Una differenza importante tra i pazienti dei Servizi Dipendenze degli anni ‘80 e quelli di oggi sembra essere una maggior incidenza di “doppie diagnosi” cioè, la presenza di persone assistite che hanno una diagnosi di disturbo da uso di sostanze unita ad ulteriore diagnosi di (un’altra) patologia psichiatrica.
Infatti non solo i SERD, un tempo organizzati in Dipartimenti Dipendenze autonomi, vengono gradualmente annessi ai Dipartimenti di Salute Mentale, assomigliando sempre più ai Servizi psichiatrici, ma anche diverse Comunità terapeutiche, un tempo “generaliste”, tendono a strutturarsi come Comunità specializzate per “doppia diagnosi”, diventando sempre più simili alle Comunità psichiatriche.
I motivi di questa differenza potrebbero essere diversi: non solo chi oggi lavora nei Servizi Pubblici ha capitalizzato una grande esperienza che permette di approfondire meglio la situazione degli assistiti, ma anche, rispetto agli anni ‘80, sono aumentate le persone che utilizzano sostanze stimolanti come, ad esempio, la cocaina o la ketamina, o, ancora, mix di sostanze che, più che “soffocare” determinati sintomi di patologia psichiatrica, possono farli esplodere o, addirittura, esserne l’unica causa.
Sintomi, in questo secondo caso, che non sarebbero presenti in una situazione stabile di non consumo di droghe stimolanti.
Esiste poi un’altra faccia del problema. Anche le persone assistite dai Servizi Psichiatrici hanno, da sempre, una più accentata propensione all’abuso di sostanze della popolazione generale. In passato si trattava soprattutto di alcolici e tabacco ma, oggi, non è difficile trovare pazienti psichiatrici giovani che, prima della diagnosi, si sono attivamente accostati all’uso di droghe che sono più accessibili e diffuse di un tempo.
Anche qui: sono tutti pazienti psichiatrici, perché hanno una patologia psichiatrica, oppure, parte di questi, ha presentato o presenta solo sintomi legati al consumo di sostanze che non sarebbero più presenti in una situazione di astinenza prolungata da questo tipo di consumi?
Potrebbe sembrare un problema da poco, in fondo se una persona presenta sintomi psichiatrici ha bisogno di chi sia in grado di prendersene cura. Ma è anche vero che, concentrandosi sulla salute mentale, il sistema di intervento sulle dipendenze opera una scelta di campo in cui rischia di perdere gradualmente altre competenze, pure indispensabili per la cura e la riabilitazione, in una progressiva sovrapposizione con la Neuropsichiatria Infantile e la Psichiatria.
Potrebbe non essere un problema da poco, visto che temo esista un numero non indifferente (e in crescita) di persone a cui viene attribuita una “doppia diagnosi”, soprattutto perché non vengono esaminate, durante il processo diagnostico, in una situazione “drug free” stabile. Un setting quasi impossibile da strutturare nell’ambito di una assistenza ambulatoriale, come quella normalmente fornita dai SERD o, comunque, da un Servizio Psichiatrico o di Neuropsichiatria infantile.
Infatti una “doppia diagnosi” ha delle ricadute importanti perché, le persone così diagnosticate, tendono ad essere indirizzate verso percorsi più complessi (e costosi), con una più difficile prescrizione e gestione di farmaci che, a loro volta, possono diventare oggetto d’abuso e con una sorta di “etichettamento” che, soprattutto in persone giovani, potrebbe essere controproducente.
Per questi motivi il tema della diagnostica merita una più grande attenzione. Non bisogna fermarsi alla considerazione che il processo diagnostico è qualcosa di mai concluso che si perfeziona nel percorso di cura. È vero, in parte, ma ciò che è deciso all’inizio, condiziona gli obiettivi e lo svolgimento di ciò che ne segue, il destino del paziente e la sua possibilità di guarigione. Possibilità di guarigione che, temo poco valutata in presenza di una “doppia diagnosi” che non deve diventare simile a un “fine pena, mai”.
Riccardo C. Gatti