Queste note si rivolgono direttamente a chi sospetta di avere una dipendenza patologica o, almeno ha dubbi in proposito. Si tratta di indicazioni “pratiche”. Nulla di tecnico e di strettamente scientifico: qualcosa che direi anche ad un amico se mi chiedesse un consiglio.

Normalmente chi ha una dipendenza patologica, di qualunque genere, droghe, alcol, farmaci, sesso, gioco d’azzardo, internet ecc. … per lungo tempo non lo sa, nel senso che è convinto di avere la situazione sotto controllo e, nei suoi comportamenti, di seguire, l’istinto, il piacere, le circostanze o, comunque, qualcosa che fa parte dello stile di vita scelto o a cui si aderisce. Il fatto di frequentare, anche virtualmente, altre persone che hanno comportamenti simili, spesso, rinforza la percezione di “normalità” (“nel mio ambiente … tutti fanno così, quale è il problema?”).

 

Prima regola

Segnali di allarme possono arrivare da partner, amici, parenti che, ad un certo punto, si accorgono che qualcosa non funziona, che qualcosa è cambiato e lo dicono. Purtroppo, di solito, non vengono presi in considerazione ma è un peccato. Raramente hanno completamente torto. Quindi, prima regola, se qualcuno ha acceso una spia di allarme, la cosa deve essere valutata molto seriamente.
A questo punto ci si potrebbe chiedere se chi ha comportamenti particolari o esagerati (è difficile trovare le parole giuste ma ci siamo capiti) che riguardano l’utilizzo di droghe, farmaci, alcol oppure il gioco, il sesso, l’utilizzo della Rete ecc. è per forza un “malato” e ha una dipendenza patologica. La risposta è no. Non è per forza un “malato” ma probabilmente è in una situazione di rischio.
Ad esempio senz’altro chi usa droghe o farmaci non prescritti, corre seri rischi per la salute fisica e psichica; l’alcol è una sostanza tossica e cancerogena e, quindi, probabilmente non esiste una soglia di consumo sicura e salutare, come qualcuno vorrebbe far credere; esagerare con il gioco d’azzardo, statisticamente impoverisce. Ma anche per sesso, rete … ecc. vale l’antico proverbio “il troppo storpia”. Questo non significa, però che siamo di fronte a malattie da curare. Molti delle situazioni descritte, però, possono generare malattie e, una di queste è  la  dipendenza patologica: una situazione in cui la vita della persona si polarizza sull’oggetto della dipendenza. Praticamente, nel caso migliore, la cosa più importante è la droga, l’alcol il farmaco, il gioco, il sesso, le Rete ecc. qualunque altra cosa diventa secondaria. Detto così può non fare molto effetto ma c’è chi, per questa strada, ha perso tutto: famiglia, lavoro, amici, passioni, desideri. Anche se sembra assurdo per una dipendenza patologica si può rinunciare anche alla salute ed alla vita stessa perché si è perso completamente il controllo della situazione.
C’è cioè una differenza significativa tra un comportamento a rischio e una malattia e, per quanto riguarda le dipendenze patologiche, esiste anche un tempo relativamente lungo (spesso anni) per arrivare alla malattia conclamata. Il problema è che, quando è conclamata, è anche cronica. Oppure può essere acuta e grave. Tanto per intendersi, si può andare fuori di testa o finire al pronto soccorso anche se non si è tossicodipendenti o anche se, sino a quel momento, tutto sembrava andare bene. Insomma molte persone che usano sostanze o hanno comportamenti a rischio, ad esempio con il gioco d’azzardo,  sono nella situazione di chi cade da un grattacielo e, ad ogni piano in discesa, si dice “per ora tutto bene”.

