La nostra “organizzazione” governativa in tema di droghe e dipendenze è generata dalle normative in vigore ed in particolare del DPR 309/90 “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza” e relative modifiche. Infatti, quando chi opera nel settore vuole stimolare un maggior interesse dello Stato nei confronti del problema droga e dipendenze patologiche, proprio riferendosi  quel decreto, richiede il potenziamento o il rilancio del Dipartimento Nazionale delle Politiche Antidroga e la convocazione della Conferenza Nazionale, prevista ogni tre anni e, da tempo, non convocata.

Ma questo modello organizzativo è ancora adatto ai tempi?

A monte del Dipartimento, è istituzionalmente previsto, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il poco citato ma ben più importante, Comitato nazionale di coordinamento per l’azione antidroga.  Il Comitato è composto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che lo presiede, dai Ministri degli affari esteri, dell’interno, di grazia e giustizia, delle finanze, della difesa, della pubblica istruzione, della sanità, del lavoro e della previdenza sociale, dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica e dai Ministri per gli affari sociali, per gli affari regionali ed i problemi istituzionali e per i problemi delle aree urbane, nonché dal Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri.  Le funzioni di presidente del Comitato possono essere delegate al Ministro per gli affari sociali ed alle riunioni del Comitato possono essere chiamati a partecipare altri Ministri in relazione agli argomenti da trattare. Competenze e nomi di alcuni ministeri si sono modificati nel tempo, ma il significato è chiaro: il Comitato è una specie di “Consiglio dei Ministri dedicato” che si riunisce sul tema specifico ed ha, per legge, “responsabilità di indirizzo e di promozione della politica generale di prevenzione e di intervento contro la illecita produzione e diffusione delle sostanze stupefacenti o psicotrope, a livello interno ed internazionale”. Il tutto è inserito nell’Articolo 1 del DPR 309/90 intitolato: “Comitato nazionale di coordinamento per l’azione antidroga. Assistenza ai Paesi in via di sviluppo produttori di sostanze stupefacenti”.

Dagli articoli di legge è chiaro che la azione “collegiale” di Governo, riguarda la prevenzione e l’intervento “contro la illecita produzione e diffusione delle sostanze stupefacenti o psicotrope”. Stiamo quindi parlando di droghe, intese come sostanze soggette a controllo ed elencate nelle apposite tabelle.

Si tratta di uno schema tattico che ha a che fare con il concetto di guerra alla droga (war on drugs) coniato da Richard Nixon e poi ripreso in Italia nel 1988, quando Bettino Craxi cominciò ad avanzare la proposta di una legislazione punitiva, non solo sul versante dell’ offerta, ma anche su quello della domanda che si realizzerà, appunto, con il DPR 309/90.

Forse, proprio seguendo il modello statunitense, il delegato del Presidente del Consiglio per la presidenza del Comitato nazionale di coordinamento per l’azione antidroga, coadiuvato dal suo “braccio destro”, il Direttore del Dipartimento Nazionale, più che un “coordinatore” si è talvolta trasformato in una sorta di “CZAR antidroga”, denominazione che, negli USA viene informalmente attribuita alla persona che dirige le politiche di controllo della droga dettate dalla Casa Bianca. Il tutto, però, con proprietà aggiuntive. Il modello USA, infatti, ben distingue tra l’Ufficio della Casa Bianca ed il National Institute on Drug Abuse (NIDA).

Il NIDA ha lo scopo di sostenere e rendere applicabili le conoscenze scientifiche su cause e conseguenze dell’uso di droghe e sulle dipendenze per migliorare la salute individuale e pubblica. L’Ufficio delle politiche nazionali dei controllo delle droghe – Office of National Drug Control Policy (ONDCP) – lavora invece per ridurre l’uso di droghe e le sue conseguenze dirigendo e coordinando lo sviluppo  l’implementazione e la valutazione delle politiche U.S. sulla droga.

Il nostro Dipartimento nazionale, invece, nella sua storia, ha vissuto momenti tutto/nulla passando, in presenza di un delegato del Presidenza del Consiglio, ad accorpare contemporaneamente funzioni simili a quelle del NIDA e dell’ONCP per ritornare, in assenza della delega  (e quindi afferendo il suo Responsabile direttamente al Presidente del Consiglio) a più semplici funzioni di supporto della Presidenza del Consiglio, sebbene specializzate.

