“Sin dai tempi dei Sumeri il genere umano ha fatto uso di droghe …” cominciavano, spesso, così le prove scritte dei miei studenti, quando insegnavo al Dipartimento di Sociologia dell’Università Statale Milano Bicocca. Non ho mai capito bene se gli studenti conoscessero la vita e le opere dei Sumeri e quali droghe usassero e perché. Senz’altro, tuttavia, volevano significare che le droghe si sono sempre usate e che, probabilmente, sempre si useranno. Questo anche perché la storia dei Sumeri risale al quarto millennio prima di Cristo e, quando qualcosa ha successo per più di seimila anni, è ragionevolmente difficile pensare che perda fascino ed interesse nel giro di tempi brevi.
Senz’altro i significati dell’uso di droghe, nelle diverse culture e nel tempo, cambiano, anche di molto. In modo diverso, le droghe accompagnano la ricerca della trascendenza, oppure della felicità, oppure ancora le guerre e ciò che ne consegue. Talvolta sembrano utili, talvolta sono il nemico pubblico numero 1, oppure la fonte di sostentamento di popoli interi. Non sono tutte eguali eppure, spesso, si parla di “droga”, come fosse una cosa sola e ciascuno ha una propria idea in proposito.
Fatto sta che dopo seimila anni siamo ancora qui a combattere contro la droga o a sostenerne l’utilità, spesso dividendo le tifoserie pro o contro. Qualcuno poi si esercita sulle vie di mezzo. Noi come Paese siamo tra questi. Promuoviamo quelle lecite, combattiamo quelle illecite e avanti così. Produciamo e regoliamo produzione e commercio di alcol e tabacco ma, ufficialmente, ripudiamo tutte le altre. Piccole e grandi contraddizioni ed ipocrisie ci pervadono ma, poi, già dai titoli dei giornali basta poco per capire che sesso, droga, dannazione e rock and roll (o trap o quello che vogliamo), attirano non poco: almeno un click o un like, che, oggi, non è poco.
A dire il vero, nel nostro Paese, una trasformazione culturale negli anni c’è stata: l’emergenza droga, ora, si dichiara quando c’è un fastidio per la quiete pubblica o un dubbio per la sicurezza. Probabilmente la “guerra alla droga” è un ricordo e, quindi, non abbiamo più bisogno di eroi da ospitare in televisione, perché salvano i “ragazzi” tossicodipendenti. Insomma qualcosa cambia, nel tempo. Dall’altra parte dell’oceano la situazione è un po’ diversa: più di 90.000 morti per overdose in un anno, solo negli USA, sarebbero un tema su cui riflettere seriamente, se la Pandemia in atto non facesse di peggio. Per fortuna per la Pandemia c’è stato un impegno colossale degli scienziati e dell’industria che ha portato ad avere vaccini che funzionano.
Per le conseguenze dell’uso di diverse droghe, la tossicodipendenza, probabilmente, la scienza ha avuto meno attenzione. Parte dell’industria farmaceutica è addirittura sotto accusa, come concausa delle overdosi USA. Alcuni scienziati l’hanno definita una “malattia del cervello”. Altri hanno aggiunto l’aggettivo “cronica”. È diventato, così, difficile rassicurare che “cronica” significa “non acuta”: non “inguaribile” o “non curabile”. Questo anche perché nella definizione, molti altri esperti del settore, hanno aggiunto anche la parola “recidivante”. Insomma una patologia così grave che contrarla può diventare una colpa, oppure anche un attenuante, se si commettono certi reati. Questo all’interno di generalizzazioni che sono molto diffuse, non solo tra la gente comune, che portano a costruire l’equivalenza tra usare droghe (attenzione solo quelle illecite!) ed essere tossicodipendenti e, quindi, affetti da una “malattia del cervello” e, di conseguenza, pazienti psichiatrici.
Poi, quasi all’improvviso (anche se non è propriamente così), dopo un dibattito mediatico conseguente alla serie Netflix su San Patrignano che ci aveva riportato a temi di contrapposizione risalenti più o meno a quarant’anni fa, e nel bel mezzo di una pandemia che sembra ormai il principale oggetto di attenzione di tutti i media, quasi non esistessero più altri problemi, anche gravi, arriva una proposta referendaria “sulla depenalizzazione della cannabis” che raccoglie un numero di adesioni altissimo, in un tempo molto breve.
In realtà il referendum per cui si stanno raccogliendo le adesioni, da ciò che ne ho capito, propone l’abrogazione di quanto, nella legge in vigore, riguarda il reato di coltivazione per una serie di piante contenenti sostanze stupefacenti, non solo la cannabis con Thc, ma ad esempio anche la coca o l’oppio (difficilmente coltivabili alle nostre condizioni climatiche) ed i funghi allucinogeni. Poi abroga quanto previsto come pena detentiva per chi coltiva, produce o commercializza la cannabis e limita alcune sanzioni amministrative, oggi comminabili per il suo possesso.
Essendo un referendum abrogativo, può solo abrogare alcuni articoli della legge in vigore, ma, sebbene esprima così un preciso orientamento popolare, non può definire come il legislatore, successivamente alla eventuale riuscita del referendum, riformulerà la legge, pur tenendone conto.
