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L’effetto di mascheramento è “Il fenomeno per cui, se si presenta un secondo stimolo adeguato subito dopo il primo, questo non viene percepito. Un’informazione, per es. linguistica, può esser coperta da un suono di mascheramento (rumore bianco, noise) oppure da un’altra informazione di tipo e intensità adeguati”(Treccani.it).
Siamo, ormai abituati a periodici dibattiti sulla droga. Emergenze che durano qualche giorno oppure confronti tra proibizionisti e antiproibizionisti, secondo riti ormai consolidati che non portano a nulla. Di volta in volta si acclamano norme per test obbligatori per qualche categoria “di turno”,  dai parlamentari ai conduttori televisivi, passando  dagli insegnanti o, in generale, i dipendenti pubblici. Viene interrogato qualche “scienziato”, non di rado solo apparentemente esperto della materia, che inevitabilmente dirà quello che già tutti sanno: le droghe fanno male, ma non solo quelle illecite. Se e quando la situazione sembra precipitare, nei termini di emergenza mediatica, nasce una “nuova” legge che assume il nome di chi la propone e che promette la soluzione di ogni problema. Sarà sempre una ri-modulazione della 685 del 1975: una legge creata in un mondo ed in scenari di consumo sostanzialmente diversi dagli attuali. Quando il rito è quasi consumato, qualcuno afferma che bisogna rafforzare le Comunità terapeutiche e fare più prevenzione. Tutto finisce. La cosa funziona da circa quarant’anni.
Ho la sensazione, tuttavia, che ci troviamo sulla soglia di un reale cambiamento. Intendiamoci, non ho una idea precisa di quale e quando sarà, ma l’influenza delle politiche e degli equilibri internazionali su, questi temi, ha molta più importanza di quanto i comuni cittadini credono. Si tratta di politiche ed equilibri che stanno cambiando.
Le ragioni sono diverse.
La prima è evidente. Il mondo è cambiato dai primi del ‘900.  Ciò mette in discussione un mito tipico della società dei consumi, nata, appunto, nel secolo scorso: credere che si possa effettivamente decidere a tavolino, e qui ovviamente non parlo solo di droghe, cosa la gente debba consumare, oppure no. Nel bene o nel male questo era, almeno parzialmente, possibile, un tempo, attraverso il controllo dei media e del territorio. Per fare un esempio erano gli Stati a decidere quali droghe fossero illecite ma erano, poi, le organizzazioni criminali a determinare quali effettivamente potevano/dovevano essere consumate dai loro clienti, rendendone disponibili solo alcune e creando “tendenze” ad hoc.
Oggi i consumi di qualunque genere sono molto meno controllabili ed il territorio non corrisponde più a confini fisici: è molto più vasto, rapido nelle interazioni e dimensionato dal rapporto con i nuovi media che riescono ormai a superare anche le censure e i cancelli virtuali dei regimi totalitari. In tema di droga le grandi organizzazioni criminali hanno meno possibilitá di determinare direttamente i consumi e incominciano a sentire la concorrenza di produttori e distributori indipendenti che si affacciano sul mercato, rivolgendosi direttamente ai consumatori. Accorciando la catena di vendita e lucrando sul valore intrinseco della sostanza, piuttosto che sugli scambi della stessa attraverso lunghi ed articolati percorsi, la droga perde la funzione di moneta di scambio ma diventa un prodotto piú adatto a mercati in cui le tendenze dei consumatori vanno, almeno in parte, inseguite, piú che generate, da chi produce. E’ il frutto di una evoluzione tecnologica che ha cambiato la nostra vita, il modo di relazionarci, di procurarci conoscenze, di usufruire dei servizi, di divertirci, lavorare, acquistare prodotti, viaggiare ed interagire con gli altri e, in parte, con noi stessi.
La seconda è legata ad eventi che lasciano inevitabilmente il segno e spingono a ripensamenti, anche rendendo evidenti le contraddizioni legate alla prima. Gli Stati Uniti, per esempio, per anni hanno sostenuto il fronte della guerra alle droghe definite illecite: un conflitto combattuto con uomini e mezzi anche al di fuori dei confini e con costi non completamente noti ma, senza dubbio, ingenti. Combattendo questa guerra sono stati, però, colpiti dal fuoco “amico”: una epidemia di abuso e uso improprio di farmaci leciti (soprattutto oppiacei per la terapia del dolore) che hanno creato più morti e interventi di emergenza di eroina e cocaina assieme. Quando hanno cercato di arginare il problema, l’eroina ha ricominciato a diffondersi nel Paese e, attenzione, non tra gli emarginati, ma tra le persone benestanti, in sostituzione dei farmaci sottoposti ad un maggiore controllo. Il Messico, intanto, in circa sette anni, contava 70 mila morti e oltre 26 mila persone scomparse (!!!) in relazione ai traffici di droga, alla guerra tra bande, alle attività repressive ed alle contromosse violente delle organizzazioni criminali.  Migliorava la situazione in Colombia ma solo perché il problema dei traffici e della criminalità correlata si estendeva ai Paesi vicini.
