Partiamo da qui, ritornando, di poco, indietro nel tempo: siamo quasi ai giorni nostri, c’è un grave problema di droga, o meglio, di consumo di droghe che attraversa il mondo. L’Afghanistan è uno dei Paesi che contribuisce ampiamente a questo problema con la produzione di eroina. Chi ne subisce le conseguenze, cerca di organizzarsi per contenerlo e investe in questo senso. Esistono connessioni pericolose tra traffici di droga, terrorismo, poteri ed equilibri internazionali che complicano la situazione, soprattutto in zone instabili e in guerra. Le Nazioni che combattono contro la droga, conoscono bene le conseguenze che può provocare la diffusione di eroina e, per questo, i cittadini sostengono volentieri economicamente le azioni che possono contenerne la produzione ed il traffico.
Un flashback: nel 2001, sotto la Presidenza di George W. Bush gli Stati Uniti, appoggiati dagli alleati della NATO, invadono l’Afghanistan e scacciano i Talebani, con una azione di contrasto al terrorismo dopo l’11 settembre.
Nonostante l’occupazione militare, la produzione di oppio e di eroina aumenta. Molti Stati, prima di tutto gli USA, investono, così, miliardi di dollari per cambiare anche questa situazione, anche se, con scarsi risultati. «Abbiamo fallito», dichiarerà nel 2014 John Sopko, ispettore speciale per l’Afghanistan del governo statunitense. Gli anni successivi non vedranno miglioramenti sostanziali. Così come riportato in un articolo del Corriere della Sera[1] del maggio 2019, il tutto provocherà anche problemi interni allo stesso Afghanistan: un ingente numero di tossicodipendenti e diffusione della droga in tutti gli strati della società. Non sono pochi gli esperti pronti a sottolineare che l’oppio consente ai contadini locali di sopravvivere, così come le eradicazioni forzate con diserbanti potrebbero creare problemi di inquinamento, ma questi non sono esattamente i veri problema da risolvere.
La rappresentazione grafica dei beneficiari dei proventi della produzione di oppio Afghano, come riportato dalla Afghanistan Opium survey 2019 delle Nazioni Unite[2] è chiara: i contadini (farmers) sono solo uno dei molti beneficiari del commercio degli oppiacei e non sono certo i problemi di inquinamento a fermare la azioni di guerra.
L’economia di guerra altera molti equilibri. Il potere dato dai proventi dei traffici, dalla possibilità di modulare la distribuzione della ricchezza derivata e di gestire una serie di interessi correlati, assume un peso probabilmente non immaginabile, da chi vive in zone di pace.
La situazione droga rimane irrisolta ma, oltre agli USA, i Paesi della Comunità Europea continuano ad investire notevoli risorse, finalizzate non solo a combattere il terrorismo ed a raggiungere uno stabile equilibrio di pace con un governo rappresentativo, ma anche a porre fine alla produzione e al traffico di eroina.
Febbraio 2020: dopo quasi un anno di trattative, Stati Uniti e Talebani firmano ufficialmente l’accordo di Doha, in Qatar, che definisce la fine dell’occupazione. Joe Biden rispetta l’accordo firmato dal suo predecessore, ma sposta il termine per ritirare le truppe all’11 settembre 2021: data simbolica. Se ne vanno anche gli alleati europei.
15 agosto 2021: è il giorno dell’entrata dei Talebani a Kabul, della fuga del presidente Ashraf Ghani, e dell’inizio delle operazioni di evacuazione degli stranieri. L’Afghanistan torna ad essere governato dai Talebani.
Veniamo ad oggi.
Da quando noi occidentali ce ne siamo andati precipitosamente dall’Afghanistan, i Talebani, nonostante il nostro scetticismo iniziale, sono riusciti ad imporre un drastico ridimensionamento della produzione di oppio. Presto, finite le scorte di eroina immagazzinate, ci potrebbero essere conseguenze sul mercato degli stupefacenti.
La coltivazione di papaveri da oppio e la produzione di eroina afghana è crollata. Dovremmo, quindi, tirare un grosso respiro di sollievo. Ma, invece, che accade? L’organizzazione delle Nazioni Unite UNODOC in una sua recentissima pubblicazione ipotizza che si potrebbe verificare un aumento del policonsumo di sostanze da parte degli eroinomani ed un aumento dei rischi collegati alla possibile adulterazione dell’eroina o in seguito alla sua sostituzione con oppioidi sintetici più dannosi, compresi potenti derivati del fentanil e nitazeni”[3]. Questa ipotesi è realistica: oggi (!) è condivisa anche da altri osservatori indipendenti.
Le cronache dei media si fermano qui, ai giorni nostri, con l’ombra di un nuovo pericolo imminente, ma non pongono una questione importante:
con quale obiettivo reale, in questi anni, siamo stati chiamati a spendere miliardi di dollari, arrivando fino al punto di lanciare attacchi aerei sui campi di papavero nel territorio controllato dai talebani, bruciare scorte di oppio e condurre raid nei laboratori farmaceutici”[4] (Fonte BBC) per una iniziativa che, se avesse avuto completo successo avrebbe peggiorato la situazione droga, almeno in Europa, anziché migliorarla?
