In una conferenza stampa il 17 giugno 1971, il presidente degli Stati Uniti, Nixon, dichiarò l’abuso di droga “nemico pubblico numero uno”. “Per combattere e sconfiggere questo nemico”, affermava, “è necessario intraprendere una nuova offensiva totale”. Con quella dichiarazione iniziò la “guerra alla droga” e, gradualmente, molti Paesi aderirono a questa guerra, declinandola a modo loro.
E’ possibile che Nixon avesse una visione lungimirante, visto che l’abuso di sostanze sembra avere statisticamente peggiorato le aspettative di vita negli USA, anche prima della pandemia COVID (durante la pandemia, la situazione delle overdose pare essere ulteriormente peggiorata). Qui sotto è riportato un grafico, con le morti per overdose sino al 2019, che è abbastanza significativo.
A posteriori, è abbastanza semplice concludere che l’offensiva totale dichiarata da Nixon non abbia ottenuto nel tempo i risultati desiderati, anche se, ovviamente, non è facile immaginare cosa sarebbe successo, se si fosse agito altrimenti. Certo è che, in tempi recenti, la situazione USA è precipitata, per la confluenza di fattori diversi: la facile prescrizione di farmaci oppiacei che ha creato una schiera di nuovi tossicodipendenti e l’arrivo sul mercato dello spaccio di oppioidi sintetici ad alta potenza (spesso derivati del Fentanile) che hanno molto aumentato la possibilità di overdose nei consumatori.
Ma la “guerra alla droga” dichiarata da Nixon aveva già perso vigore da tempo e la disfatta sul campo è stata evidente. Gli USA sono stati colpiti anche da fuoco amico perché, mentre combattevano la droga in vari Paesi del mondo, si preparavano, internamente ed a fini puramente economico – commerciali, le condizioni per la disfatta, predisposta (inconsapevolmente?) da alcune importanti case farmaceutiche. Alcune di queste, ora hanno dichiarato bancarotta o stanno pagando danni per bilioni di dollari, come risarcimento per aver prodotto e promosso attivamente l’utilizzo diffuso e non appropriato di farmaci oppiacei, dichiarati maneggevoli e sicuri, quando non lo erano affatto.
Così oggi molti affermano con sicurezza che la guerra alla droga è stata persa e che, quindi, l’unica strada alternativa possibile, anche per una maggior sicurezza dei consumatori, sia la legalizzazione delle droghe. Apparentemente il discorso sembra lineare, in realtà, tuttavia, non si parla di legalizzare quelle sostanze che stanno creando i maggiori problemi (decine di migliaia di morti ogni anno), per esempio gli oppiacei, la cocaina e le metamfetamine, ma la cannabis. Su questo gli USA sembrano dare l’esempio, assieme al Canada. Sempre più Stati del Nord America stanno, infatti, legalizzando l’uso ricreativo della Cannabis e la cosa crea consenso nella popolazione.
Secondo i sondaggi Gallup, infatti, nel 1969, solo il 12% degli statunitensi era a favore. Il sostegno, poi, è salito al 28% alla fine degli anni Settanta, è sceso, negli anni Ottanta e Novanta, mentre ha avuto un picco negli ultimi anni. Nel 2016, il 60% era favorevole alla legalizzazione; nel 2020 siamo arrivati al 68%, e, nelle fasce di età dai 18 ai 29, anni siamo ad una percentuale di SI alla cannabis legale, pari al 79%, che non scende di molto tra i 30 ed i 49 (75%)[1]. Sono numeri che i politici USA non possono più ignorare.
Particolare la coincidenza tra l’aumento delle overdosi mortali e l’aumento dei consensi alla legalizzazione della cannabis, che sembrano aumentare a partire dal 2000. In passato, l’incremento delle overdosi sarebbe stato un buon motivo per allargare il fronte del consenso alla guerra a tutte le droghe illecite. Oggi, il cittadino USA, invece, distingue tra sostanze diverse, oppure, incomincia a pensare che comunque sia più controllabile un mercato legale, di uno illegale e, gradualmente, si sta orientando verso il medesimo percorso già fatto con la caduta del proibizionismo sugli alcolici. Anche qui, tutto è coerente se non fosse che i decessi collegati all’uso di alcol, sostanza legale e regolamentata negli USA, stanno comunque progressivamente aumentando[2], particolarmente in alcuni gruppi sociali. Evidentemente anche l’effetto dei mercati legali non è poi così controllabile.
Il percorso verso la legalizzazione della cannabis negli USA è, dunque, un atteggiamento pragmatico, mosso dall’esperienza, e finalizzato alla tutela della salute? Dipende. Abbiamo appena visto per gli oppiacei che, quando in gioco ci sono interessi economici ingenti, anche chi dovrebbe occuparsi della salute dei cittadini, tende a mettere in primo piano il profitto ed è in grado di condizionare anche produzione scientifica ed opinioni, non solo dei cittadini stessi, ma anche della classe medica. In pratica, con gli opportuni investimenti, è possibile agire in modo da incrementare le vendite ed il consenso attorno ad una classe di prodotti, aumentandone i significati positivi dell’utilizzo e minimizzando quelli negativi.