Seconda regola

Quindi, seconda regola, il miglior modo per uscire da una dipendenza patologica è non arrivarci e, visto che c’è tempo, fare qualcosa prima anche perché, in alcuni casi, prima di arrivare ad una dipendenza patologica conclamata, possono egualmente accadere una serie di situazioni spiacevoli, gravi e invalidanti che possono riguardare la salute, la vita di relazione o l’ambito penale che, senz’altro, vale la pena di prevenire. Anche la persona più sicura di sé, se non ha completamente razionalizzato che qualcosa non va, avverte, comunque, la possibilità di poter perdere il controllo (o di averlo già perso) in determinate situazioni: non bisogna sottovalutare questi segnali di pericolo, così come eventuali avvertimenti esterni. La sottovalutazione è diretta conseguenza del fatto che le sostanze o i comportamenti additivi stimolano i centri del piacere e dell’autoricompensa e nessuno di noi è strutturato per poter connettere il piacere o la soddisfazione a qualcosa di negativo o alla perdita di controllo di noi stessi e della nostra progettualità. La sottovalutazione è anche dovuta alla mancata conoscenza di questi meccanismi ed alle martellanti comunicazioni che ci spiegano come le dipendenze patologiche siano patrimonio dei diversi, dei deboli, degli stupidi, dei malati di mente, dei devianti ecc. … insomma: degli altri. C’è chi arriva addirittura a negarne l’esistenza.
In parte, quindi, si tratta di ignoranza nostra, in parte di informazione alterata che ci viene trasmessa. Per chi delle situazioni additive fa mercato, ad esempio, è importante costruire occasioni di consumo, meglio se eccessivo e “no limits”: sono quelle che rendono di più. In questi casi, dicendoci di bere, di giocare o di drogarci “responsabilmente”, viene rafforzata la nostra convinzione che sia sempre possibile mantenere il controllo individuale di situazioni a rischio, anche se, purtroppo, non è vero. Ci sono anche altre situazioni, meno visibili, che riguardano il sesso, la pornografia in rete ma anche gli acquisti in genere ed i prodotti finanziari che, tuttavia, in modo analogo, ci portano a situazioni di rischio, illudendoci di poter mantenere il controllo. A volte ci si rende conto di questi meccanismi di “advertising” o della azione di “influencer” in materia per promuovere i consumi. Questo ci rende sicuri che influenzeranno altri e non noi … che è proprio ciò che si vuole attenere: l’abbassamento della guardia.
In ogni caso il passaggio da situazioni a rischio alla dipendenza patologica avviene per gradi e, normalmente esiste un tempo per fare qualcosa. Quindi facciamolo prima che qualcosa di negativo accada.

 

Terza regola

Non è vero che non ci sia niente da fare (mai)! Dico questo perché è diffuso, sebbene difficilmente dichiarato il “sottopensiero” che se non c’è una dipendenza patologica non ci sia nulla da curare e che se, invece, c’è una dipendenza patologica sia incurabile. Egualmente esiste ed è viva una corrente di pensiero che ci spiega in modo più o meno scientifico che la dipendenza patologica, anche negli animali da esperimento, è connessa al fatto che questi non hanno alternative ma, creandole (esempio parchi gioco per topi), questi scelgono il gioco, anche rispetto alle droghe additive. Ho molto rispetto per le scelte dei topi, ma forse noi siamo diversi e, non per nulla, siamo anche capaci di giocare in modo patologico.
Detto ciò, non so se, come dicono alcuni Colleghi, la dipendenza patologica sia UNA malattia del cervello (o del controllo degli impulsi) ma, senza dubbio, molti strumenti che fanno parte della psicoterapia e più in generale della clinica (medica e psicologica) permettono di prevenirla, di prendersene cura, di guarirla o di ridurne i sintomi. Anche percorsi educativi e cognitivi – comportamentali possono ottenere ottimi risultati. I percorsi dei gruppi di auto aiuto, inoltre, hanno un grande valore sia quando si inizia a perdere il controllo che quando, ormai, francamente la situazione è precipitata.
Più che UNA (singola) malattia, direi che la dipendenza patologica è una sindrome (un insieme di sintomi) di qualcosa che non funziona più o funziona male e, quindi, bisogna comprendere quale strada sia percorribile, per sciogliere un nodo che sembra insolubile. Le cause sono spesso molteplici ed è la loro confluenza in particolari momenti di vita a provocare disastri.
Come dicevamo prima, tra situazioni oggettivamente a rischio e l’insorgere di una dipendenza patologica conclamata esiste un tempo. Purtroppo nessuno è ragionevolmente cognito a priori di quanto ampia sia questa finestra temporale e, inoltre, consiglierei di non immaginare che esista uno stacco netto tra situazione a rischio e patologia conclamata quanto, piuttosto, una sorta di percorso di continuità che può compiersi, non compiersi, fermarsi, ricominciare nel tempo.