Forse la risposta è meno complessa di quello che può sembrare. Almeno apparentemente, si sono investite risorse soprattutto per tagliare una fonte di reddito agli avversari: l’obiettivo non aveva a che fare con il miglioramento della situazione connessa alla diffusione di eroina che, anzi, avrebbe potuto peggiorare.
Ma dove sono finiti i miliardi di dollari destinati a ridurre le piantagioni di oppio e reprimere il narcotraffico?
Forse non lo sapremo mai, anche perché, prima degli USA e della NATO, in quel Paese era in atto una occupazione Russa. Ma nel periodo intermedio, nel 2001, i Talebani al potere, proibirono la coltivazione di papavero. L’anno dopo il raccolto crollò da 3.200 a 185 tonnellate. A inizio del 2002 prese il via il contingente Nato (Isaf). Sei anni più tardi, nel 2007 la produzione toccava il record di 7.400 tonnellate[5] e la produzione è rimasta alta sino a quando le persone che abbiamo combattuto hanno ripreso di nuovo il potere.
Sono troppo poco esperto di analisi geopolitica e di guerre simmetriche ed asimmetriche per approfondire, ma credo di aver capito almeno questo: esiste ormai una stabile economia della droga, contrastata da una stabile economia dell’antidroga. Due economie che rimangono in equilibrio tra loro perché, in diverso modo, generano ricchezza, posti di lavoro e consenso, con un effetto “Robin Hood inverso”: tolgono ai poveri per dare ai ricchi ed ai potenti. In pratica redistribuiscono ricchezza e sono, limitatamente a questo, “compatibili” con le grandi “mafie” mondiali che investono contemporaneamente nei mercati leciti ed illeciti.
Dietro non c’è alcune strategia che potrebbe far gola ad un complottista. Più semplicemente una serie di fattori di diverso genere, finiscono per sommarsi tra di loro con un effetto, almeno in parte, non scontato e paradossale. I consumatori di droghe sono indispensabili per ciascuna delle due economie ed ogni drammatico aumento di consumi le rinforza. Questo spiega anche perché le risorse per informare, prevenire, curare e prendersi cura, sono sempre meno di ciò che sarebbe necessario. Una base ampia di tossicodipendenti, non di semplici consumatori, rimane una sicurezza ulteriore di rendite stabili. Un po’ come con un investimento in titoli molto solidi, ciascuna economia finisce per avere priorità di vario genere, ma la salute dei consumatori e gli interventi precoci per prevenire le dipendenze patologiche finiscono, così, in secondo piano.
Se vogliamo uscire da questa situazione, l’unica possibilità è fermarsi, ragionare, parlarsi e ripartire con paradigmi adeguati ai tempi presenti e che guardano concretamente al futuro. Ripartirei da una analisi multidisciplinare corretta della situazione attuale e da una previsione dei prossimi scenari, per studiare quali soluzioni siano percorribili per tutelare meglio e concretamente la salute delle persone. Ho usato il termine “ripartirei” perché in questo ambito stiamo commettendo errori a livello nazionale ed internazionale. L’errore principale è proprio quello di considerare la tutela della salute delle persone come un elemento subordinato ad altri. Non dimentichiamo, ad esempio, che i nostri servizi dipendenze nascono all’interno di una legge che parla del controllo degli stupefacenti, repressione del traffico di droghe ecc. e tutti hanno assimilato questi concetti, con la conseguenza che a promuovere prevenzione sono ormai quasi di più le Prefetture e le Forze dell’ordine, di chi si occupa di informazione, educazione e salute.
Per ora non credo si possa realisticamente fare di più. Caso mai, però, bisogna iniziare a farlo davvero, considerando che ci sarà sempre qualcuno a mettere un bastone in mezzo alle ruote. Nella società interconnessa c’è chi ha capito molto bene che il “divide et impera” funziona meglio di un tempo e se anche i media collaborano a tutto ciò, il gioco è fatto. Come? Mantenendoci nell’ignoranza, facendoci credere che esistono soluzioni semplici per problemi complessi e che ogni pensiero ulteriore ha a che fare con l’ideologia, l’interesse di parte, il moralismo o con inutili complicazioni.
Si tratta di una utopia? Chi trae profitto dalla diffusione di droghe avrà sempre e comunque partita vinta? Non c’è via di uscita, visto che ogni iniziativa sembra aggrovigliarsi nel percorso, per farci cadere?
Ricordiamoci che come diceva Muhammad Ali “Dentro un ring o fuori, non c’è niente di male a cadere. È sbagliato rimanere a terra.”
Riccardo C. Gatti
[1] https://www.corriere.it/esteri/guerraSpa/afghanistan/
[2] https://www.unodc.org/documents/crop-monitoring/Afghanistan/20210217_report_with_cover_for_web_small.pdf
[3] https://www.emcdda.europa.eu/publications/eu-drug-markets//heroin-and-other-opioids_en
[4] https://www.bbc.com/news/world-asia-65787391
[5] https://www.ilsole24ore.com/art/la-guerra-dell-oppio-petrolio-talebani-AEPsMAGC