Dietro il business della cannabis legale ci sono investimenti ed interessi importanti, che spingono a ritentare il successo economico avuto nel secolo scorso dal tabacco. Infatti l’immagine della cannabis è stata gradualmente trasformata, collegandola ad una visione ecologica e salutistica positiva. Nulla di nuovo, questo è già stato fatto con gli alcolici e, in passato, anche con il tabacco, laddove il concetto di ansiolitico, “contro il logorio della vita moderna”, o il contenuto di componenti potenzialmente salutari, per il vino, ad esempio, è stato molto amplificato. Proprio la possibilità di trasformare la cannabis (anche) in un farmaco, è stata la chiave di volta su cui reggere la riabilitazione culturale del suo consumo ed oggi ha permesso anche di valutare meglio le effettive possibilità terapeutiche dei cannabinoidi che, sebbene non così ampie, come un certo tipo di marketing sembra rappresentare, probabilmente possono essere utilizzate per alcune forme patologiche specifiche.
Senz’altro anche questo ha contribuito a cambiare le carte in tavola ed a provocare ripensamenti. L’ONU, ad esempio, ha recentemente classificato la cannabis diversamente, togliendo gli ostacoli del controllo internazionale, imposti dal 1961 dalla Convenzione unica sulle sostanze narcotiche, alla produzione della cannabis per fini medico-scientifici. Tutti d’accordo, quindi? Assolutamente no. Riferisce la Repubblica[3] che “dei 53 Stati quasi tutti quelli appartenenti all’Unione Europea – ad eccezione dell’Ungheria – e alle Americhe hanno votato a favore, compresa l’Italia, raggiungendo la maggioranza di un solo voto, a quota 27”. Gran parte dei paesi asiatici e africani, invece, si sono opposti”. Evidentemente non ritengono particolarmente utile facilitare la ricerca scientifica sulla cannabis.
Se, quindi, dovessimo tirare delle conclusioni parziali, c’è una parte del mondo dove la cannabis, ed alcuni suoi principi, incominciano ad essere valorizzati come farmaci. In alcuni di questi Paesi vengono attuate forme di legalizzazione della sostanza, anche a scopo ricreativo e complessivamente si sta creando un settore produttivo, attorno al brand cannabis, che attrae investimenti ingenti e che sembra destinato a consolidarsi. Per farlo, ovviamente, deve aumentare i suoi profitti nel tempo e spingere i consumi, per compensare gli investitori, anche considerando la concorrenza del mercato illecito delle droghe che rimane sempre presente. Va notato che un mercato in crescita crea nuovi posti di lavoro ed aumenta le entrate fiscali. Due argomenti di particolare interesse, soprattutto in questo momento. Ho qualche dubbio, invece, sul fatto che possa realmente creare danni ingenti al mercato illecito, che ha tutto il modo di riconfigurarsi, anche con altri tipi di proposte commerciali, che anzi, a mio parere, sta già facendo o, comunque, è in grado di preparare con facilità. Non dimentichiamoci che alcuni cambiamenti che, normalmente, hanno tempi generazionali, saranno accelerati dagli sconvolgimenti socio-economici connessi alla pandemia Sars-Cov-2 ed al post pandemia. In questo caso penso alla transizione dalle sostanze di origine naturale alle droghe sintetiche, in parte completamente nuove, e/o a mix preconfezionati di sostanze prodotte in laboratorio, a basso costo e ad alta efficacia. Inoltre non mi pare che le diverse proposte di legalizzazione della cannabis riguardino una parte della popolazione che, invece, alla cannabis si accosta proprio in una età in cui dovrebbe starne molto distante: i minori.
Detto ciò, qui da noi, il Presidente del Consiglio dei Ministri, nella sua qualità di Presidente del Comitato nazionale di coordinamento per l’azione antidroga, ai sensi della legge vigente, dovrebbe da tempo convocare una conferenza nazionale sui problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope dove invitare soggetti pubblici e privati che esplicano la loro attività nel campo della prevenzione e della cura della tossicodipendenza. Le conclusioni della conferenza dovrebbero essere comunicate al Parlamento, anche al fine di individuare eventuali correzioni alla legislazione antidroga dettate dall’esperienza applicativa. La nostra legge sulla droga, il DPR 309/90, mostra ampiamente il segno dei tempi. Emendata e mutilata rispetto alla stesura originale è, comunque, frutto di concetti e significati ormai ampiamente superati eppure, guardando indietro, nella storia della Conferenza Nazionale, ci sono stati Presidenti del Consiglio che l’hanno convocata a fine legislatura, in modo di limitarne la funzione, ed altri, invece, che hanno violato negli anni la legislazione antidroga, evitando di convocarla, quasi come se non volessero che fossero individuate correzioni dettate dalla esperienza applicativa.