Le funzioni tecnico/scientifiche esercitate direttamente e per mezzo del finanziamento di progetti ad hoc, si sono sempre rafforzate contemporaneamente al rafforzamento delle funzioni politiche dimostrando, se ce ne fosse ancora bisogno, la corrispondenza tra l’impegno repressivo “contro la illecita produzione e diffusione delle sostanze stupefacenti o psicotrope” e l’impegno per la cura. Un dualismo tipico della guerra alla droga “public enemy number one”, lanciata da Nixon e proseguita dai suoi successori. Questo, in periodi differenti, ha anche creato qualche sovrapposizione e, probabilmente incomprensioni, tra Organismi diversi deputati alla repressione del traffico oppure, come le Regioni, all’organizzazione del Sistema di Prevenzione e cura. Il fatto che il Dipartimento Nazionale Politiche Antidroga sia, prima di tutto, un organismo di supporto del Governo e non un organismo tecnico-scientifico “indipendente”, lo ha sempre posto in una situazione complessa soprattutto nel momento in cui, più che da supporto al Coordinamento delle politiche dell’esecutivo, si è proposto come organo di indirizzo della azione sulle dipendenze patologiche in senso ampio.

In Italia, comunque, la correlazione tra guerra alla droga e sistema di cura non ha giovato proprio a quest’ultimo che, pur essendo finanziato a tutti gli effetti dal Sistema Sanitario, ha sempre goduto di un interesse particolare nei momenti di emergenza anche solo mediatica collegata all’uso di sostanze, per poi essere pressoché “dimenticato” nei periodi di quiete tra una emergenza ed un’altra. Emergenza che è sempre stata evocata ogni volta che si riteneva opportuno intervenire su qualche tema specifico, creando una sorta di vortice virtuoso tra dichiarazione dell’emergenza, investimenti per arginarla, dimostrazione del fatto che l’emergenza fosse reale. Questo, però, allontanandosi da qualunque equilibrata valutazione epidemiologica ha finito per plasmare gerarchie di intervento che hanno orientato l’accessibilità, l’organizzazione e la disponibilità di cura.

Abbiamo registrato parzialmente risultati positivi per quanto riguarda le droghe illecite: “nel 1995 l’Italia ha registrato oltre 1200 morti in un solo anno, lo stesso numero della Germania, mentre la Francia 400 e l’Olanda 100. Vent’anni dopo registriamo appena 200 morti, e per questo siamo il paese che ha maggiormente abbattuto il numero di morti per overdose rispetto a quelli considerati” (Droga, gli italiani ai primi posti in Europa. Ecco chi consuma cosa Il Sole24ore – Cristina Da Rold 5 aprile 2018). Forse i nostri sistemi di catalogazione e rilevazione dei decessi per droga lasciano qualche dubbio, resta il fatto tuttavia che la situazione, nel tempo, per quanto riguarda le overdose da droghe è andata migliorando anche se, dice sempre il Sole24ore, “Quanto a consumo di droghe il nostro paese è fra i peggiori in Europa, con il 22% degli adulti fra i 15 e i 64 anni che nel 2017 ha fatto uso di una qualche sostanza. La stessa percentuale dell’Olanda.” Non sono inoltre perfettamente convinto che questa situazione favorevole durerà a lungo, viste le sostanze che ormai si stanno diffondendo in tutta Europa e le promozioni, in corso, sulle vendite di eroina low cost.

Ritornando alla nostra trattazione, qualcosa nelle priorità di intervento e nell’organizzazione del Sistema Sanitario mostra, comunque, evidenti limiti. Un esempio per tutti riguarda il fatto che sebbene alcol e tabacco siano le sostanze che creano maggiori problemi per la salute delle persone, l’attività dei Servizi Dipendenze (SERD) rimane orientata soprattutto al trattamento delle dipendenze da sostanze illecite, anche se l’introduzione nei Livelli Essenziali di Assistenza del trattamento del Gioco d’Azzardo Patologico sembra dare un segnale diverso.

Probabilmente il concetto di “guerra alla droga” va perdendo vigore. Oltre alla critiche di chi, per principio, è contrario ad ogni forma di proibizionismo ed alle osservazioni di chi ha visto trasformarsi la guerra alla droga in guerra alle persone, proprio gli Stati Uniti e tutto il Nord America stanno, infatti, attraversando una situazione epidemica connessa alla diffusione di oppiacei, nata e cresciuta con l’uso improprio di farmaci da prescrizione e non di droghe illecite, subentrate solo in un secondo tempo. E’ indubbio, quindi, che l’attenzione massima alla diffusione del traffico di droga abbia distolto, in quella zona del mondo,  l’attenzione da un altro tipo di fenomeno che, comunque, ha generato dipendenze patologiche e morti per overdose, con ingentissimi costi individuali e sociali. Inoltre l’originale concetto di “war on drugs” prevedeva anche una più ampia possibilità di accesso gratuito alle cure. Evidentemente negli USA questa possibilità non è stata raggiunta, visto che ancor oggi viene descritta come un rimedio auspicabile, da realizzarsi per ciò che sta accadendo.

