Il tempo passa, diciamolo, e la droga non è più quella di una volta. L’oggetto da non toccare, quello che un tempo doveva essere evitato come le bombe inesplose della seconda guerra mondiale, è stato toccato da tanti. Insomma: la droga non è più un tabù. Avremmo dovuto capirlo da un po’. I genitori e gli insegnanti, da tempo, ormai, parlavano di prevenzione delle tossicodipendenze e non dell’uso di droghe. Le parole hanno significati spesso più profondi di quanto si pensi. Il mostro, per loro non era più la droga ma la tossicodipendenza; quella, tanto per intendersi, che aveva a che fare con la devianza, l’emarginazione, l’AIDS, le siringhe e la microcriminalità.
Già, la tossicodipendenza, quella cosa per cui erano stati costruiti i SERT, le Comunità e tutto un sistema fatto per contenere i devianti e non permettere loro di rapinare le vecchiette ed i farmacisti o di contagiare i benpensanti che avevano ben altre cose a cui pensare rispetto a mettersi un preservativo almeno quando andavano con chi si prostituiva. Ricordo Giada, un tempo una bella ragazza, ormai segnata dal tempo, dalla droga e dall’HIV che mi spiegava come c’era chi pagava di più per il sesso senza preservativo. Ma il tempo è passato. Non in ogni luogo e nella stesso modo ma …oggi anche i devianti sono più integrati, dove c’è integrazione, e rimangono disperati soprattutto dove tutto sembra disintegrarsi, sebbene negli stretti argini delle regole imposte dalla criminalità organizzata. In quei luoghi, forse, i veri devianti sono tutti coloro che ancora cercano legalità e giustizia. Gli altri si adattano.
Nel frattempo i dati ufficiali ci dicono che la gente si droga di meno. Almeno, così la gente dichiara nei questionari e così risulta, cercando i metaboliti delle droghe nelle fogne. Una cosa da far tremare le vene e i polsi di chi, come la criminalità organizzata, della droga, ha fatto fonte di investimento.
D’altra parte molti leader storici delle Comunità terapeutiche avevano compreso e già differenziato le attività pensando ad altri settori di intervento.
La droga degli anni ’90 era caratterizzata più dai consumi occasionali che dalle tossicodipendenze. Così, quando la crisi economica ha girato le spalle ai consumi voluttuari, schiere di persone hanno incominciato a pensare che, a parità di prezzo, tra una pizza e una birra ed una dose di droga fosse meglio la pizza.
Pensiamoci: l’immagine più evoluta del drogato che abbiamo in mente, quella del cocainomane, sta facendo il suo tempo. 35 – 40 anni, abbronzato, giacca blu e camicia bianca, grosso SUV, locali alla moda: una volta faceva tendenza, oggi suona sempre più “zarro” e muffo. Dopo il post-yuppismo della coca, nelle nostre immagini mentali non c’è più nulla.
Vorrà pur dire qualcosa.
Sta crollano, almeno nel nostro Paese, una cultura, quella della droga e dell’antidroga che è stata dominante per decenni.
Gli ultimi baluardi ideologici ricchi di proclami e stendardi sono ormai sostenuti a forza da chi vuole mantenere lo status quo ma, piaccia o non piaccia, il mondo cambia velocemente e se molti hanno abbandonato l’uso di droghe, avendone perso il significato, altri hanno imparato ad usarle in modo strumentale. Non sono “tossici”, non legano alla droga il loro stile di vita e non cercano cure o sermoni educativi. Si alterano quando vogliono e, poi, tornano alla vita di tutti i giorni. Non sono dei provocatori e nemmeno dei devianti. Tra loro, sempre di più, ci sono quelli che hanno imparato ad usare gli alcolici come fossero droghe, per alterazioni “mordi e fuggi”. Quando bevono non guidano, così nessuno può più rompere loro le scatole con controlli e “pattuglioni” notturni. Anche i kit antidroga per genitori ansiosi diventano inutili, in questi casi.
