E’ di questi giorni un allerta del Ministero della Salute rivolto, per tramite delle Regioni, ai Servizi Socio – Sanitari, in relazione alla circolazione sul mercato Italiano di derivati del Fentanil ed Eroina ad alto principio attivo.
Speriamo di non essere al preludio di una situazione simile a quella degli Stati Uniti, dove l’inserimento di derivati del Fentanil, da parte dei “grossisti” della droga, sta provocando una vera e propria strage. Spero che l’allerta del Ministero rappresenti solo una giusta preoccupazione per un pericolo potenziale che, magari, non si trasformerà mai in una tragica realtà, ma i segnali, per chi li sa osservare, non paiono troppo buoni e ci parlano di mercati della droga particolarmente aggressivi che cercano di espandersi ulteriormente, con un certo successo.
Per quanto riguarda gli oppiacei, inoltre, girano anche molte ricette ben falsificate che arrivano a diverse farmacie. Se queste ricette ci sono, significa che, ormai, esiste una domanda di farmaci oppiacei da parte di persone che ne abusano o che ne sono dipendenti, altrimenti non si capisce il perché delle ricette false.
Detto ciò, anche considerando le segnalazioni di droghe diverse in circolazione, che arrivano da più fonti, una comunicazione che arriva al Sistema Socio-Sanitario dalle Regioni, non è detto che arrivi alla popolazione generale. Probabilmente si ha l’idea che i possibili consumatori di Fentanile o di eroina ad alto principio attivo siano normalmente raggiungibili tra i pazienti dei SERD o tra le persone intercettate nel lavoro di prossimità in strada, ma … siamo proprio sicuri che sia così?
Recenti affermazioni di persone esperte nell’ambito della Pubblica Sicurezza tendono a spiegare come i clienti degli oppiacei facciano parte di un mercato di nicchia, in qualche modo delimitato e identificabile. Personalmente non ne sono sicuro e, soprattutto, non sarei sicuro che le cose non possano evolversi diversamente in modo relativamente rapido. In fondo sta già accadendo. Le overdose stanno aumentando e questo, sebbene non sia riferibile solo agli oppiacei, ci dice che non siamo più in una situazione stabile. Perché? Oltre a ciò negli USA i derivati del Fentanil sono venduti anche in preparazioni a base di Cocaina che, da noi, sembra diffondersi ulteriormente, ma in popolazioni molto diverse da quelle intercettabili in un “mercato di nicchia”, collegato all’eroina ed a luoghi di spaccio determinati.
La maggior parte di consumatori di oppiacei non sono in cura ai SERD, anche se può essere che, col tempo, ci arrivino. Circolano derivati del Fentanil, ma è possibile che il consumatore finale nemmeno se ne accorga, se verranno usati accortamente (anche se ne dubito fortemente) nel taglio della eroina. Normalmente, da noi, infatti, è l’eroina, non il derivato del Fentanil, che si va a comprare. Molti consumatori cercano l’eroina nel “luoghi di spaccio” convenzionali (boschetti della droga e simili) ma non tutti. I canali di distribuzione delle droghe sono ben differenziati e attenti alle esigenze del cliente e non bisogna ignorare, inoltre, che la persona dipendente da farmaci oppiacei, eventualmente dirottata su questo tipo di prodotti, avrebbe bisogno di un approccio differente da quello offerto nello spaccio di strada. Egualmente il potenziale consumatore di cocaina + Fentanil.
Vero è che negli Stati Uniti, pur in una situazione di drammatica emergenza, ben rappresentata dai media e nota alla popolazione, migliaia di persone, ogni anno, utilizzano eroina e cocaina addizionate con derivati dal Fentanil e ne muoiono. Quindi non è detto che l’informazione tramite media sia uno strumento efficace per prevenire le overdose. Senz’altro può esserlo, invece, un sistema socio-sanitario particolarmente accessibile, efficiente ed in grado di differenziare gli approcci in base ai bisogni delle persone. Lo abbiamo?
Probabilmente si, visto che pur essendo da noi diffusi consumi pericolosi di sostanze d’abuso, il numero di overdose nel nostro Paese rimane limitato. In parte si tratta di un artefatto nella classificazione delle cause di morte, in quanto non è detto che tutti i decessi legato a droghe vengano classificati come tali (soprattutto oggi che circolano un numero vastissimo di sostanze, molte delle quali nemmeno sono rilevate dai comuni accertamenti), ma senz’altro è evidente come la situazione nel nostro Paese sia, per ora, migliore che in altri luoghi.
Dico “per ora”, perché un sistema sanitario “accessibile ed efficiente”, ha bisogno di alcune condizioni essenziali per essere definito tale, che riguardano la capienza e l’esperienza. Oggi l’esperienza nel trattamento delle dipendenze c’è, ma vedo anche una relativa difficoltà nel trasmetterla e nel rimodularla, fatto salvo quanto può essere fatto nel lavoro sul campo. I “vecchi” esperti del settore, gradualmente, se ne vanno in pensione. Molti “giovani”, hanno contratti a termine o sono, comunque, precari e, non di rado, appena acquisita un poco di esperienza, cercano una stabilizzazione in ambiti più appetibili. Non è una bella cosa per Servizi che dovrebbero lavorare con equipe multidisciplinari, affiatate e coese. L’Università se ne è sempre rimasta un po’ ai margini. Non esiste lo specialista delle dipendenze, in quanto tale e formato ad hoc. Se mettiamo tutto questo assieme al fatto che la capienza di molte Sedi ha già raggiunto il limite di pazienti assistibili e che i Funzionari delle Aziende Sanitarie hanno ben lavorato per risparmiare sulla spesa (piallando l’organizzazione, con la scusa di razionalizzarla), il risultato è che il sistema “tiene” nella situazione attuale (un numero non eccessivo di nuovi utenti ogni anno, a fronte di un parco di assistiti nel tempo abbastanza vasto), ma sarebbe in grossa difficoltà in una possibile situazione epidemica in incremento.