Il punto debole della guerra alla droga, infatti, è stato quello di indirizzare strategie, azioni e risorse sulla illecita produzione e diffusione di sostanze vietate perché “tabellate” come tali, ma non su altre. Seguendo questa logica, in presenza di nuove sostanze con nuove tipologie di consumo, la principale azione conseguente è diventata quella di trasformare il lecito in illecito. Un percorso di rincorsa che ha caratterizzato anche l’Europa sino ai giorni nostri, dando però sempre minore attenzione a ciò che, per definizione, era considerato lecito. Così, poco per volta, rendendo il lecito illecito, ci si è spostanti verso un confine difficilmente superabile con le metodologie repressive tradizionali e, cioè, quello dei farmaci (psicoattivi) usati impropriamente o di altre sostanze, comunemente distribuite per altri usi, ma che possono anche essere usate come droghe. Questo tenendo conto anche della rivoluzione di tutti i mercati generato dalla esistenza di Internet e da ciò che ne consegue, nei rapporti tra chi vende e chi compra e per la distribuzione di beni di consumo.

Il risultato finale è stata una attenzione selettiva ad una parte di problemi reali che, tuttavia, non sono quelli che generano, in questo campo, la maggior parte delle conseguenze sulla salute, acute e croniche, e la circolazione di sempre nuove sostanze dagli effetti sconosciuti e non sempre ipotizzabili.

La maggior parte dei decessi e delle malattie collegate all’uso di sostanze psicoattive che, tra l’altro possono dare dipendenza, sono tuttora legati all’uso di alcol e tabacco. L’uso di farmaci psicoattivi a scopo non terapeutico rimane, inoltre, un universo scarsamente conosciuto ed esplorato. I Servizi Tossicodipendenze si occupano soprattutto di persone che hanno disturbi collegati all’uso di droghe (illecite),  perché questo è stato l’indirizzo di priorità collegato con i compiti istituzionali dell’unico organo di indirizzo politico governativo in questo ambito: il Comitato Nazionale di Coordinamento per l’Azione Antidroga. Anche se può sembrare una battuta, diverso sarebbe stato se la legge avesse previsto un “Comitato Nazionale di Coordinamento per l’Azione sull’uso di sostanze psicoattive a scopo non terapeutico e sulle dipendenze patologiche”, ma questo non era negli intendimenti.

Anche la funzione della Conferenza Nazionale, da convocarsi “sui problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope” rimane, a mio parere, controversa. Sebbene finalizzata a comunicare le conclusioni, non al Governo ma al Parlamento (e, quindi, all’Organo legislativo, non all’Esecutivo), spesso è stata considerata come uno strumento del Governo, non del Parlamento, perché, di fatto, convocata dal Presidente del Consiglio e organizzata dal Dipartimento Nazionale Politiche Antidroga. Gli oppositori del Governo in carica, quindi, l’hanno vista, di volta in volta, come una occasione per rendere visibile il loro dissenso, non partecipando o organizzando contro-conferenze. Altri l’hanno utilizzata come il mezzo per richiedere maggiori risorse, oppure per pubblicizzare la loro azione.  Più difficilmente la conferenza in sé è stata realmente ciò che avrebbe dovuto essere: il modo di “individuare eventuali correzioni alla legislazione antidroga dettate dall’esperienza applicativa”. Se anche avesse raggiunto pienamente il suo obiettivo, comunque, occuparsi delle correzioni alla “legislazione antidroga” avrebbe mantenuto la focalizzazione sul tema delle droghe illecite.

Riassumendo: Comitato, Dipartimento e Conferenza Nazionale sono la naturale risultanza di una azione che si coordina anche a livello internazionale, ed ha, come prima finalità, il contrasto alla diffusione di sostanze illecite. Comitato e Dipartimento, quindi, hanno avuto particolare rilevanza in tempi di dichiarata “guerra alla droga” e continuano ad averne nel confronto delle azioni concordate internazionalmente che riguardano le sostanze illecite. Nel momento in cui si parla invece, più in generale, di utilizzo di sostanze psicoattive a scopo non terapeutico e di dipendenze da sostanze lecite o, ancora, di dipendenze patologiche non legate a sostanze, la loro funzione e competenza diventa ambigua e confusa. C’è pertanto da chiedersi se, oggi, abbiamo realmente bisogno di questi Organismi, per come sono stati pensati, o abbiamo bisogno di qualcosa di differente.