 

Quarta regola

In caso di dubbio chiedere di essere aiutati a capire meglio, in caso di certezza diagnostica iniziare un percorso di cura il più presto possibile ma, sempre, con persone esperte. Cosa intendo per “al più presto possibile”? Cosi come si farebbe in caso di un sospetto di cancro o di infarto: insomma di una malattia grave perché, purtroppo, la dipendenza patologica lo è e, come il cancro o un infarto, può essere molto invalidante o addirittura, direttamente o indirettamente, mortale.
Come scegliere la persona esperta? Normalmente i Servizi Pubblici per le Dipendenze (per sapere dove sono chiedere alla Azienda Sanitaria Locale o guardare sul relativo sito web) sono ricchi di personale esperto ed, in ogni caso, conoscono il territorio e possono dare ulteriori indicazioni a chi vuole intraprendere un percorso di qualunque genere. Un Servizio Pubblico, comunque, è un buon approccio per avere una diagnosi e per capire se sia necessario iniziare o meno un percorso di cura o qualche altro tipo di azione. In alcune Regioni, come la Lombardia, esistono anche Servizi Accreditati privati che svolgono la stessa funzione. L’accreditamento del Servizio da parte della propria Regione è una buona garanzia di base.
Spesso i Servizi Pubblici hanno molti pazienti e non hanno alcun interesse a spingere ad un trattamento, se non è necessario. Questa è una garanzia di oggettività.
Ovviamente esistono anche ottimi professionisti e centri di cura che lavorano privatamente, ma, in questo caso, bisogna avere buone referenze e non andare a caso per scegliere a chi rivolgersi. L’esperienza in questo campo non si inventa dal nulla anche, perché non esistono scuole di specializzazione in questa materia e, comunque, i corsi di tipo teorico esistenti sono solo una parte di ciò che è necessario apprendere per intervenire. Un medico specialista in psichiatria, uno psicologo o uno psicoterapeuta possono anche non avere un reale percorso curriculare nell’ambito del trattamento delle dipendenze patologiche.
L’ideale sarebbe essere sicuri che il professionista / centro di cura, a cui ci si rivolge, agisca secondo lo stato dell’arte delle conoscenze tecniche e scientifiche che riguardano la materia. Questa sicurezza è difficile da raggiungere per una persona che queste conoscenze non le ha. Per cui ritorniamo all’inizio di questo paragrafo. O si hanno ottime e sicure referenze o, non sapendo a chi rivolgersi, è meglio scegliere un Servizio Pubblico. Iniziare un percorso con una persona inesperta rischia di fare danni e, se non fa danni, spesso è solo una perdita di tempo.

 

Quinta regola

Considerare che se viene proposto un percorso “standard” di diagnosi o di trattamento è perché è stato sperimentato e funziona. Anche se esistono professionisti “singoli”, in grado di costruire percorsi diagnostici e terapeutici molto individualizzati e di buon livello, spesso è utile rivolgersi a Servizi / Equipe multidisciplinari in cui lavorano insieme medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali, educatori professionali e altri professionisti. In questo caso (frequente nei Servizi Pubblici) i percorsi, soprattutto in fase iniziale, sono relativamente standardizzati, anche se possono variare da sede a sede e da equipe ad equipe. La persona è coinvolta in colloqui con professionisti diversi che tendono a comprendere la situazione dal punto di vista di discipline diverse, prima di arrivare ad una sintesi. A volte è prevista la partecipazione a gruppi, a volte è richiesta la partecipazione dei familiari ecc.
Questi percorsi, di norma, sono stati più volte sperimentati e progressivamente perfezionati nel tempo. Da una parte rispondono all’esigenza di fornire risposte a persone diverse, ottimizzando l’impiego di risorse umane (un professionista singolo, specie intervenendo privatamente, può essere più flessibile). Ma va tenuto presente che i percorsi “standard” proposti da Servizi / Equipe multidisciplinari sono tali perché … funzionano. Se e quando non vengono adattati alle esigenze dei singoli non tanto per insensibilità o per necessità organizzative, quanto perché alternative differenti si sono dimostrate perdenti.

