Le grandi pandemie, come le grandi guerre, ridisegnano la storia in modo complesso. Di fatto cambiano gli scenari in cui le persone costruiscono la loro vita, in modo più sostanziale di quanto lo facciano le grandi scoperte tecnologiche e scientifiche che, egualmente, cambiano gli scenari, ma in modo più fluido e dilazionato nel tempo.

Per quanto riguarda la pandemia da SARS – COV – 2, al momento, le informazioni che abbiamo ci dicono che dovremo convivere con il virus e che abbiamo la necessità di rallentare il più possibile la sua diffusione per non fare “saltare” il sistema sanitario. Al momento tutti sperano in un prossimo vaccino che risolva il problema pandemico e permetta di ritornare alla vita di sempre. Ma, anche nella situazione più favorevole, ci vorrà del tempo. Questo, a medio termine, è probabile che possa indurre stabilmente una diversa organizzazione sociale. Infatti, già da ora, la pandemia ha reso evidenti alcune assurdità del nostro modo di vivere e l’opportunità di organizzare diversamente almeno parte la nostra esistenza. Non per nulla, alcune problematiche, sono state affrontate attivamente nell’emergenza da diverse organizzazioni, perché erano già in possesso delle tecnologie necessarie per poterlo fare. Mi riferisco, ad esempio allo smart working, ma anche al rapporto in remoto con i clienti, alla delivery di prodotti, alle consulenze on line di vario genere ecc. In pratica il maggior successo si è avuto per scelte che già erano potenzialmente perseguibili con profitto, ma erano adottate solo parzialmente perché, in ogni settore, ciascuno tende normalmente ad organizzarsi con le medesime modalità, procedure e tecniche da sempre utilizzate. Per questo i grandi cambiamenti, quando non legati a scoperte rivoluzionarie o a sconvolgimenti epocali, seguono l’avvicendamento delle generazioni. Le situazioni connesse alle pandemie ed alle guerre, sono spietate perché mietono direttamente vittime ma anche perché cambiano, in tempi relativamente brevi, gli scenari, dal punto di vista socio-economico ed organizzativo, dal punto di vista globale ma anche per quanto riguarda i singoli individui. La “ricostruzione” che sempre segue questi eventi diventa così un grande reset complessivo della società che si prepara con l’esperienza maturata in fase critica.

Questo significa che attività e modalità operative usuali, possono diventare improvvisamente obsolete o inutili ed altre possono nascere, prosperare e diffondersi in una nuova normalità che cambia il valore ed il significato delle cose. Questo fa la differenza tra ciò che sopravvive, dal punto di vista organizzativo, operativo e/o commerciale, e ciò che, invece diventa inutile e muore.

I Servizi Dipendenze (SERD), agiscono in un ambito socio-sanitario che è sempre vissuto ai margini: intermedio, tra la sanità e la assistenza. Non si tratta di servizi realmente specialistici, perché non esistono specialità in medicina o in psicologia delle dipendenze ed hanno un accesso diretto, analogo ai servizi di base. Per alcuni osservatori vengono considerati parzialmente obsoleti ed inadatti alla realtà, e questo è un giudizio molto particolare, visto che questi Servizi hanno, da tempo e prima di altri, abbracciato operativamente, mettendola in atto, una modalità di azione multidisciplinare e, in alcuni casi metadisciplinare, che attualmente è propria, ormai, dei settori più avanzati della società contemporanea. Tuttavia, paradossalmente, se continueranno ad operare come hanno sempre fatto, senza modelli operativi innovativi, è possibile che l’immagine proiettata all’esterno, già parzialmente decadente, nel medio termine, possa identificarsi con concetti di inadeguatezza. Se questo si verificasse, la motivazione per avvalersi da questi servizi, al di fuori di una situazione cronica senza alternative, potrebbe calare, di conseguenza, progressivamente. Insomma: una obsolescenza programmata, più che da un singolo progettista, da una serie di fattori e scelte complesse e confluenti.

