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La tensione sociale rispetto all’uso di droghe (lecite o illecite) è scesa. Oggi, si dichiara una emergenza, se il commercio o il consumo delle sostanze crea difficoltà nel gestire l’ordine pubblico o il decoro urbano. I significati dell’uso di droghe, lecite ed illecite, per un numero sempre più ampio di persone, sono cambiati. Tra loro, chi le consuma ne cerca un uso strumentale, compatibile con gli ambiti che frequenta, non una azione trasgressiva. Aderisce a quello che ritiene un mass market che, con i suoi eventi di socializzazione e consumo, mira al piacere: non alla devianza.

La pandemia è un acceleratore di transizioni che richiederebbero tempi generazionali. I mercati delle droghe lo hanno capito. Così, mentre c’è chi pensa alla droga come “quella di una volta” (che pure esiste), riorganizzano rapidamente canali di distribuzione e di delivery molteplici. Offrono sempre più sostanze sintetiche (e mix di sostanze) di vario effetto, potenti ed a basso costo. Testimonial, influencer, blogger e “fabbriche di notizie”, lavorano per condizionare tendenze ed esperienze e per far crescere una nuova generazione di consumatori di più sostanze, compreso l’alcol che si usa in quantità. Li vogliono “consapevoli”: persone che camminano convinte sul filo, senza pensare che sono sospese tra salute e malattia. Fin che non cadono, consumano. Sono, buoni clienti: rendono di più dei tossicodipendenti cronici.

Intanto, molti Servizi di cura “tradizionali”, un tempo pensati per adulti eroinomani e, in parte, per gli alcolisti, e poi riformulati anche per cocainomani e giocatori patologici, fanno fatica ad intercettare precocemente i minori e le persone giovani, prima che si generino danni. D’altra parte si chiamano SERD, “Servizi Dipendenze”, e la dipendenza patologica è un concetto molto distante dall’atteggiamento di consumo che può avere una persona giovane. Così gli interessati arrivano tardi da chi può aiutarli, in caso di problemi, e questo giova ai mercati. Per evitarlo c’è chi tenta un restyling dell’offerta con equipe apposite, c’è chi cambia il nome della sede e chi, avendo risorse necessarie, costruisce esperienze notevoli di veri e propri Servizi dedicati, oppure azioni di prossimità nei luoghi di consumo. Ma basta tutto questo?

Probabilmente no. Le situazioni a rischio sono molteplici e meno circoscritte di un tempo. Difficile pensare che siano solo i SERD, le Comunità Terapeutiche, assieme a qualche Organizzazione no profit, ad intervenire. Questo, a meno che non condividano l’azione, diventando i nodi specializzati di reti diffuse che, come per la prevenzione di altre situazioni che possono trasformarsi in patologie gravi, coinvolgano non solo loro, ma tutto il sistema sanitario e sociosanitario. Reti che siano in grado di interfacciarsi con i Sistemi educativi e di supporto sociale e aggregativo del territorio e di interagire con i cittadini in modo supportivo, immediato e presente. La buona notizia è che tutto ciò è possibile: abbiamo le competenze per farlo. Ora, però, occorre una analisi oggettiva della situazione, assieme alla volontà istituzionale necessaria per investire su leggi, strategie e sistemi di intervento di nuova generazione.

Riccardo C. Gatti

Una versione di questo articolo è stata pubblicata dal Supplemento del Corriere della Sera “Buone Notizie”, del 13 luglio 2021