Il fenomeno droga è, spesso, rappresentato come un problema di dipendenza legato ai giovani e giustificato da un non meglio precisato “disagio giovanile”. Una trattazione che ha successo, probabilmente piace così anche se non sarebbe difficile capire che uno dei più importanti mercati mondiali, con flussi di denaro imponenti e collegamenti con gli equilibri geopolitici internazionali non si regge solo sui ragazzini e sui disperati che frequentano i boschetti delle droghe, ma è trasversale alle generazioni, ai ceti sociali.

Anche per altri comportamenti che drenano enormi volumi di danaro, le rappresentazioni mediatiche tendono a polarizzarsi sul pericolo di dipendenza, per esempio, da gioco d’azzardo, ma altre tipologie di comportamenti egualmente a rischio, rimangono sotto-traccia, come, ad esempio il trading on line, l’accesso a prestazioni sessuali legate alla prostituzione o lo shopping.

Perché avviene tutto ciò e cosa ne deriva?

Negli scenari rappresentati, abbiamo a che fare con persone che rischiano o hanno una patologia contro cui bisogna mobilitarsi e combattere: la dipendenza. È un concetto così comprensibile che la nostra Presidenza del Consiglio ha denominato un suo Dipartimento “Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze”. È però difficile combattere concretamente “contro” una sostanza, o una patologia: bisogna, trovare un avversario esterno reale (per le droghe, ad esempio, gli spacciatori, i narcos, le mafie, i narco-stati, … ecc.). Un nemico perché colpisce i giovani o le persone “deboli” che, irretite, si ammalano di dipendenza. Il nemico è fuori e, come nelle storie delle invasioni di zombi, circondiamo le scuole di telecamere, spostiamo i luoghi di tentazione legale lontano dai luoghi sensibili e facciamo dichiarazioni di guerra per creare coesione e dar senso alla battaglia.

C’è però un limite: il nemico esterno può essere ben individuato se ha chiare caratteristiche devianti o criminali. Così ci allertiamo per determinati scenari, ma non per altri.
Se la lotta allo spaccio di droghe illecite diventa ovvia, la lotta all’offerta di gioco d’azzardo legale è già meno facile e diventa difficile ragionare in tema di trading, pornografia, prostituzione, o shopping, con una offerta che ha a che fare con la sfera privata, anche se genera comportamenti a rischio di patologia.

Ancora più difficile diventa ragionare sull’offerta di droghe legali, come alcolici e tabacco, di cui siamo addirittura produttori.

La lotta contro nemici esterni non ci permette di guardarci dentro per sviluppare un pensiero critico sul fatto che, collettivamente, abbiamo già introiettato acriticamente comportamenti additivi che sono oggi parte della nostra costruzione sociale. Sembra “normale” che le app più svariate e i siti relativi, da quello del benzinaio, a quello del fornitore di energia elettrica, alla compagnia telefonica ecc. sono ormai diventati, come tutti i siti di e-commerce, piccole slot machine, che propongono, in modo più o meno esplicito, acquisti fortunati, pilotando i nostri bisogni. Guardiamo la tv, coinvolti da programmi dove, di fatto, i meccanismi sono quelli del gioco d’azzardo. Seguiamo, a cadenza regolare, star sulla via del tramonto che ci raccontano come, in passato, abbiano usato (quasi) tutte le droghe, mentre nasce il dubbio che, forse, senza droghe, non sarebbero diventate personaggi di successo. Usiamo farmaci e parafarmaci a sproposito, senza alcuna prescrizione. Il rischio per la salute o per la vita, diventa una parte importante dei comportamenti che riteniamo vincenti.

Ma chi non ha successo, chi usa droghe o adotta comportamenti additivi, ma “non ce la fa”, è considerato un debole, un perdente o un malato di mente, una vittima, un deviante, un colpevole o tutte queste cose assieme. Anche questo ci rassicura: è una persona diversa da noi, per questo è perdente. E, dopo averla classificata così, in modo “politicamente corretto” abbiamo pure il coraggio di affermare che non deve essere stigmatizzata, chiedendoci come mai non si rivolga “precocemente” a Servizi di cura, sempre più parte della Psichiatria.
Così, in questo grande circo di emergenze amplificate, di problemi sottaciuti e di dibattiti mai conclusi, non vediamo il pericolo più grande di questo scenario, in cui tutti viviamo.

Scriveva Pasolini nel 1975 sul Corriere della sera, agli inizi di una diffusione di eroina che in Italia ebbe effetti drammatici: «In realtà il fenomeno della droga è un fenomeno nel fenomeno: ed è questo secondo fenomeno più vasto che importa: che è, anzi, una vera grande tragedia storica. Si tratta, insisto, della perdita dei valori di una intera cultura: valori che però non sono stati sostituiti da quelli di una nuova cultura (a meno che non ci si debba “adattare”, come del resto sarebbe tragicamente corretto, a considerare una “cultura” il consumismo)».

Oggi abbiamo un problema simile ed anche più complesso che riguarda ciascuno di noi. Viviamo in una nuova società interconnessa ma, in mancanza di una “nuova cultura”, gli stessi mezzi di interconnessione di massa, in mano a pochi oligarchi o ad imprese collegate a governi, possono creare forme di dipendenza che, a loro volta, diventano un veicolo per plasmare scelte, opinioni e consumi ed altre forme di dipendenza.

Per difenderci, abbiamo un’unica arma: sviluppare, collettivamente e senza timore, consapevolezza, spirito critico e cultura, più che trovare avversari che nemmeno sappiamo chi siano o per conto di chi operano. Parlarne, per comprendere, in modo intergenerazionale, la nostra realtà che dipende sostanzialmente dalle nostre decisioni individuali e collettive e dalle scelte che si collegano ai nostri stili di vita. Una realtà complessa, dicevo, che ci coinvolge direttamente ma che, per ora, non vogliamo conoscere davvero: siamo addestrati fin da bambini ad essere consumatori consapevoli, ma con scarso spirito critico.

Così, in relazione alle dipendenze, accettando la realtà come viene narrata, diventiamo sempre più vulnerabili. Conoscendola meglio per quello che è e responsabilizzandoci maggiormente sul nostro destino, costruendo cultura più che inutili proclami di guerra, potremmo, invece, cambiarla, anche a danno di coloro che, avendola già compresa a fondo cercano, per ragioni diverse, di confonderci, di sottrarci risorse e sottometterci, vendendoci illusioni.

Riccardo C. Gatti

Una versione di questo articolo è stata pubblicata su l’Altravoce il 29 maggio 2025 con il titolo ‘La droga dei modelli di consumo’.