L’innovare, in questo ambito, così come in altri, tuttavia, non è facile, anche perché, innovare, brucia risorse ed il settore ha subito l’impoverimento di risorse tipiche di tutto il sistema sanitario e sociosanitario, assieme ad una mancanza di attenzione per gli interventi territoriali di un Sistema Sanitario Regionalizzato che in molte parti del Paese è rimasto essenzialmente centrato sugli ospedali. Tuttavia, ciascuna Unità di Offerta di questo settore, proprio per la sua “marginalità”, rispetto ad altri ambiti specialistici di maggiore e più stabile interesse, ha avuto modo di evolversi in modo meno condizionato, secondo strade ed esperienze proprie. Il rischio, sottostante rimane quello di una autoreferenzialità, agita a diversi livelli: non ultimo quello delle prassi operative di ogni singola sede. Questo può portare ad una implicita selezione dell’utenza, in base agli interessi degli operatori o agli obiettivi della loro organizzazione di appartenenza e non in base al bisogno del territorio o della popolazione di riferimento. Ma questa diversità nelle prassi operative e, quindi, nell’offerta e nella accessibilità, può anche essere una grande ricchezza, se portata a sistema ed organizzata, soprattutto in quegli ambiti territoriali dove agiscono più unità di offerta.

Cosa, dunque, potrebbe portare realmente ad una possibile obsolescenza precoce i Servizi Dipendenze che, pure, agiscono correttamente nel rispetto dello stato dell’arte delle conoscenze tecnico scientifiche, secondo metodologie multidisciplinari evolute?

Nel descritto percorso di “autonomia evolutiva”, l’intervento, pur basato sullo stato dell’arte delle conoscenze tecnico-scientifiche, non ha mai potuto prescindere da un importante fattore congenito ed unificante: la nascita e la crescita del settore come parte di una strategia di contrasto all’uso di droghe illecite. Questo ha indirizzato influenzato il mandato operativo e l’azione conseguente soprattutto su due assi principali: il contenimento di tutto ciò che, in questo ambito, è considerato devianza e la gestione della cronicità connessa alle dipendenze patologiche, con particolare riferimento alla dipendenza da sostanze illecite. Anche per questa ragione i SERD sono rimasti un po’ ai margini, rispetto al resto di un Sistema Sanitario che, invece, si focalizzava sempre più sul “puro” intervento di cura specialistico, ma dove le dipendenze da sostanze lecite, come il tabacco o l’alcol, trovavano spazi di cura nell’ambito di diverse specialità come, ad esempio, la pneumologia o la medicina interna. Ciò a differenza del trattamento della dipendenza da sostanze illecite, quasi totalmente confinato nei SERD. E se, in una fase iniziale, i medici dei SERD potevano essere specializzati in Medicina Interna, Tossicologia Clinica o Psichiatria, ma anche, per un certo periodo, in Malattie Infettive, gradualmente il settore veniva annesso, in diverse Regioni, dalla Salute Mentale. Per quanto riguarda i Medici, quindi, alla Psichiatria.

Così l’utenza dei Servizi Dipendenze è oggi costituita, prevalentemente, da consumatori di sostanze illecite, anche se è ben noto come sia il ben più diffuso uso di sostanze psicotrope lecite (tabacco, alcolici e, probabilmente, anche farmaci), a creare i maggiori danni per la salute. Inoltre una fetta consistente degli utenti si rivolge al sistema soprattutto per attenuare le conseguenze sulla libertà personale di sanzioni e provvedimenti connessi con l’uso ed al possesso di droghe illecite. Che soffrano o meno di disturbi connessi all’uso di sostanze, debbono essere sottoposti a diagnosi ed a controlli che assorbono una parte non indifferente delle capacità erogative dei Servizi, saturando una parte importante delle risorse altrimenti utilizzabili per prestazioni terapeutico – riabilitative. Il presupposto è che questi interventi “obbligati” possano essere un modo per agganciare una popolazione che, altrimenti, non si rivolgerebbe alla cura, ma i risultati effettivi di questi percorsi sulla salute delle persone sono poco misurati e noti. Viceversa, la possibilità di offerta clinica di tipo preventivo, per tutelare la salute di chi usa sostanze psicotrope a scopo non terapeutico e non ha intenzione di sospenderlo, non essendo affetta da particolari disturbi o interessata da azioni restrittive della libertà, non è stata generalmente presa in considerazione. Forse vista come paradossale, è stata organizzata prevalentemente nell’ambito di specifiche azioni progettuali di “riduzione del danno”, indirizzate soprattutto a fasce di popolazione marginali o a luoghi di aggregazione specifici e, quindi, normalmente a valle dello sviluppo di possibili problematiche, non a monte. La denominazione “Servizi Dipendenze” (evoluzione di Servizi Tossicodipendenze che si occupano, secondo i Livelli Essenziali di Assistenza, anche di disturbi da Gioco d’Azzardo) non è quindi, casuale. Lascia il dubbio irrisolto che, anche grazie ad un sistema normativo ad hoc, sempre legato ad “emergenze droga” successive, reali o mediatiche, il lavoro dei SERD e delle Comunità Terapeutiche sia stato pensato, anche se non da chi ci lavora, come un contenitore. Infatti, uno dei pochi indici considerati per provare l’efficacia degli interventi è, tuttora, considerato la “ritenzione in trattamento”, anche quando è legata a farmaci che, a loro volta, provocano una situazione di dipendenza, sebbene “stabilizzata”.