 

Errori da non fare

Pensare di trovare su di un motore di ricerca la soluzione farmacologica o meno al proprio problema. Forse non ci siamo capiti ma … qui stiamo parlando di situazioni a rischio di patologie molto gravi, spesso invalidanti, talvolta mortali o, comunque, in grado di peggiorare gravemente la qualità della vita di chi le contrae e di chi ci vive vicino. Diagnosticare di cosa si tratti non è semplice e, di conseguenza, non è semplice trovare il percorso migliore, anche per professionisti molto preparati.
Ricorrere al “fai da te”. Ci sono persone che escono da una dipendenza patologica anche senza alcun aiuto. È possibile ma, in genere, è anche inutilmente rischioso. Ci sono situazioni di astinenza che possono essere anche mortali (per esempio l’astinenza da alcol se subentrano complicazioni), altre che possono provocare problemi difficili da gestire. Inoltre superare la fase iniziale di astinenza o di distacco dall’oggetto della dipendenza (che può anche non essere legata a sostanze) è solo la prima parte di un percorso che funziona meglio ed ha migliori risultati quando è “guidato”.
Pensare che esista un farmaco di qualunque genere che possa risolvere un problema di dipendenza patologica o una situazione a rischio: i farmaci possono esser utili, in qualche caso indispensabili per la cura, ma nulla di più. Il farmaco miracoloso che può risolvere da solo una qualsiasi situazione di dipendenza patologica, non esiste.
Pensare che esista un Guru che possiede la verità e, quindi, conosce una via verso la salvezza che non è nota agli altri. Aspettarsi miracoli è un bel segno di fede ma, in questo campo non aiuta e passivizza.
Pensare che esista un particolare percorso che sia la risposta a qualunque male. Ritorniamo ai punti precedenti. Nessun intervento serio è buono o cattivo in assoluto. Bisogna comprendere bene di cosa si tratta, prima di proporre un percorso di qualunque genere. Sbagliare nella scelta del percorso è senz’altro una perdita di tempo, ma le perdite di tempo sono pericolose perché il tempo per curare e prendersi cura non è illimitato, prima che si producano danni o peggiori la situazione.
Pensare che iniziare un qualsiasi percorso di cura corrisponda con la guarigione o con la immediata scomparsa dei sintomi. E’ vero che esiste anche l’effetto placebo ma non è ragionevole attendersi risultati da un percorso di cura quando è ancora tutto da fare. Ci sono situazioni che, a volte, migliorano molto rapidamente nel momento in cui inizia un percorso di cura, ma è meglio tenere presente che questo miglioramento non è la guarigione. Il troppo ottimismo, in questi casi, e l’abbandono precoce del percorso che ne consegue, sono da evitare accuratamente.
Pensare di poter aderire passivamente a un percorso di cura: in questo tipo di trattamenti o il paziente partecipa in modo attivo o non funzionano. Lo dico soprattutto a chi spera diversamente per sé o per altri.
Pensare che un terapeuta o un altro siano indifferenti: della esperienza abbiamo già parlato ma ribadisco che in questi percorsi il paziente deve lavorare con il terapeuta o i terapeuti. Quindi, nel limite del possibile, è importante scegliere. Sarò banale ma nessuno di noi, potendo scegliere, lavorerebbe al lungo e con successo con una persona con cui non trova la giusta intesa, di cui non si fida o che non stima. Purtroppo uno dei limiti dei Servizi Pubblici è che la possibile scelta dei terapeuti in una singola sede è, ovviamente, limitata. Se esiste una unica equipe, ad esempio, non c’è scelta alternativa. Purtroppo per ragioni amministrative ed organizzative (a mio parere incostituzionali), molte Aziende Sanitarie permettono l’accesso solo al Servizio competente per la specifica zona di residenza.
Colpevolizzarsi per una ricaduta nel comportamento additivo durante il percorso di cura. Durante la cura non si è guariti; ci si sta curando. Per avere un successo stabile ci vuole tempo. Quindi, più che colpevolizzarsi, è necessario utilizzare la ricaduta per costruire esperienza: raccoglierne i segni premonitori per non ripeterla.
Pensare che si possa stare in cura per tempi lunghi senza alcun risultato. Va bene la fiducia ed il dare tempo al tempo, ma alcuni risultati positivi (dopo alcuni mesi di trattamento, non subito!!) devono essere evidenti: se non ci sono, il percorso deve essere rivalutato. Se però ci sono risultati, anche parziali, di solito è meglio non abbandonare il trattamento in corso, per cercare qualcosa di differente.