Se “presidiare” il tema della repressione del traffico e della diffusione di sostanze illecite è necessario, anche perché si tratta effettivamente di una azione che ha bisogno di coordinamento e di interazioni anche a livello internazionale, è anche giunto il momento di comprendere come l’azione antidroga, intesa come repressione della offerta di sostanze illecite, non può essere coniugata in una unica strategia con la prevenzione dell’uso di sostanze psicoattive a scopo non terapeutico e l’offerta di cura e di programmi riabilitativi per chi ha problemi connessi all’uso di sostanze oppure, una dipendenza patologica, anche non legata a sostanze.

Gli stessi SERD (Servizi pubblici Dipendenze) difficilmente riescono ad essere guidati concretamente verso una progressiva evoluzione che permetta un allargamento del campo di intervento. Le legislazione attuale affida loro compiti vincolanti su una serie di azioni che hanno a che fare più con azioni di controllo relative all’uso di sostanze illecite che con la cura delle conseguenze dell’uso di tutte le sostanze psicoattive e con il trattamento delle dipendenze patologiche. Questo è visibile nei numeri: molti pazienti accedono ai SERD perché sottoposti a regimi di tipo amministrativo o penale che, di fatto, li costringono a questa scelta. Ciò riduce le risorse disponibili per l’intervento su altri tipi di problematiche. La stessa decisione di associare i SERD al Dipartimenti di Salute Mentale, operata da diverse Regioni, potrebbe, nel tempo, diventare soprattutto un ripiegamento tattico dove, in carenza di risorse, si sposta l’azione terapeutico riabilitativa pubblica principalmente su soggetti con problemi di tipo penale o amministrativo (perché previsto dalla legge) o su soggetti che utilizzando sostanze hanno problemi di tipo psichiatrico. In pratica verrebbero, di fatto, privilegiate le azioni di controllo sociale e di gestione della cronicità su tutte le altre. Una strategia che ci vedrebbe perdenti nel momento in cui si generassero nuovi fenomeni epidemici, come quelli che si stanno verificando negli USA ed ora, parzialmente, in alcuni Paesi europei.

Probabilmente un primo passo avanti per una evoluzione positiva che superi i paradigmi di guerre alla droga, ormai concluse da tempo, potrebbe essere quello di rivedere la legislazione, separando nettamente le funzioni ed il supporto all’Esecutivo inerente la repressione del traffico, da quelle inerenti l’indirizzo ed il supporto tecnico-scientifico (eventualmente anche alle Regioni), relativo gli interventi di ambito socio-sanitario. Separare non significa che in un diverso quadro maggiormente definito non possano esistere punti strategici di incontro. Un punto di snodo e di incontro tra i due ambiti potrebbe, ad esempio, essere quello della costruzione di un Osservatorio nazionale, in grado di descrivere i fenomeni in corso e le loro conseguenze dal punto di vista socio-sanitario ma, anche e soprattutto, di disegnare scenari previsionali sulla evoluzione della situazione. Alternativamente c’è il serio rischio di mettere in atto tutta una serie di azioni semplicemente perché si sono sempre fatte, senza nemmeno ricordarsi il perché, e senza rendersi conto delle loro contraddizioni intrinseche, rispetto alla situazione reale ed alla sua evoluzione. Non credo che tutto ciò sia particolarmente difficile da realizzare, anche soltanto con le risorse e le esperienze già presenti.

Ciò che occorre, piuttosto, è la volontà di costruire quadri normativi, istituzionali ed operativi più articolati, flessibili e diffusi sul territorio nazionale, attribuendo responsabilità e risorse distribuite, differenziate e chiare. Insomma, se non si fosse compreso, la logica di un unico punto di coordinamento di tipo “ministeriale”, affidato alle logiche di una sola persona ed alla cerchia ristretta dei suoi collaboratori, in grado di determinare complessivamente le politiche e le conseguenti azioni di settore, privilegiando, tra l’altro, l’interesse sulle droghe (illecite), non è più adeguata ai tempi.

Un diverso modo di organizzarsi presume un diverso modo di ragionare sul tema e viceversa, ma, oggi, tutto questo, più che una voglia di rinnovamento fine a sé stessa, è diventata una necessità. Ciò che farà la differenza sulle criticità in atto e su quelle che avremo in un prossimo futuro, è quando ci accorgeremo di questa necessità ed agiremo di conseguenza. Questo, soprattutto, se ciò che ci interessa è contenere fenomeni che danneggiano pesantemente la salute fisica e psichica dei cittadini ed il tessuto sociale, con costi individuali e sociali molto alti.  A mio parere occorre muoversi appropriatamente, ma anche velocemente. Gli scenari in questo ambito non sono statici, cambiano velocemente: spesso, in peggio.

Riccardo C. Gatti