Ma se le situazioni di crisi globale accelerano cambiamenti che altrimenti sarebbero più lenti e legati all’avvicendamento di generazioni. La politica, spesso, li interpreta in anticipo e, infatti, è già da tempo che le questioni legate a ciò che si chiamava “emergenza droga”, non sono più in agenda: vengono messe in secondo piano. Lo stesso interesse dei media per questo campo è ridotto. Dura qualche giorno, in caso di eventi drammatici, ma si spegne molto rapidamente. I momenti “eroici” in cui i leader salvifici di settore frequentavano i salotti televisivi, almeno quanto i virologi al tempo del COVID, fanno ormai parte della storia del secolo scorso. Chi lavora nel settore della prevenzione e della cura si lamenta di ciò che ne deriva: una scarsa attenzione, rispetto al passato. Forse, non si rende pienamente conto del fatto che la politica ed i media hanno già colto gli umori di una parte consistente della società che non percepisce più il consumo di droga come un problema da risolvere, a condizione che non vada a turbare palesemente il decoro urbano, o a mettere in discussione la sicurezza o l’ordine pubblico. A queste condizioni, se il consumo rimane invisibile, generando comunque PIL, legale o illegale che sia, ed occasioni di lavoro, va bene così.

Infatti, negli scenari internazionali, sostanze un tempo bandite, poco per volta, rientrano gradualmente nel mercato, per essere riproposte come farmaci o pseudo-farmaci, anche attraverso start-up quotate in borsa. Le stesse istanze antiproibizioniste, ormai, più che su ragioni libertarie, sembrano concentrarsi, sempre più, su argomenti economici, relativi allo spostamento del profitto dalle organizzazioni criminali alla società civile ed allo Stato. Una operazione che può essere davvero conveniente, se può contare su un uso di sostanze ampio e trasversale, simile a quello del secolo scorso per il tabacco, tale da giustificare l’interesse degli investitori per costruire catene di produzione, distribuzione e vendita. Da noi, ancora, non esistono, sebbene si stiano già abbozzando, almeno per quanto riguarda la cannabis. Nel frattempo le stesse azioni repressive coordinate in tema di droga, oggi hanno sempre più a che fare con funzioni più di tipo “regolatorio”, da parte dei Prefetti e delle Forze dell’Ordine più che con una lotta senza quartiere contro un nemico.

Insomma, la consapevolezza ormai condivisa, sebbene non sempre ufficialmente dichiarata, è che alcuni paradigmi della guerra alla droga, ad esempio quello di liberare la società dalla droga stessa, non siano realisticamente perseguibili. D’altra parte la domanda di droghe illecite è così alta che diventa difficile fare diversamente. Nemmeno il lock-down della prima parte del 2020 è riuscito a fermare questi mercati che, organizzati in una efficiente delivery, hanno accontentato i clienti affezionati, ancor meglio di come abbia fatto la grande distribuzione di alimentari nello stesso periodo, con aumenti di prezzo del tutto paragonabili o inferiori.

Anzi, proprio l’emergenza COVID sembra spingere i mercati delle droghe, verso una evoluzione, per esempio verso una maggior varietà di prodotti ed una distribuzione più efficiente, che in altri tempi sarebbe stata più lenta.

È proprio questo scenario che potrebbe contribuire a rendere rapidamente obsoleto l’intervento dei SERD, perché collegato concettualmente a paradigmi di una guerra alla droga che non viene più combattuta, spostandolo definitivamente nell’ambito del contenimento della cronicità. D’altra parte l’annessione progressiva dei Servizi al settore della Salute Mentale, potrebbe avere implicitamente proprio questo significato. Una maggiore attenzione a chi usando droghe illecite è anche affetto da disturbi mentali e, quindi, ha bisogno dell’intervento psichiatrico; una ancor minore attenzione a chi ha altri tipi di disturbi non meno importanti, sebbene collegati a situazione di dipendenza o di uso di sostanze, come il tabagismo, l’alcolismo, o l’uso di farmaci psicotropi non prescritti, già oggi intercettati, anche per la cura, da settori specialistici diversi.