– Pensare che non si possa guarire da una dipendenza patologica: alcuni lo teorizzano e fa parte della cultura esperienziale anche di importanti gruppi di auto-aiuto. Vi sono lavori scientifici che rappresentano la dipendenza patologica come cronica e recidivante ma anche lavori che ci parlano di tossicodipendenze che si sono, nel tempo, risolte anche senza cure. Nel bene o nel male siamo individui, partecipi della nostra storia: le statistiche possono essere utili, ma il nostro destino rimane individuale, nel bene e nel male. La mia esperienza è che si possa uscire completamente da una dipendenza patologica, anche se la situazione individuale richiede molta attenzione nel tempo: il rischio di ricaduta o di contrarre una nuova, diversa, dipendenza patologica è reale per molte persone. Tenerlo sempre presente in modo attivo e comportarsi di conseguenza, tuttavia, ha un effetto protettivo.
Pensare che la dipendenza patologica sia l’unico rischio per chi ha comportamenti additivi. Negli USA, in un anno, muoiono più persone per overdose di quante ne siano morte nella guerra del Vietnam. Ogni dieci anni per l’uso di alcol, tabacco e altre droghe, muoiono nel mondo circa 100 milioni di persone. Tra queste solo una parte ne erano dipendenti in modo conclamato. Per questo è necessario intervenire il più precocemente possibile. Per questo anche in caso di dubbio è meglio approfondire con persone esperte. Naturalmente chi ha comportamenti additivi non da sostanze si sente più al “sicuro” ma … attenzione. Per chi è vivo la qualità della vita non è secondaria e ci sono comportamenti additivi che per ragioni diverse, possono diventare devastanti anche se, non necessariamente, uccidono
Pensare che in fondo c’è tempo e, quindi, è meglio godersela. Se una persona aderisce a questo tipo di risposta vuol dire che si è già posta qualche interrogativo. I comportamenti additivi, in fase iniziale, tuttavia, sono fonte di forme di piacere che prevalgono su altre considerazioni. Ancora una volta ricordo di non sottovalutare certi segnali di allarme; se qualche dubbio ci passa per la testa una ragione c’è. Dirsi che già ci sono tanti problemi e, quindi, non è il caso di togliersi ciò che è in grado di procurare piacere è un modo pericoloso per rimandare una corretta lettura della realtà. L’uso di sostanze e i comportamenti additivi sono quasi sempre un problema in più, che si aggiunge agli altri che, ogni giorno, affrontiamo.
Rivolgersi a un terapeuta o ad una equipe di cura e non seguire le indicazioni, oppure e mentire riguardo alla propria situazione. Questa è semplicemente una idiozia: tempo perso per tutti che potrebbe essere dedicato a cose migliori.
Credere che l’uscita da situazioni a rischio o da dipendenze patologiche sia un percorso lineare. Non lo è. Soprattutto quando esistono interventi psicoterapici di qualunque genere è probabile che la situazione complessiva sia ad alti e bassi, con periodi di franco miglioramento ed altri di completa stasi o di peggioramento. Quando la situazione peggiora, normalmente, chi è in trattamento pensa di essere tornato al punto di partenza anche se non è mai così. L’importante è che, progressivamente la situazione migliori. Se il percorso è corretto tuttavia i bassi saranno sempre meno bassi e gli alti … più alti.
Essere troppo “teneri” con se’ stessi. Intendiamoci, per uscire da una dipendenza patologica bisogna volersi bene, ma il compatirsi è solo negativo e controproducente. Esiste una sorta di adattamento a qualunque patologia che, se da una parte è utile per superarla, dall’altra può essere deresponsabilizzante, cronicizzante e impedire evoluzioni positive che sono perfettamente raggiungibili. Si può sempre trovare una ragione per non fare, per sentirsi sfortunati o meno dotati degli altri e, quindi, per rimanere come si è. E’ il segno della cronicità: ciò che la può mantenere viva e presente per sempre.
Essere troppo “duri” con sé stessi. E’ l’errore opposto al precedente. Contrarre una dipendenza patologica può essere parzialmente una conseguenza di scelte sbagliate o di errori di valutazione, ma non è una “colpa”. I fattori che conducono ad una dipendenza patologica sono molteplici e solo in parte sono riconducibili alla volontà, anche perché nessuno anche il più “pazzo” di noi “sceglierebbe” consapevolmente questa patologia, conoscendola.
Credere che se si ha una dipendenza patologica, sia l’unica nostra malattia. Non è raro che alle dipendenze patologiche si accompagnino altre patologie, spesso curabili, che aggravano la situazione. Per questo sono necessari percorsi diagnostici accurati. Se il tono dell’umore è spesso alterato, ad esempio, può essere che ci sia un problema che non è necessariamente conseguenza della dipendenza ma può addirittura esserne una concausa. Egualmente se ci sono ossessioni o compulsioni. Curare la dipendenza e trascurare il resto può essere un grave errore. Quando la dipendenza è da sostanze (droghe, alcol, farmaci ecc.) anche la situazione fisica va verificata molto bene perché è difficile che non ci siano alterazioni che non debbano essere tenute sotto controllo-

