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Sul Corriere della Sera del 6 ottobre 2024, segnalo un articolo di Roberto Saviano.

Il titolo, nella pagina 27, dice tutto: “Il vero business dei clan? Gli stadi come un grande mercato della droga”.

Nel testo si legge, tra l’altro – Parcheggi, panini, biglietti (non solo bagarinaggio), pensate davvero sia questo il business degli ultrà? È solo un ombrello, il vero business è la droga. Cocaina, eroina, ecstasy, hashish e marjuana. I narcosoldi li riciclano nelle attività collaterali. Ecco perché provarono a prendersi la mensa dello stadio juventino o vogliono gestire i negozi. Riciclaggio. Non è da lì che guadagnano. Il business primo resta la droga. Il nostro Paese è leader nel settore del narcotraffico. Ricordate le parole del boss colombiano El Mono Mancuso? «La coca è una pianta strana che ha le foglie in Sudamerica e le radici in Italia». E molte di queste radici sono negli stadi -. E, purtroppo, aggiungerei, non solo negli stadi. La coca è un mezzo importante per impadronirsi della società civile. Di questo se ne parla poco.

Così le storie dei disperati nei boschetti, i drammi dei singoli, le azioni per spostare altrove i luoghi dello spaccio, i problemi di decoro urbano, le notizie di cronaca nera ed il gossip sui personaggi famosi che si drogano, finiscono per prevalere nelle cronache e nei titoli dei media. Per il resto si tace, come si conviene quando il potere criminale diventa dominante.

Giustamente dichiariamo guerre preventive a sostanze che non sono (ancora?) diffuse ma ci dimentichiamo di quelle che ci stanno devastando.

Dimentichiamo che la diffusione delle droghe da parte delle organizzazioni criminali non è un obiettivo ma uno strumento di sottomissione.
Poco si racconta come, da noi, “le radici della coca” siano infestanti e stiano soffocando gradualmente democrazia e libertà anche garantendoci, negli stadi, “panem et circenses”. 

Riccardo C. Gatti

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