Non sono in grado di prevedere quanto, nella situazione post – COVID, si accelererà un percorso per superare definitivamente i paradigmi della “guerra alla droga” intesa, alla Nixon, come “nemico pubblico numero 1”. Abbiamo, tuttavia, altri tipi di certezza: gli analisti economici ci spiegano che, nel prossimo futuro, saremo più poveri e, come nazione, ancor più indebitati. Con molti debiti, già ne avevamo troppi prima di questa crisi, è necessario guardare all’essenziale. Già da ora, la popolazione considera prioritari altri problemi. Se si riuscirà a mantenerla attiva, quindi, la sanità pubblica dovrà pesare molto bene le priorità: difficilmente i Servizi Dipendenze potranno, come invece chiedono, avere più risorse di quante ne abbiano oggi. Non è pessimismo ma un sano realismo nella visione prospettica del prossimo futuro.

Nel realismo è compresa la necessità di comprendere che, indipendentemente dalla tolleranza individuale e dal comune sentimento rispetto alla diffusione dell’uso di droghe, che sono variabili determinate da una serie di fattori diversi, la diffusione epidemica di droghe, lecite o illecite, è come le altre epidemie. Si alimenta sotto la cenere con disattenzioni, negazionismi e mancanza di strategie preventive. Quando esplode colpisce trasversalmente, in modo prima subdolo e, poi, violento. Chi è un attento osservatore di questi fenomeni si rende conto di quanta brace stia covando sotto la cenere e come la crisi che stiamo attraversando e attraverseremo, possa innescare situazioni più gravi di quelle già preoccupanti oggi.

Tralasciare, quindi, i concetti di “guerra alla droga”, dimenticandosi, però, di costruire nuove strategie alternative, potrebbe essere molto pericoloso dal punto di vista della salute di tutti i cittadini.

Un settore specializzato, o meglio ancora specialistico, indirizzato ai disturbi da uso di sostanze e, in generale, alle dipendenze patologiche, è quello che, sino ad oggi, ci ha salvato da grossi problemi (basta vedere il disastro che accade in paesi dove un Sistema di Intervento Pubblico, in questo ambito, è assente o ridotto ai minimi termini). Disperderlo o, comunque, limitarne la potenzialità dal punto di vista della tutela della salute, potrebbe essere l’inizio di un percorso difficile e doloroso del nostro Paese in questo ambito. Insomma: potrebbe essere un grave errore.

Insomma l’obsolescenza dei SERD, che sia programmata o frutto di un insieme di casualità deve essere combattuta e, in presenza di risorse non grandi, il modo più efficace e realistico è quello che, a prima vista, potrebbe essere più complesso. Reingegnerizzare  l’intervento trasversalmente al sistema sanitario e sociosanitario di cui i SERD, le Comunità Terapeutiche, i Centri Diurni ed i Progetti di settore fanno parte.

Le strade di questo realismo credo si possano concretizzare secondo alcune direzioni fondamentali:

1) Riconfigurare i Servizi Dipendenze (e di tutte le componenti dell’attuale “Sistema Dipendenze”) come nodi specializzati di reti di intervento in cui è coinvolto tutto il sistema socio-sanitario. In pratica, come per altre patologie potenzialmente gravi, invalidanti ed anche mortali, occorre creare collegamenti e prassi operative affinché, a diverso livello, dal medico di medicina generale allo specialista ospedaliero, sia strutturata una diversa attenzione clinica alla prevenzione delle dipendenze ed all’individuazione precoce dei disturbi da uso di sostanze ed alla cura. Studiare e mettere in opera, incentivandoli, percorsi innovativi per una più razionale gestione delle fasi acute di patologia, degli accertamenti connessi alle patologie correlate, e dei trattamenti a lungo termine. Ribilanciare l’offerta relativa ai disturbi collegati all’uso di sostanze lecite vs. l’uso di sostanze illecite nei servizi territoriali, in quelli ospedalieri e nella interazione tra loro.