Pensare che uscire da una dipendenza patologica sia una sorta di pena e di sofferenza da scontare. I percorsi possono essere lunghi ed inevitabilmente complessi. Spesso richiedono molto impegno ma sono una esperienza veramente liberatoria e, in questo senso, inebriante. Uscire da una dipendenza patologica permette di conoscersi meglio e di scoprire risorse interne che, probabilmente, nemmeno si pensava di avere; di aprire nuovi orizzonti verso una “rinascita” individuale e di relazione con la propria vita, con gli altri e col mondo. Il “dopo” è la ri-acquisizione di abilità e di possibilità che “prima” erano perse o coartate.

 

Caro lettore,

ora hai elementi importanti da valutare: poche “regole”, una serie di errori da evitare e una serie di idee su cui riflettere. Il discorso potrebbe essere ancora più lungo e complesso ma il mio obiettivo era semplice: far comprendere che la dipendenza patologica (assieme a qualunque comportamento additivo) è una situazione sempre molto grave e pericolosa e quindi … non arrivarci sarebbe l’ideale, ma una volta che c’è, un intervento realizzato quanto prima è la cosa migliore che si possa fare. Qualsiasi intervento appropriato, oltre tutto, rende possibile un equilibrio positivo e permette una migliore qualità della vita, dell’amicizia, dell’amore, della sessualità, del lavoro, della partecipazione sociale: tutte cose che i comportamenti a rischio e, a maggior ragione, le dipendenze inibiscono. Se poi la dipendenza o i comportamenti a rischio sono anche una sorta di “coperta” per un disagio più profondo, a maggior ragione vale la pena di affrontarlo e risolverlo. Lasciarlo dove sta e soffocarlo rischia solo di corrodere dall’interno, inutilmente, visto che c’è sempre un rimedio. Insomma proprio perché la vita è breve e val la pena di viverla a pieno, anche se iniziare un percorso è difficile, perché richiede di mettersi in gioco diversamente, è meglio iniziarlo il più presto possibile. Una volta iniziato, quello che molti si chiedono è “perché non l’ho fatto prima”? :-)

Riccardo C. Gatti

 

Per capirne di più e tentare una auto-diagnosi della dipendenza da droghe seguire questo link 

Consiglio anche di leggere perché non consiglio l’auto-cura seguendo questo link