Con il Governo Draghi, invece, proprio nel bel mezzo di una pandemia mondiale, accade un fatto degno di nota. Draghi delega al coordinamento delle politiche sulla droga Fabiana Dadone, persona che viene ritenuta a tutti gli effetti un’antiproibizionista. Fabiana Dadone preannuncia la volontà di convocare la Conferenza Nazionale prevista dal DPR 309/90.
Ora, se, il Presidente del Consiglio, attribuisce la delega per la droga ad una antiproibizionista, si possono pensare due cose: vuole andare in questa direzione e sa di avere la maggioranza per poterlo fare, oppure si aspetta che parte della maggioranza insorga, in modo da chiudere, gioco forza, l’argomento.
Parte della maggioranza di centro-destra (unita alla destra di opposizione), infatti, è subito insorta contro la nomina e sarà interessante vedere cosa accadrà, se la Conferenza Nazionale, preannunciata da Fabiana Dadone venisse effettivamente convocata. Ricordo che in passato, più volte, chi non era in linea con l’orientamento del Governo si organizzava in contro-conferenze, rendendo di fatto meno significativa la Conferenza stessa.
Purtroppo, però, in tema di droghe, o meglio di sostanze psicoattive usate a scopo ricreativo (leggi: per procurarsi piacere, anche a scapito della salute), si rischia troppo spesso di ricondurre il tutto al tema della legalizzazione. Normalmente, non si tratta nemmeno della legalizzazione delle droghe illecite, ma solo quella della cannabis. Eppure basta questo a bloccare il dibattito. Chi sostiene la legalizzazione della cannabis e chi la avversa tende ad usare questa sostanza come un simbolo e attribuire significati pro o contro che, probabilmente sono eccessivi.
È quasi come se, in relazione all’uso di sostanze, si ragionasse nell’ambito di una realtà circoscritta, limitata, e piena di artefatti, per arrivare a conclusioni contrapposte e ad azioni conseguenti, ma senza mai affrontarla per come è.
Il rischio è che, da qui in avanti, la contrapposizione sulla legalizzazione della cannabis impedisca, anche in questa legislatura, così come in passato, di parlare del problema droga proprio dal punto di vista dei “soggetti pubblici e privati che esplicano la loro attività nel campo della prevenzione e della cura della tossicodipendenza” che dovrebbero, teoricamente, essere i protagonisti della Conferenza Nazionale. Eppure, proprio dal punto di vista di chi lavora nella prevenzione e della cura, ci sarebbero molte cose da discutere sulla legge vigente, una legge che tende a spostare l’azione verso le sostanze illecite, quando, attualmente sono le sostanze lecite, come l’alcol ed il tabacco a provocare danni per la salute al maggior numero di persone (per l’abuso di farmaci si continua a non voler approfondire). Il tutto in un corpo normativo generale che tende ad orientare l’azione su certi tipi di dipendenza patologica come quella da gioco d’azzardo, inserendone la cura nei Livelli Essenziali di Assistenza, del Servizio Sanitario Nazionale, ma solo dopo aver precostituito le condizioni per la sua diffusione.
Insomma la mia sensazione è che la prevenzione e la cura delle dipendenze patologiche siano gradualmente diventate un pretesto per poter compiere altre azioni politiche, militari, industriali e commerciali che, normalmente, rispondono ad esigenze ed a regole che con la salute dei cittadini hanno a che fare, ma solo secondariamente. Questo sovraccaricando, poi, i servizi di cura di incombenze correlate a funzioni di controllo sociale che potrebbero essere svolte, più agevolmente, e meglio, in altro modo.
Questa storia non ha un finale, perché siamo ancora all’interno di uno strano cortocircuito che ha coinvolto un po’ tutti e che nemmeno verrebbe risolto da leggi più o meno repressive. Forse anche perché sarebbe necessario ri-leggere i fenomeni che hanno a che fare con l’uso di sostanze e le dipendenze patologiche, in un modo diverso da quello che stiamo usando.
Senz’altro siamo di fronte ad una offerta crescente di sostanze e di occasioni che possono aumentare il rischio di perdere la salute fisica e psichica. Da questo punto di vista, è abbastanza chiaro che chi vende mira, prima di tutto, alla crescita del fatturato dei posti di lavoro e della solidità della impresa, anche quando opera nell’illecito. Ma se l’offerta è in crescita, e si organizza sempre meglio, troppo poco si riflette sulle ragioni della domanda. Determinati mercati ed i loro prodotti non nascono per caso ed hanno successo perché hanno un valore ed un significato (reale o indotto dal marketing), per cui le persone sono disposte a spendere.
