esiste una soluzione. Qualsiasi medico, ricorrendone le condizioni,  può richiedere un “trattamento sanitario obbligatorio“. Si tratta, tuttavia, di situazioni estreme che nulla hanno a che fare con la cura della tossicodipendenza (che non è una patologia acuta, da “pronto soccorso”). Sono, quindi, misure che vanno attuate solo se strettamente necessario in una situazione di pericolo contingente. Non possono essere un modo per convincere una persona a curarsi. Se si sono letti attentamente i punti precedenti sarà anche chiaro il perchè. Se è appena possibile, quindi, meglio parlarne in anticipo con un SERD e/o con il Servizio Psichiatrico di zona cui, comunque, si dovrà presto ricorrere: un simile tipo di ricovero obbligatorio dura tempi brevi e non può risolvere la situazione nel suo complesso.

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Ultima indicazione da ricordare sempre. La ricaduta dopo un trattamento non significa il fallimento del trattamento stesso o della persona che lo ha intrapreso. Purtroppo può accadere proprio per il tipo di patologia con cui abbiamo a che fare. Se accade consiglio di affrontare la cosa nel più breve tempo possibile con le persone che già conoscono il caso. A meno che non esistano fondati e realistici motivi per pensare che tutto il programma realizzato sia stato completamente sbagliato, per incapacità dei terapeuti o comunque dei professionisti che sono intervenuti (cosa tanto più improbabile quanto più la valutazione è stata effettuata da una equipe multidisciplinare con diversi incontri successivi con l’interessato), cambiare centro di cura rischia di far perdere tempo prezioso. Qualsiasi fallimento può essere utilizzato per un nuovo trattamento più efficace. Non si ricomincia mai da capo. L’esperienza fatta sarà utilissima… se viene, appunto, utilizzata.

A questo proposito vorrei dare un ultimo consiglio. Un familiare, un amico, un partner possono essere utilissimi per motivare ed  aiutare una persona cara se giocano con appropriatezza il loro ruolo. In tutti gli altri casi sono un ostacolo e non una risorsa specialmente quando cercano di assumere ruoli terapeutici che non hanno e non possono avere o quando, a tutti i costi, cercano di entrare, in modo non richiesto, nel rapporto che si crea tra il Servizio ed il tossicomane. Se ci si sente “presi in mezzo” dalle proprie, giustificate, ansie o paure, oppure se si è coinvolti anche dallo stesso tossicomane in ruoli inopportuni o per effettuare scelte per le quali occorrerebbero competenze che non si possiedono … molto meglio chiedere consiglio e consulenza. In molti casi il consulente deve essere persona diversa da chi si occupa direttamente del tossicomane. Bisogna, inoltre, evitare di chiedere ai terapeuti della persona in cura notizie sull’andamento del trattamento, senza che l’interessato lo sappia e acconsenta esplicitamente. Non solo fornire queste informazioni è vietato dalla legge ma si tratta di un atteggiamento che, se anche adottato a fin di bene, potrebbe seriamente compromettere la riuscita del programma in corso e di un rapporto di fiducia che deve mettere al bando, per principio, qualsiasi sotterfugio.

Attenzione: non bisogna mai perdere fiducia e speranza. L’uscita da una tossicodipendenza può anche essere un percorso difficile faticoso ma … vale la pena di arrivare in fondo. Non si tratta solo di “guarire” ma anche di riacquisire “libertà”: due cose che ripagano da qualunque sacrificio.