In pratica la difficoltà sarebbe quella di creare le condizioni per prendere in carico un numero aggiuntivo di nuovi pazienti, non diminuendo (ulteriormente!) le prestazioni fornibili alle persone già in cura. Questo anche perché, se si verificasse un possibile repentino aumento della domanda, una risposta appropriata sarebbe impossibile assumendo ad hoc personale nuovo ma inesperto.
Poiché fa parte della storia la considerazione che, periodicamente, continenti e nazioni vengono attraversate da epidemie mortali riguardanti l’uso di sostanze psicoattive (per motivi differenti ora ne abbiamo una che attraversa il Nord America, un’altra, differente, in Scozia e sarebbe anche interessante approfondire ciò che accade in Russia ed in altri Paesi del ex Unione Sovietica) è possibile che l’attuale situazione dei Servizi Dipendenze in Italia sia inadeguata e vada riconsiderata.
Per essere ancora più chiari, non è inadeguata perché l’idea che sorregge il funzionamento del sistema (lavoro multidisciplinare, in base alle conoscenze tecnico-scientifiche, per realizzare programmi individualizzati) sia obsoleta, ma perché questo tipo di Servizi di cura deve essere in grado di adattarsi qualitativamente ma anche quantitativamente ad esigenze che mutano nel tempo e che, quindi, richiedono una plasticità operativa che non è più possibile avere con le (attuali) risorse ridotte all’osso.
Se, a tutto ciò, aggiungiamo una diffusa inadeguatezza delle sedi fisiche (che in molti casi sono realmente “respingenti”), la definizione di SERD di residenza a cui è, in molte parti d’Italia, obbligatorio rivolgersi, anche se si lavora altrove o non si ha piacere di farsi riconoscere, il ridondante carico di attività di controllo sociale, derivata dalle normative attuali, per persone che hanno obblighi amministrativi o penali di far monitorare la loro situazione di dipendenza / uso di sostanze, è facile comprendere come l’accessibilità a questo tipo di Servizi, già oggi, non sia quella che dovrebbe essere.
Molte persone che ci lavorano hanno precisamente la cognizione che bisognerebbe attuare diverse interfacce con la popolazione generale e con quella a rischio, per poter intervenire più precocemente in situazioni già problematiche, ma sanno anche che se questo tipo di azione avesse successo, porterebbe al collasso il Servizio dove operano.
Concludendo, è assolutamente utile e positivo che il Ministero della Salute incominci a porsi interrogativi sulle possibili emergenze connesse a situazioni e dati che fanno accendere segnali di allerta ma è anche utile che, assieme alle Regioni, chi ci governa inizi ad interrogarsi seriamente su cosa succederebbe se una possibile emergenza si trasformasse in una emergenza vera.
Sullo specifico problema è, dunque, opportuno chiedersi, a diverso livello ed in relazione alle specifiche competenze:
- se siamo dotati di quanto necessario (uomini, addestramento ed attrezzature) per frenare le eventuali spedizioni illegali di Fentanil che potrebbero entrare nel Paese
- se le risorse messe a disposizione del Sistema Socio-Sanitario siano appropriate e correttamente dimensionate per combattere il possibile sviluppo di una “nuova” epidemia da uso di oppioidi
- se siamo dotati dei mezzi di analisi e di osservazione adeguati per documentare le overdose da Fentanil ed il suo consumo
- se le attività di prevenzione e di prossimità con le situazioni a rischio già agiscano tenendo conto di questo nuovo pericolo, anche informando i potenziali consumatori del possibile aumentato rischio di overdose e delle misure necessarie per ridurlo e, soprattutto, se le attività in campo siano sufficienti
- se, dove può essere necessario un intervento in caso di overdose, siano disponibili dosi multiple di Naloxone in quanto necessarie perché il Fentanil, relativamente agli altri oppioidi, è di più alta Potenza
- se le persone a rischio di overdose da oppioidi, i loro amici ed i famigliari, siano addestrati all’uso del Naloxone
- se stiamo facendo tutto quanto necessario per agganciare precocemente ai trattamenti più appropriati
- il maggior numero possibile di tossicodipendenti da eroina
- il maggior numero possibile di tossicodipendenti da farmaci oppiacei
- se il sistema dei Servizi Dipendenze sia sufficientemente dimensionato e sufficientemente preparato per rispondere rapidamente alle necessità connesse ad una possibile nuova epidemia da oppioidi, complicata da un aumento di overdose, senza sacrificare l’intervento sulle altre dipendenze patologiche e, più in generale, sull’uso non terapeutico di sostanze psicoattive
- se i medici che prescrivono farmaci oppiacei per la terapia del dolore, siano sufficientemente preparati ed abbiano la formazione necessaria per individuare eventuali situazioni a rischio di dipendenza o di diversion e per gestire appropriatamente, in questi casi, il percorso terapeutico ed eventuali complicanze
- se il Sistema Socio – Sanitario nel suo complesso (nella parte ospedaliera ed in quella territoriale) sappia intervenire in relazione alla attività dei Servizi specializzati, come un Sistema di Rete, dove l’insieme fornisce un risultato maggiore della somma delle sue singole componenti
Riccardo C. Gatti