Eppure quando affrontiamo le conseguenze di questo incontro tra domanda ed offerta il ragionamento tende a spostarsi immediatamente su quest’ultima e su leggi più o meno repressive che tendono a regolamentare il commercio ed i consumi, oppure ad azioni che tendono a rendere legale ciò che è illegale, o viceversa (basti pensare al percorso delle Nuove Sostanze Psicoattive che nascono “lecite” o, comunque, non classificate come droghe illecite, per essere trasformate rapidamente in droghe illecite).
Non ci interessa capire cosa accomuna molti di questi fenomeni: la ricerca del piacere o, almeno, la possibilità di costruirsi attorno una bolla regressiva per difendersi dal mondo esterno. È su questo che funziona l’offerta, ma solo perché incontra la domanda, ed il tutto, salvo alcune situazioni specifiche, ha ben poco a che fare con la trasgressività e la devianza. La maggior parte dei clienti di questi mercati sarebbero ben contenti se fossero completamente legali ed il fatto che ciò che è illegale affascina e, proprio per questo, vende di più, è ormai vero soprattutto nelle serie televisive.
Ecco perché riterrei più utile interrogarsi maggiormente sulle ragioni della domanda. Smetterei di considerare, ad esempio, l’uso di droghe o il gioco d’azzardo o l’esagerato coinvolgimento nei social, nel gaming, nel sesso, ma anche nel lavoro o nella attività sportiva, nello shopping, nel trading ecc. come qualcosa di ingiustificato ed ingiustificabile che ha necessariamente a che fare con la patologia o con qualcosa di diverso dal piacere o dalla estraneazione dalla realtà. La patologia può subentrare, è un rischio reale, ma, solo in una parte dei casi è l’origine di un problema che è difficilmente risolvibile con la regolamentazione del modo in cui ci si procura piacere o ci si estranea.
Oggi, in mezzo ad una pandemia mostruosa, che ci fa dimenticare anche i rischi, pur presenti, di una possibile catastrofe ecologico-ambientale, ed altri problemi che affliggono l’umanità, la questione droga, un tempo “pubblic enemy number 1” ed il tema delle dipendenze sembrano interessare solo quando producono casi di cronaca eclatanti; eventualmente quando lo spaccio di droghe disturba il senso di sicurezza o di pubblico decoro. Nel frattempo però incominciamo a chiederci se non stiamo ricevendo segnali che, forse, abbiamo sbagliato qualcosa, nella costruzione di questo mondo, che stiamo tutti su un unico pianeta, che non ci si salva da soli e che non può essere il profitto ed il mercato a regolare il mondo. C’è anche chi arriva ad ipotizzare una uscita dal tunnel, attraverso un nuovo rinascimento. Non so se arriveremo a tanto. Da questa situazione, quando ne usciremo, saremo senz’altro molto provati e più poveri. Ma, se fossimo in grado di coinvolgerci nella costruzione attiva di una realtà più positiva e diversa dall’attuale, forse anche la questione droga e dipendenze si ridimensionerebbe: chi vende “medicine” e situazioni, di qualunque genere, per il piacere e per l’estraniazione, avrebbe meno mercato. Chi si trovasse ad aver bisogno di cure troverebbe più spazio in Servizi meno appesantiti da norme e sovrastrutture costruite soprattutto per contenere la cronicità e la devianza. Probabilmente abbiamo bisogno di leggi che supportino questo cambiamento.
Utopia, moralismo, ingenuità? Chissà. Forse solo stanchezza di vedere un problema grande e di sentire attorno il silenzio o persone che parlano di altro, schierandosi sempre contro qualcuno o qualcosa, invocando la scienza, la coscienza, la legge o la logica di parte. Persone che non cercano ciò che le accomuna, per tentare, almeno in parte, di cambiare davvero una realtà ormai vissuta come un male necessario perché, direttamente o indirettamente, legalmente o no, produce profitto e posti di lavoro, per chi la propone e per chi la contrasta. Ed è proprio l’accettazione di questa logica che rende impossibile un cambiamento che deve essere prima di tutto culturale e poi, eventualmente, normativo. Una logica che ci pervade e che si spinge ad un corto circuito, in cui immaginare un futuro sempre peggiore di un presente, da cui già in troppi cercano di estraniarsi, a costo di diventare dipendenti da qualcosa d’altro, qualunque cosa sia ed a qualunque costo.
Riccardo C. Gatti
[1] https://news.gallup.com/poll/323582/support-legal-marijuana-inches-new-high.aspx
[2] https://jamanetwork.com/journals/jamanetworkopen/fullarticle/2761545
[3] https://www.repubblica.it/salute/2020/12/02/news/onu_via_cannabis_dalla_lista_delle_sostanze_dannose_-276747022/