La campagna di comunicazione relativa al 4.20 HEMP FEST di Milano ha suscitato polemiche. Il claim “Io non sono una droga”, con tanto di immagine della foglia di cannabis e il duomo di Milano sullo sfondo, non è piaciuto a molti che, nella migliore delle ipotesi, lo hanno considerato inopportuno. Eppure la canapa è una pianta da cui possono essere ricavati una serie ampia di prodotti che vanno dai combustibili, all’edilizia, ai tessuti, ai medicinali ecc. L’Italia è stata in passato uno dei principali produttori mondiali di canapa industriale, e, forse, il primo produttore mondiale per qualità del prodotto. Purtroppo, nel tempo, il mercato illecito di quei tipi di cannabis che potevano essere usati per l’alterazione dello stato mentale ha finito quasi per uccidere i mercati della canapa lecita, per uso industriale. C’è anche chi sostiene che il proibizionismo nei confronti della cannabis sia nato, nel secolo scorso, proprio per questo e per favorire altri mercati nascenti come quello dell’industria petrolchimica.
La canapa, nell’immaginario collettivo diventò gradualmente quella pianta con cui si fanno gli spinelli e, in certi periodi storici, è anche stata considerata, come diceva il titolo di un libro scritto in proposito, la “testa d’ariete dell’eroina”. Insomma, la droga da cui partivano tutte le “carriere” tossicomaniche.
Venendo ai giorni nostri è iniziata una operazione di “sdoganamento” della cannabis dal concetto di “droga” illecita. Si tratta tuttavia di una azione che si è sviluppata in un modo contorto. Da una parte ci si è mossi per “recuperare” le ragioni per coltivare ed utilizzare la canapa in produzioni industriali di diverso genere, che nulla hanno a che fare con l’alterazione dello stato mentale. Dall’altra si è investito per trasformare la cannabis “droga” da sostanza illecita a sostanze lecita. Una possibilità che potrebbe garantire utili simili a quelli ricavati dagli investimenti sul tabacco del secolo scorso. In mezzo a questi due percorsi si è inserito quello della promozione della cannabis terapeutica ma anche, nel nostro Paese, della Cannabis light. Quest’ultima, non considerabile droga, a termine di legge, per la scarsa presenza di THC (ma gli altri principi attivi ci sono), viene venduta, non per uso umano, a persone che invece ne faranno uso. Si dice che non abbia effetti psicoattivi ma, a questo punto non si capisce perché comprarla e perché non regolarne la vendita: è una specie di moderna “camomilla”, un farmaco erboristico o altro?
Di fatto il confluire di interessi e di investimenti diversi, ma contemporanei, ha finito per potenziare la spinta al consumo di ciò che, più che una pianta è diventato un brand teoricamente “ecologico”, “salutista” ma che, troppo spesso, strizza l’occhio al concetto dell’effetto stupefacente, giovanilistico e vagamente trasgressivo, anche quando propone olio per massaggiare i muscoli degli anziani. Si è così aumentato l’interesse non solo per quanto di buono è correlabile alla cannabis ma anche per l’uso (illecito) della cannabis “droga”, cercando consenso contemporaneo in commercianti e consumatori ma trovando anche il dissenso da chi giustamente è preoccupato dall’ampia diffusione del consumo della sostanza psicoattiva, proprio in chi dovrebbe accuratamente evitarlo: la popolazione giovanile.
E’ così che, probabilmente, il claim “Io non sono una droga” ha suscitato polemica. Esprime una verità inconfutabile: la canapa è una pianta: non una droga. Ma sconta una confusione che, se non verrà superata, continuerà a nuocere, soprattutto al prodotto industriale. Ciò che infastidisce chi si preoccupa della salute delle persone è il sospetto che questa confusione, nel tempo, sia stata voluta proprio per vendere di più, costi quello che costi. Un brand, rappresentato dalla foglia di canapa come simbolo, sarà anche efficace nell’evocare emozioni volutamente ambigue, potrà anche suscitare interessi e consumi nell’immediato ma, alla fine, potrebbe anche rivelarsi un boomerang per chi lo propone senza remore, sovrapponendolo, nella grafica, al Duomo ed alla Madonnina, simboli della città di Milano e della sua storia.
Riccardo C. Gatti
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