Scenari che si collegano all’uso di sostanze psicoattive: sono molteplici e talvolta si sovrappongono con collegamenti impensabili. Tuttavia, si può tentare di classificare i principali. Si tratta di schematizzazioni imperfette, ma utili per seguire il ragionamento che sto per proporre.
- Un primo scenario è il più classico ed è anche il più diffuso. Collegato al consumo di alcol e/o tabacco, normalmente, non coinvolge altre sostanze. Provoca un basso allarme sociale, perché è collegato a sostanze conosciute e legali. Genera quantitativamente più danni di altri scenari, sia per la diffusione, sia per la sottovalutazione delle pericolosità di questi consumi. La dipendenza eventuale è vissuta in modo riservato e “controllato”, a meno che non sia una grave dipendenza da alcol.
- Un secondo scenario è, ormai, altrettanto classico. Riguarda situazioni di grave tossicodipendenza, collegate a disagio, deterioramento individuale, sofferenza. E’ il mondo delle “droghe di una volta”, con uso anche endovenoso, principalmente di eroina, ma dove qualsiasi sostanza che permetta alterazione può andar bene, cocaina, crack, mdma, alcol e farmaci compresi, se a basso costo. Qualità generale dei prodotti, medio bassa. Marginalità diffusa, in chi vende ed in chi compra.
- Più recente è un terzo scenario che si è rafforzato negli anni ’90. Droghe, non più prodotti di nicchia, ma beni di consumo. Doping della vita quotidiana; usi situazionali, per occasioni e clientele differenziate. Forte spinta all’uso di cocaina, ma anche, per altri versi e significati, di cannabis. Possibile offerta ed utilizzo di diverse droghe sintetiche, (come le metanfetamine, cannabis sintetica, catinoni ecc.) da sole o miscelate ad altre e di farmaci (es. GHB, Benzodiazepine, Oppiacei ecc.). Organizzazione di vendita pluricanale anche tramite persone dello stesso ambiente del consumatore: vendita diretta nei luoghi di aggregazione; delivery efficiente e riservata, se necessaria, anche concorrente ad alcune possibilità offerte dalla Rete. Clientela molto differenziata, ma normalmente attiva e socialmente inserita.
Fin qui la situazione attuale, tenendo presente le possibili confluenze e trasversalità tra scenari e sostanze diverse (basti pensare, ad esempio, all’uso trasversale degli alcolici, del tabacco ed anche della cannabis) ed il passaggio a situazioni più marginali per chi, tossicodipendente, perde completamente il controllo sulle sostanze e sui costi che deve affrontare, per assumerle, oppure manifesta disturbi mentali gravi e relativi comportamenti conseguenti.
Il limite di questa situazione è la sua relativa staticità, prima ancora che sulle sostanze, sui significati collegati al consumo. Insomma, se ci trovassimo in mercati ordinari, la proposta commerciale, sebbene ampia, sarebbe, ormai, considerata un po’ “stanca” e, in un certo senso, “vecchia”, perché riferita a tendenze, bisogni e, soprattutto, a significati dei consumi, propri degli anni ‘90 del secolo scorso. Un mass market che sembra aver raggiunto un’ampia diffusione, ma che potrebbe avviarsi verso una crisi di identità, in mancanza di innovazione.
Quando si consuma una droga, lecita o illecita che sia, il suo effetto è collegato a due fattori principali: l’attività che la sostanza effettivamente svolge sul cervello, normalmente in modo piacevole, ed il significato o il “potere” che il consumatore le attribuisce. I due fattori viaggiano di pari passo. Difficile dire quanto uno prevalga sull’altro, almeno fino a quando non subentra una situazione di tossicodipendenza. Solo in quel momento, l’effetto proprio della sostanza diventa prevalente: è indispensabile, per non stare male.
In questi anni abbiamo assistito alla vendita di sostanze o di mix di sostanze sempre più potenti, rispetto al passato o, almeno, immaginati come tali dal consumatore (fatto salvo in quegli scenari dove il prezzo basso era l’unica condizione per il consumo).
Teoricamente, l’aumento della potenza delle sostanze in commercio, rispetto al passato, non avrebbe ragione di esistere, se ci riferiamo esclusivamente all’effetto sul cervello. Con l’aumentare della potenza rispetto alla singola dose, la sostanza diventa meno maneggevole e, talvolta, più pericolosa. Forse per le sostanze voluminose, come la cannabis, il tutto può avere un senso. Trasporto e magazzinaggio: richiedono spazio.
In realtà, anche in altri campi, il consumatore da mass market, attribuisce maggior valore alla maggior forza e potenza, anche quando non è nelle condizioni di poterla utilizzare. Così continua a crescere la potenza delle motociclette, sovraccaricate però di sistemi elettronici che permettono di gestirle in situazioni ordinarie, che non la richiederebbero; continua a crescere la risoluzione delle macchine fotografiche consumer, sino a livelli che non sono utili al cliente ordinario; cresce la risoluzione dei televisori, fino a livelli non percepibili come differenza da risoluzioni inferiori, nelle dimensioni degli schermi a cui si riferisce; anche i medesimi modelli di automobili vengono aggiornati con potenze e dimensioni sempre più ampie, anche a costo di non entrare più nei box di qualche anno fa.
La presenza sul mercato di droghe sempre più potenti ha la medesima funzione: compensare la perdita di significato di consumi che andavano massificandosi. In pratica, la perdita di significato deve essere vicariata da effetti più forti di un prodotto, rispetto ad un altro, per renderlo ancora interessante. A confermare il tutto è la graduale conversione del mercato alle droghe sintetiche ed Nuove Sostanze Psicoattive che, pur mimando gli effetti di sostanze di origine naturale, si caratterizzano, spesso, con una azione più potente (e pericolosa), anche quando potrebbero essere prodotte con una potenza analoga alle sostanze a cui si ispirano.
