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Uno stress test, nella terminologia finanziaria, è un’analisi o una simulazione progettata per determinare la capacità di un determinato strumento finanziario o istituto finanziario di affrontare una crisi economica. Per quanto riguarda il Sistema di intervento pubblico in area dipendenze, questi TEST non si fanno ma, leggendo diverse notizie, che spesso, giro su Twitter con l’account @riccardogatti , mi sono chiesto cosa potrebbe accadere se, in relazione all’uso di sostanze, dovessimo affrontare una situazione di crisi.

Perché me lo chiedo? Diversi organismi internazionali, tra cui l’Osservatorio Europeo, descrivono una situazione dell’uso di sostanze sempre più complicata e la presenza sul mercato di sostanze psicoattive di vario genere, molte delle quali con effetti ancora poco conosciuti; per quanto riguarda le sostanze più note, sui mercati europei si stanno riversando quantitativi enormi di cocaina ma anche la produzione di metamfetamine sembra in aumento; esiste sempre lo spettro che, per quanto riguarda gli oppiacei, possa prendere piede la tendenza che si verifica in Nord America di mettere a disposizione dei mercati dello spaccio il Fentanil ed i suoi derivati di produzione clandestina: prodotti che, singolarmente o mischiati ad altre sostanze, stanno contribuendo ad una strage.

Insomma, la situazione è instabile e, considerando anche lo scenario socio-politico ed economico internazionale, in cui siamo inseriti, ci sono molte condizioni che, per quanto riguarda l’uso di sostanze, potrebbero portare verso scenari molto preoccupanti. La promozione e la ricerca di prodotti a basso costo e ad alta potenza, ad esempio, potrebbe farsi più forte, con le relative conseguenze.

Faccio solo un esempio. Da diverse parti d’Italia, leggo notizie che riguardano la diffusione di crack. Per chi non lo conoscesse, è una sostanza derivata dalla cocaina, spesso prodotta dagli  spacciatori oppure anche, autonomamente, da alcuni loro clienti. Si fuma e produce un effetto stimolante molto forte. Una singola dose può costare poco, ma l’effetto svanisce rapidamente producendo un “down” consistente. Il risultato è che il consumatore tende a moltiplicare il numero delle assunzioni, ma, gli alti e bassi che ne conseguono, sono distruttivi per la salute fisica ed anche per quella psichica. E’ abbastanza probabile, usando il crack, andare letteralmente “fuori di testa”, anche compiendo azioni folli e gravi, legate alla azione attivante e disinibente, che la sostanza produce. Attualmente, nel nostro Paese, passiamo da zone dove ci sono mobilitazioni pubbliche, legate alla situazione, come, ad esempio, a Palermo, ad altre dove appaiono preoccupate segnalazioni di allerta, come a Firenze, Torino o Bolzano ad altre, ancora, dove il problema non sembra tale da creare, al momento, allarmi particolari.

Alla fine degli anni 80,  andai negli Stati Uniti per studiare i problemi collegati alla diffusione di cocaina e crack. Tanto per intendersi, il crack era talmente diffuso che si poteva trovare a pochi dollari, in centro Manhattan, nella quinta strada, vicino alla biblioteca pubblica. La situazione era disastrosa, anche per atti criminali compiuti, spesso senza una reale ragione, se non l’alterazione mentale pesante, prodotta dalla sostanza.

Non so se arriveremo a situazioni analoghe nel nostro Paese, per questa o per altre sostanze. Spero proprio di no, ma noto che il nostro Sistema Pubblico dedicato alle dipendenze, appare, in molti luoghi in una situazione di sovraccarico e che, come per altri settori del sistema sanitario, si trova nella condizione di non trovare il personale specializzato che serve. C’è pertanto, per quanto riguarda il personale, un problema che non è solo legato alla scarsità di risorse economiche: unito al necessario ricambio generazionale degli operatori ed alla mancanza di scuole di specialità dedicate, potrebbe diventare anche un problema di competenze.

Ciò che, in questi anni, ci ha messo in una situazione (relativamente) migliore di altri Paesi, rispetto alle conseguenze dell’uso di sostanze, è la presenza di Servizi Pubblici, diffusi territorialmente, facilmente accessibili e con personale esperto. Gradualmente, però, come non di rado accade in Italia, generiamo azioni di avanguardia, che altri ci invidiano, … per poi dimenticarci che, per funzionare nel tempo, hanno bisogno di attenzione, manutenzione, capitalizzazione dell’esperienza ed innovazione. L’innovazione, in particolare, dovrebbe anche essere considerata a livello legislativo, visto che, i nostri SERD, appaiono legati a molte norme che hanno a che fare con funzioni di controllo sociale: occupano molte energie che sarebbero meglio impiegate nella prevenzione, nella cura e nella riabilitazione.

Se per qualche ragione, oggi, aumentasse la domanda di cura connessa con il consumo di sostanze, il rischio che il Sistema di Intervento possa collassare, è reale e, se qualcuno vive in zone dove questo già avviene, si rende conto della gravità della cosa. Dicevo, all’inizio, che non facciamo stress test, in questo ambito, simulando le nostre capacità di risposta a situazioni di crisi ma, forse, dovremmo farlo. Se, oggi, abbiamo difficoltà di personale nella Sanità Pubblica per quelli che, alcuni, definiscono “errori di programmazione”, sarebbe il caso di evitare di farne altri. Diversi SERD sono già in difficoltà ed anche gli Accreditati del terzo settore che gestiscono ambulatori, centri diurni e comunità terapeutiche, non stanno bene: molti hanno l’acqua alla gola.

Non va bene: rischiamo progressivamente di muoverci verso una condizione che potrebbe “improvvisamente” precipitare verso una nuova emergenza droga a livello nazionale. In realtà, non saremmo di fronte ad una nuova “epidemia” ma, semplicemente, all’esito della nostra trascuratezza. Un nuovo “errore di programmazione” particolarmente grave, perché, l’attuale Sistema di Intervento, nel caso, potrebbe non essere in grado di rispondere correttamente al bisogno. Anzi,  vedendo il sorgere di varie iniziative private, a pagamento, in questo ambito, in cui il Servizio Sanitario dovrebbe fornire cure gratuite con interventi multidisciplinari individualizzati, forse, già oggi è così. Spero che la parola d’ordine futura, di fronte ad una emergenza in questo ambito, non diventi: “si salvi chi può!”.

Riccardo C. Gatti