Considerando che anche il Canada ha oggi problemi non indifferenti con l’abuso di farmaci per la terapia del dolore, c’è l’intero continente americano, da nord a sud, che è obbligato dai fatti a ripensare alle politiche sulle droghe, legali o illegali che siano. Ciò che appare evidente è che la guerra alla droga, da tempo dichiarata, non solo non ha visto un vincitore ma ha anche generato situazioni oggettivamente inaccettabili. In alcune zone del Messico, ad esempio, i cittadini stanno insorgendo e cercano di difendersi da soli dalle bande dei narcos, dalla polizia corrotta e da uno Stato che non sembra capace di intervenire.
Come se non bastasse, dalla nostra parte dell’oceano le cose non vanno nel migliore dei modi. E’ vero che nella vecchia Europa l’abuso di droghe classiche, come l’eroina e la cocaina, sembra più contenuto di un tempo, ma è altrettanto vero che questo è, almeno in parte, il risultato della presenza sul mercato di un numero sempre crescente di nuove sostanze d’abuso su cui orientarsi in alternativa. Ciò che appare è che laddove arrivano i nuovi media e crescono i “nativi digitali”, le persone che cercano una alterazione o una modulazione dello stato mentale, tendono a rivolgersi sempre più alle sostanze lecite, piuttosto che a quelle vietate. Fino ad ora la risposta a questa tendenza è stata di vietare le nuove sostanze di abuso. Il paradossale risultato ha spostato verso l’illecito una parte dei consumatori ma ha anche creato un mercato diffuso, avido di sostanze sempre nuove e (ancora) non proibite.
La rincorsa al divieto non è chiaro, al di fuori delle comunicazioni promozionali di chi la determina, se produca vantaggi o svantaggi. Diventa sicuramente problematica, nel momento in cui le sostanze d’abuso sono (anche) farmaci o prodotti di uso comune; diventa inaccettabile se, per tutelare forzosamente la salute di una parte della popolazione, si rende difficile la vita della maggior parte dei cittadini.
Consideriamo anche che, nel frattempo, le “vecchie” droghe sembrano trovare nuova vita in Paesi dove, a differenza che da noi ed indipendentemente dal grado di sviluppo, l’economia cresce, dando modo alle grandi organizzazioni criminali di intervenire in territori ancora “fisicamente” controllabili, condizionando scelte e prospettive di interesse mondiale. Non per nulla in Afghanistan la produzione di oppio è aumentata.
Di fronte a tutto ciò la legalizzazione della cannabis a scopo terapeutico in alcuni Stati USA ed anche a scopo ricreativo in Colorado e in Uruguay, diventa senz’altro una sperimentazione sociale e sanitaria da cui trarre elementi di grande interesse ed è, forse, il prodromo di un possibile atteggiamento diverso dal passato, ma non è considerabile ancora né la diretta conseguenza né l’esito degli elementi concreti che mettono in discussione le politiche sino ad ora attuate, non tanto perché eticamente o ideologicamente “giuste” o “sbagliate” ma perché non più adeguate alle condizioni attuali.
Far credere che la legalizzazione o meno della cannabis a scopo ricreativo, sebbene sia una sostanza molto utilizzata, possa essere una risposta ai problemi connessi con l’attuale diffusione e l’abuso di droghe legali o illegali è una illusione. Si tratta di un effetto di mascheramento che ha il risultato di spostare temporaneamente l’attenzione da un problema molto più ampio e complesso, trasversale ai confini delle singole nazioni ad un problema molto più circoscritto, anche ideologicamente, in un momento in cui non si ha la forza, l’idea, il consenso, la volontà, la possibilità o la convenienza necessaria per qualcosa di più o di differente.
Il dibattito pro o contro la legalizzazione della cannabis, ad esempio, negli USA ed anche altrove, ha quasi soffocato la discussione sulle conseguenze dell’abuso dei farmaci oppiacei che, a suo modo, stava mettendo in discussione i rapporti con le case farmaceutiche e le politiche del farmaco; sulla situazione sudamericana e in Messico dove, evidentemente, le azioni di guerra alla droga mostrano esiti negativi; sul risultato della missione militare Afghanistan che sta per concludersi, lasciando in incremento una produzione di eroina che sta avendo ed avrà, nel mondo, effetti devastanti.
Per questi motivi penso che anche nel nostro Paese sarebbe opportuno iniziare un ragionamento complessivo sull’uso pericoloso e l’abuso di sostanze ai giorni nostri, uscendo da paradigmi senza dubbio sempre evocativi ma, ormai, legati a intendimenti nati quarant’anni fa, in un mondo completamente diverso da quello odierno. Certo è necessario non cadere nel gioco degli effetti di mascheramento che ci impediscono di vedere ciò che, invece, dovrebbe essere visto. Solo in questo modo potremo portare il nostro apporto alla costruzione di nuovi assetti internazionali e locali che, con noi o senza di noi, dovranno, comunque, essere riformulati, indipendentemente dal fatto che la cannabis sia o meno ampiamente legalizzata. Insomma il mondo cambia con noi o senza di noi ma, visto che ci viviamo, sarebbe meglio esserci soprattutto quando si prendono decisioni che riguardano tutti quanti, evitando di far fronte ed urlare sotto questa o quella bandiera, senza nemmeno aver capito bene per chi e per cosa si combatte.

Riccardo C. Gatti 1.2.2014