Rischiano? Molto ma, se andasse male, saranno soprattutto clienti di un pronto soccorso, dove il “sistema di intervento sulle tossicodipendenze è assente per definizione, e difficilmente si rivolgeranno a un SERT o ad una Comunità terapeutica. Difficilmente andranno incontro a quella deriva sociale tipica del drogato di un po’ di anni fa.
Nel frattempo, sul fronte dell’antidroga, chi ama il “vintage” continua sulla strada di sempre ma chi si ostina ad osservare la realtà, capisce bene come la situazione generale sia molto più instabile di un tempo. La realtà è molto diversa da zona a zona del Paese ma, in generale, stanno andando in crisi tutta una serie di concetti legati alla prevenzione (prevenire cosa?), alla riduzione del danno, alla terapia ed ai processi educativi.
Data la situazione, oggi saremmo nella condizione migliore per ripensare a tutto l’intervento di settore e per toglierlo finalmente da quella situazione di minestrone moralistico-terapeutico-emergenziale-contenitivo in cui è nato e traghettarlo verso una posizione più adeguata ai tempi ed ai bisogni delle persone. Certo, dovremmo rinunciare a concetti storici ed abbracciarne altri che ci permetterebbero di curare adeguatamente chi ha bisogno di cure perseguendo l’eresia di mirare alla guarigione, e di accompagnarlo, ma solo quando è il caso, verso processi di ri-abilitazione reali e mirati. Cercheremmo di stare distanti, se non nei casi disperati, dalla cronicizzazione nei farmaci o (attenzione!) dalla residenzialitá protetta di stile post-manicomiale.
Insomma, la volontà di evitare il rischio di ricadute nella droga potrebbe non essere più l’unica giustificazione per la costruzione di regimi contenitivi a vita, invalidanti quasi come la droga stessa.
Dovremmo ripensare ai luoghi dell’approccio che non sono, ormai, soltanto la strada o la discoteca e smetteremmo di appellarci al rafforzamento di “valori” che, ormai, fanno parte della storia più che del presente.
Dovremmo, inoltre, rinunciare ai “privilegi” per chi si droga su cui tanta parte delle risorse del sistema di intervento sono tuttora impegnate, non si capisce bene a vantaggio di chi o di cosa. ll drogato, oggi, a differenza di qualunque altro malato, per le cure non paga ticket, anche se è in floride condizioni economiche; non “può”, per tradizione organizzativa, essere sottoposto a liste di attesa e, se commette reati; ha “diritto”, in quanto drogato e indipendentemente dalle reali condizioni generali di salute, a vie preferenziali per uscire dal carcere. Il risultato, in assenza di percorsi realmente differenziabili, è che, considerando anche i soggetti con sanzioni amministrative, SerT e Comunità sono saturati di persone che, non cercano cure ma … benefici di legge. Così mancano le energie per tutti coloro che avrebbero veramente bisogno di trattamenti mirati e supporto adeguato ed il lavoro nel Servizi per i tossicodipendenti diventa uno dei più stressanti e, forse, ingrati, di tutta la sanità
Sapremo cogliere l’occasione di un cambiamento? Questa è una storia ancora tutta da scrivere. Spero solo non sia ostacolata da chi, in fondo in fondo, ha sempre pensato che la tossicodipendenza non sia una patologia ed ha sempre visto Servizi e Comunità come caritatevoli ed utili (agli altri) contenitori per devianti o poco più.
Attenzione: anche se da dentro un SerT, una Comunità, un Assessorato o un Ufficio del Governo potrebbe non essere evidente, il mondo cambia velocemente anche in questo campo.
La situazione droga SEMBRA migliorare ma è solo diversa.
Restare fermi sulle posizioni di sempre rischia di trovarci inadeguati e confusi per quello che potrebbe succedere domani. Sarebbe un grave svantaggio per tutti e, considerando la velocità dell’evoluzione dei tempi, … oggi è già domani.
Riccardo C. Gatti 9.1.11