Il tutto viene rappresentato dai media come la contrapposizione tra i favorevoli al referendum (che vogliono legalizzare la cannabis) ed i contrari (che non la vogliono legalizzare). In realtà non è propriamente così. I cittadini partecipando al referendum, potrebbero anche esprimersi contro le abrogazioni degli articoli di legge proposti. Questo metterebbe fine, almeno per un po’ di anni, a qualunque processo di legalizzazione della cannabis e, ovviamente, di altre sostanze illecite.
Di conseguenza, essere favorevoli alla effettuazione del referendum, non significa, necessariamente, essere favorevoli alla legalizzazione della cannabis, ma essere favorevoli ad un esercizio democratico, attraverso cui i cittadini possano esprimersi in proposito su alcuni articoli di legge, con un esito che non è scontato.
Ciò che ne deriva è che l’attuale proposta referendaria, può anche essere l’occasione per rivedere o riconfermare il nostro pensiero e le nostre regole sul tema droga. Questo considerando che attualmente le sostanze che in Italia provocano più danni per la salute sono quelle lecite (alcol e tabacco) e che l’uso della cannabis, pur essendo una droga illecita, è comunque molto diffuso, spesso anche in chi, mi riferisco ai minori, proprio non la dovrebbe usare, anche se fosse legalizzata.
Il fatto che la proposta referendaria abbia raccolto una adesione molto ampia in tempi brevissimi, fa capire come desti un grande interesse e, questo, a sua volta, è collegato ad una parte della popolazione che, su questi temi, ha opinioni che, probabilmente, sono discordanti da quanto viene espresso dalle norme in vigore. Per questo esiste la possibilità di espressione tramite referendum abrogativi.
“Sin dai tempi dei Sumeri il genere umano ha fatto uso di droghe” ma nessuno sa dire, se, quando e come, ne abbia ricavato più vantaggi che svantaggi. La situazione, poi, è andata complicandosi con la globalizzazione e la trasformazione delle droghe (lecite e illecite) in beni di consumo di massa. Problemi complessi che, tuttavia, non sono equivalenti a problemi non affrontabili o irrisolvibili. Basta capire bene quali siano le priorità. Dal mio punto di vista, ovviamente particolare, visto il mio lavoro, sarebbero tutte quelle che riguardano la salute dei cittadini, ma non è detto che tutti la pensino nello stesso modo. Le droghe sono anche generatrici di PIL e quindi di ricchezza, di posti di lavoro e, direttamente o indirettamente, di entrate fiscali. Possono essere strumenti di destabilizzazione e, quindi, armi usate contro altri, oppure permettere la loro produzione e commercializzazione può diventare un modo per garantirsi l’accesso sicuro ad altri tipi di risorse che, a loro volta, sono generatrici di ricchezza, per alcuni, e di povertà per altri. Potrebbe anche essere utile ricordare che il nostro Paese è uno dei principali produttori di droghe che, non per nulla, sono a tutti gli effetti lecite. Quindi, quando sembriamo perderci sulle questioni che riguardano l‘uso di droghe, è perché anche la confusione, il mantenimento dello status quo, il silenzio o, addirittura, gli stati di emergenza hanno una loro funzione che non sempre è quella a cui si pensa immediatamente.
Se il referendum passerà, e riterremo importante parteciparvi, quindi, metteremo su una scheda il nostro si o il nostro no e ci apriremo o meno alla possibilità di legalizzare la cannabis, ma, in ogni caso, sebbene in modo diverso, spero che ci saremo anche aperti a ragionare su un tema, il nostro rapporto con le sostanze psicoattive, che merita di essere affrontato. Sono convinto che gli effetti delle droghe sulle persone, abbiano molto a che fare con la loro cultura e con la cultura del popolo di cui fanno parte. Nel passaggio dalla società post-industriale alla società interconnessa, su questo argomento, si sono creati vuoti culturali e dissimmetrie di significati che vanno colmati, assieme alle fratture generazionali e relazionali che sottendono.
Non so se questa sarà l’occasione, ma credo che incominciare a ragionarne in famiglia, tra amici, o con il partner, sul che fare, rispetto alle scelte referendarie, potrebbe già essere un risultato. Spesso l’insieme di piccole cose possono essere la base per costruire grandi cambiamenti positivi. Siamo tutti interconnessi, ma su certi argomenti ancora non riusciamo a comunicare ed a comprenderci, ascoltando, senza prenderci a colpi di clava, prima ancora di capirne bene il perché e perdendo di vista il fatto che su certi argomenti o c’è una evoluzione complessiva del pensiero, della conoscenza, della azione e, appunto, della cultura, o ci si fa solo del male, fin dai tempi dei Sumeri.
E se, a questo punto, vi ponete la domanda se sono favorevole o contrario al referendum “sulla cannabis”, chiedetevi se, a seconda della risposta, volete stringermi la mano, tirarmi un colpo di clava o capire davvero cosa ne penso … perché nell’articolo ho scritto cosa ne penso.
Riccardo C. Gatti