2) Facilitare l’accessibilità alle cure specializzate, potenziando la strutturazione di percorsi più individualizzati degli attuali, anche negli orari e nella possibilità di realizzare interventi di contatto, consulenza e supporto a distanza, attraverso mezzi tecnologici audio/video; favorire l’interazione e l’informazione ed il contatto personalizzato via web; qualificare e fornire interventi dedicati alla dipendenza da tabacco e da farmaci; curare al massimo la riservatezza degli interventi e la garanzia della privacy in modo che il tutto sia assolutamente evidente, per chi accede alle cure. Troppe persone sono, infatti, convinte che rivolgersi ad un servizio pubblico per le dipendenze, equivalga ad essere “schedati” per l’uso di droghe. Non hanno ragione, le norme in questo campo sono ferree per la protezione della privacy. Ma le richieste che arrivano di continuo da parte delle forze dell’ordine ai SERD “di zona”, per sapere se una determinata persona sia o meno seguita, non lasciano tranquilli, anche quando, “essere seguiti”, può essere un vantaggio e non uno svantaggio per la persona. Non sfuggirà, tuttavia, che rivolgersi, a pagamento, per la cura da parte professionisti privati, lascia, all’interessato maggiori possibilità di scelta. Questo è un fattore che, però, diminuisce l’accessibilità precoce ai trattamenti in generale.

3) Realizzare e pubblicizzare percorsi differenziati, precoci, a bassa soglia, di “pre-trattamento”, per persone in situazione di grave marginalità e/o, comunque, in situazione di particolare instabilità sociale e di rischio sanitario, che non è possibile inserire in percorsi terapeutici e riabilitativi strutturati e per soggetti che, indipendentemente dallo status sociale, assumono sostanze a scopo non terapeutico, non hanno intenzione di sospenderlo, ma comunque desiderano tenerlo sotto controllo, per diminuirne i rischi per la salute.

4) Realizzare possibilità di supporto clinico preventivo per persone che, usando sostanze, non hanno intenzione di sospenderne l’uso ma sono interessate a ridurne i rischi per la salute attraverso azioni di monitoraggio e screening diagnostico periodico.

Si tratta di punti che, per essere realizzati a pieno, richiedono anche percorsi normativi e di indirizzo che sono tutti da realizzare, ma sono possibili. Vanno, tra l’altro, ridiscusse norme, regole ed anche prassi operative che sembrerebbero fatte per evitare l’emersione di fenomeni che, illeciti e/o stigmatizzati, finiscono per rimanere sommersi, sino a quando esplodono. Il sistema sta andando verso una obsolescenza programmata … per mancanza di programmazione e carenza di vision e di mandato per costruirla, adeguata ai tempi.

Partirei da qui.

Darei per scontato che gli eventi che stiamo attraversando esigono cambiamenti nel nostro modo di organizzarci, che esiste la possibilità di farlo anche in questo ambito e che ogni crisi è seguita da una accelerazione per la “ricostruzione” ed il cambiamento che, normalmente, è sempre più veloce e fattiva di quanto ci si possa aspettare. Una fase che è molto importante per qualunque processo di miglioramento. Chi lavora nei Servizi Dipendenze, chi li gestisce e chi, a diverso livello ne programma il funzionamento, e chi, sopra di loro, organizza il sistema salute ha quindi il compito di iniziare ora questo percorso di cambiamento, anche sperimentando tutto quanto è sperimentabile, in questo senso, considerando che le limitazioni e le necessarie precauzioni hanno già reso indispensabili nuove modalità di approccio all’utenza che si riveleranno preziose anche al di fuori della pandemia in atto.

Il tutto va fatto adesso anche per evitare che la diffusione di una patologia, sebbene disastrosa, diventi una scusa per dimenticarsi che la salute delle persone è il frutto della combinazione di una pluralità di elementi. Per esempio, mentre la diffusione pandemica del SARS – COV – 2 difficilmente condizionerà direttamente la salute delle persone più giovani, la diffusione di droghe, lecite o illecite, lo sta già facendo. Considerando che potrebbe ampliarsi, se non approfittiamo del momento, anche facendo di necessità virtù per costruire il cambiamento, in un tempo che spero il più breve possibile per l’uscita dalla emergenza COVID, anche sul tema droga, ci troveremo impreparati, semplicemente per aver continuato a pensare un futuro uguale al passato, in un mondo che, nel frattempo, è già cambiato.

Riccardo C. Gatti