Tuttavia l’aumento e la diversificazione dei prodotti disponibili sul mass market, non sempre si collega ad un aumento del fatturato, se il mercato non è in espansione. I consumatori possono essere confusi di fronte alle possibili scelte e, a volte, succede che questo sposta loro, ma anche i mercati, verso posizioni conservative. Se si pensa al “ritorno” dell’eroina in vena, con tanto di siringhe usate lasciate per strada, o, viceversa ad un certo uso di alcolici si finisce per concordare con chi afferma che i mercati, ciclicamente, sono sempre uguali. A meno che non si riesca a spezzare il ciclo, puntando all’investimento emotivo.
Qualcosa in linea con questo ragionamento, infatti, sta nascendo ed ha a che fare con scenari urbani o di periferia urbana ad alta emotività, dove, l’utilizzo di sostanze psicoattive, lecite o illecite, l’aggregazione in bande con un forte potere gerarchico, la presenza esibita di armi e di denaro liquido ed anche lo spaccio di sostanze, assumono un forte valore di riscatto socio-economico e, più in generale, di potenziale controcultura. Questo anche con azioni che assomigliano più ad una sorta di “guerriglia” che ad atti vandalici, dove una droga illecita oppure anche lecita, come l’alcol, si assume con il preciso e antico significato di darsi la carica prima di entrare in battaglia.
Parlo di controcultura perché, dall’esterno, questi eventi non vengono compresi, eppure sono così potenti da generare narrazioni artistiche, all’interno di generi musicali come il trap ed il rap, mentre chi appartiene alla cultura dominante finisce per classificare queste narrazioni come la causa e non l’effetto di ciò che accade. Ci si ferma alla stigmatizzazione ed alla definizione, per le canzoni, di pochezza e limitatezza dei contenuti, senza capirne i significati, quando vengono espressi ma anche quando sono volutamente taciuti o solo sottintesi, per chi li vuole comprendere.
C’è la chiusura in sé stessi o nella propria gang, il sesso esibito assieme ai soldi, alla droga ed al potere, ed il rifiuto o la contrapposizione a modelli sociali che pongono obiettivi inarrivabili, promettendo un futuro senz’altro peggiore del presente. C’è la voglia di sortite per prendersi fisicamente il quartiere o, forse, la città; c’è il valore di picchiarsi e farsi male per “spaccare”, non solo metaforicamente, e comunicarlo agli altri in rete, per riconoscersi ed essere riconosciuti. Per sentirsi vivi.
Un collage, in embrione, tra atteggiamenti nuovi e rappresentazioni “ignoranti” che sembrano tratte, pari pari, da serie televisive. Il tutto, con una grande energia libera che cerca la sua strada. Una strada che potrebbe diventare costruttiva, incanalando, tra i più giovani, un desiderio di cambiamento che tutti abbiamo, unito ad una intraprendenza che, forse, i meno giovani non hanno più ed evolversi, al di fuori della violenza, verso una nuova partecipazione alla costruzione del presente e del futuro. Oppure potrebbe essere distruttiva, verso il conflitto sociale, il totalitarismo, la guerra: radere al suolo per ricostruire.
Nuovi significati che potrebbero coinvolgere facilmente un mondo giovanile, sbilanciato, assieme al mondo dei meno giovani, da una sorta di vuoto culturale e di perdita di identità, che ha caratterizzato il repentino passaggio dalla società post-industriale alla società interconnessa.
E’ stato un passaggio veloce che non ha avuto il tempo per maturare nelle coscienze e nelle generazioni. Non dobbiamo, però, dimenticare che siamo in un mondo interconnesso, in una nuova era, dove tutto, a differenza del recente passato, può accadere in modo molto rapido e, talvolta, paradossale. Anche un nuovo assetto di una società dei consumi, dove il vuoto culturale diventa la regola, la povertà del pensiero e l’ignoranza ne sono una caratteristica, ed essere conformisti, significa accettare il vuoto, assieme ai metodi più sbrigativi per riempirlo, anche con un uso di sostanze psicoattive sempre più diffuso, se non è disturbante. Alcuni segnali in questo senso, già si vedono.
Un mondo dove la salute fisica e mentale di una parte delle persone è sempre più in pericolo, ma viene accettata come un rischio calcolato, perché produce PIL, posti di lavoro, investimenti. Questo con un movimento “controculturale” che, anziché avversare lo status quo, contribuisce a consolidarlo, con significati che, oggi, non ha.
Un effetto paradosso di digestione ed assimilazione del nuovo che, storicamente, in passato, ha distrutto movimenti, ha fermato il progresso ed ha contribuito alla schiavitù di chi, nella controcultura, nei consumi di sostanze, nella loro diffusione ed anche nel loro commercio, vedeva non solo la possibilità di un riscatto ma anche, appunto paradossalmente, la costruzione di un mondo migliore. Invano.
Il passato è passato, ma il presente ed il futuro sono, almeno in parte, nelle nostre mani, mi sembra importante esserne consapevoli. La pandemia ha accelerato i tempi di cambiamenti epocali. Dobbiamo darci, in fretta, più occasioni per ascoltare, dialogare, comprendere e liberare energie, esperienze e competenza, per mettere in cantiere una nuova cultura, adatta ai tempi ed alle nostre possibilità e progettare un presente ed un futuro conseguente. Dovrebbe essere questo il primo, fondamentale cantiere del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. E’ l’unica azione realistica che possiamo compiere, per stare lontani da quel baratro di inciviltà e sopraffazione che, da sempre, minaccia tutta l’umanità ed in cui è facile cadere, perché ha pure un suo fascino perverso.
Riccardo C. Gatti