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È stata dichiarata quella che chiamerei “la guerra del fentanyl”.

Trump si dichiara convinto che Cina, Messico e Canada possano agevolmente fermare il traffico di droga e l’immigrazione clandestina verso gli USA. Afferma infatti che «sia il Messico che il Canada hanno il diritto e il potere assoluti di risolvere facilmente questo problema di lungo corso. Annuncia che, fino a quando non lo faranno, «è tempo che paghino un prezzo molto alto!» e ha fatto anche sapere che aumenterà del 10% le tasse sull’import dalla Cina «Finché Pechino non assumerà iniziative concrete per fermare la produzione di fentanyl e di altre droghe sintetiche che vengono contrabbandate in Usa attraverso il confine con il Messico».

Se la diffusione del fentanyl, di produzione clandestina, può essere assimilato ad un’arma non convenzionale di destabilizzazione (ha prodotto più morti di una guerra convenzionale), la risposta, con la imposizione di dazi, è altrettanto non convenzionale e senz’altro è strategicamente differente dalla “war on drugs”, dichiarata nel giugno 1971, quando il Presidente USA Richard Nixon definì l’abuso di droghe “nemico pubblico numero uno” e aumentò i finanziamenti federali per le agenzie di controllo della droga, creando una intelligence ed un esercito specializzato, la Drug Enforcement Administration (DEA), in grado di operare in diverse parti del mondo. Quella guerra alla droga sembrava conclusa con una sconfitta, ma ora si rinnova con una diversa strategia.

E se, dopo la dichiarazione di Nixon, i Paesi occidentali, si erano mossi su strade analoghe di lotta alla droga (repressione come azione primaria, spesso concordata internazionalmente, e offerta di cura, quasi secondaria, gestita in modo diverso localmente), bisognerà vedere cosa questo comporterà nelle posizioni degli alleati e, quindi, dell’Europa. L’amministrazione USA uscente, per tramite del Segretario di Stato Blinken, aveva proposto una sorta di alleanza internazionale contro la diffusione delle droghe sintetiche che l’Italia aveva visto con grande interesse. Ma Trump appartiene ad una diversa parte politica e, per ora, sembra muoversi da solo anche se, la sua guerra, agita con l’arma dei dazi, avrà inevitabili ripercussioni sugli equilibri della economia mondiale.

È ancora presto per dirlo, ma la probabilità che la posizione USA, se messa in atto, possa costringere anche gli alleati e, prima di tutto, i paesi Europei, a ridefinirsi, nei confronti della attuale “war on drugs”, costruendo un fronte basato sulle nuove strategie di Trump, è alta.

Una maggior divisione in blocchi, nel mondo, potrebbe, però, favorire comunque la transizione, già in atto, verso le droghe sintetiche, più facili da produrre, anche a livello locale, con precursori che devono essere disponibili per la produzione di farmaci.

Una realtà di cui non tutti hanno preso coscienza, infatti, è che l’uso di droghe, nella vita quotidiana, è diventato patrimonio della cultura dominante dei Paesi occidentali e non è più caratteristico solo di contro-culture o di ambiti circoscritti. Questo, ha cambiato gli scenari mondiali della domanda, dell’offerta e del consumo.

Forse anche per questo, i media cinesi hanno oggi il modo di rispondere a Trump, come il China Daily ha scritto, che “Il mondo vede chiaramente che la causa principale della crisi del fentanyl negli Stati Uniti risiede negli Stati Uniti stessi”. Insomma, secondo i cinesi, il “nemico” da affrontare sarebbe interno agli Stati Uniti e non esterno.

In questo senso, di fronte alle conseguenze di una consistente domanda di droga da parte dei cittadini, accusare altre nazioni di non fare a sufficienza per arginarne la produzione ed i traffico, potrebbe essere solo un modo per spostare l’attenzione rispetto alla incapacità di gestire la situazione interna, intervenendo sulle condizioni, culturali e sociali, che generano la domanda stessa. Promuovere eventuali dazi come ritorsione nei confronti di altri Paesi potrebbe essere solo un pretesto per giustificare azioni protezionistiche che con la droga hanno poco a che fare.

Intanto, gli economisti hanno iniziato a declassare le loro previsioni di crescita per l’economia cinese e, ovviamente, gli investitori mondiali avvertono i rischi di questa nuova guerra e delle sue ricadute.

Riccardo C. Gatti

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