La “questione droga” è sempre stata affrontata come una “emergenza” ed in termini di “contrasto”, laddove il termine “droga” è riferito primariamente alle sostanze illecite. Questo anche se le ragioni per cui una sostanza è dichiarata lecita o illecita, non sono sempre chiare, lineari e condivise, nel mondo, essendo legate a fattori diversi e variabili nel tempo.
Di fatto, però, dal 1971, quando il Presidente degli Stati Uniti Nixon dichiarò l’abuso di droga il “pericolo pubblico n.1”, si implementò una strategia diffusa di guerra contro le droghe illecite. La strategia di Nixon e degli alleati comprendeva azioni tipiche di una vera e propria offensiva, ma anche azioni di prevenzione delle dipendenze e di riabilitazione dei tossicodipendenti, all’interno di un unico ambito speciale, logico – operativo.
C’è chi dice che la guerra alla droga sia finita con una sconfitta e che le logiche sottese siano state, comunque, concettualmente e di fatto, superate. Non è così. Una logica fondamentale, quella dell’emergenza che giustifica ogni stato di guerra e le azioni speciali conseguenti, è molto viva e condizionante.
Non è un caso, ad esempio, che diverse iniziative di “prevenzione” siano tuttora promosse dalle Prefetture e che le Forze dell’Ordine si attivino, nell’ambito di progetti sulla legalità, anche per spiegare, nelle scuole, gli effetti delle droghe sulla salute. L’azione repressiva assume, così, un significato di tutela della salute. Allo stesso modo la cura e la riabilitazione assumono significato per la tutela della legalità. Il sistema repressivo, quando intercetta la persona che usa droghe, la segnala al sistema di cura, affinché cessi il consumo di sostanze e, quindi, anche la partecipazione ad un mercato illecito, contro cui si combatte.
La declinazione degli interventi di prevenzione, cura e riabilitazione delle dipendenze rimane così concepita (a differenza di ciò che accade per altre patologie) come parte di un ambito speciale legato, contemporaneamente, al contrasto della diffusione delle sostanze illecite ed alla tutela della salute delle persone. Ciò avviene, quindi, anche per comportamenti di consumo non legati a patologia. Una logica dell’emergenza e degli interventi speciali metabolizzata anche da chi opera nel settore e che viene, così, evocata nella presentazione di progetti e per richiedere sostegno alla attività.
Il triste risultato, però, è che quando ci sono emergenze considerate più gravi (in questo momento ce ne sono diverse), il settore che dovrebbe essere indirizzato alla ordinaria tutela della salute, come Livello Essenziale di Assistenza, e che non gode dei meccanismi di stabilizzazione internazionale che collegano l’azione delle Forze dell’Ordine, finisce in sofferenza. Tutto passa in secondo piano. I “sistemi speciali” di governo strategico rimangono in stand-by.
La controprova è la recente “emergenza fentanyl” dichiarata dal nostro Governo ma che, in parte, ha attraversato anche l’Europa. Le azioni in cui si è tradotta, riguardano una maggior attenzione già in atto, alla possibilità che il fentanyl di produzione clandestina venga introdotto in Italia, ma soprattutto, un maggior impegno del Sistema Sanitario affinché, questo ed altri farmaci di possibile abuso, non passino, così come accade, dal mercato lecito a quello illecito. Azioni, quindi, assolutamente ordinarie ma che, al di fuori dell’emergenza, non venivano probabilmente tenute nella giusta considerazione. La dichiarazione di emergenza ha permesso di attivarle.
È difficile cambiare logiche consolidate: anche molte contrapposizioni politiche sul tema droga, tendono a rimanere nella stesso ambito. Ma prima o poi dovremo farlo: capiremo che molte azioni, prassi ed organismi attuali, sono inutili ed è necessario riformulare a fondo il nostro pensiero e la nostra strategia di intervento, se vogliamo davvero tutelare nel modo migliore la salute delle persone.
Primo step: uscire dalla logica della emergenza.
Riccardo C. Gatti