Fonendo_blu(la salute e lo stigma)

Teoricamente il Servizio Sanitario Pubblico è stato costruito proprio per ridurre o eliminare alcune differenze tra i cittadini, per esempio, tra chi è ricco e chi non lo è.
Nella necessità di un intervento chirurgico è vero che, pagando, si può scegliere il miglior ospedale del mondo con il chirurgo che riteniamo più capace. Anche con il Servizio Sanitario Nazionale, tuttavia, possiamo essere curati adeguatamente da ottimi professionisti, non meno abili e preparati di altri. Siamo anche, almeno parzialmente, al riparo da alcuni pericoli propri della sanità “commerciale” quando, ad esempio, tra due possibilità di cura equivalenti, potremmo essere portati a scegliere quella che genera maggior profitto e, a noi, costa di più.
Almeno per ora, nel nostro Paese, pur con una crescente attenzione alla spesa e, soprattutto, per le malattie di una certa gravità, il Servizio Sanitario mette a disposizione tutto quanto è necessario per la cura. Il prolungamento della vita media, ad esempio, ha aumentato la presenza di tumori nella popolazione generale.  Un sistema diagnostico e clinico di eccellenza permette, oggi, di individuare tutte le possibilità di cura e, nei casi più sfortunati, quando un intervento risolutivo non è possibile, non solo identifica il male ma ne segue l’evoluzione, rallentandola. Anche quando è chiaro che il viaggio della vita si avvia, ormai, alla conclusione, è possibile che vengano utilizzati farmaci costosissimi per garantire qualcosa che non ha prezzo: qualche giorno di vita in più. Qualcosa del genere è messo in atto anche per altre gravi malattie dove si sono fatti passi avanti (ed investimenti) da gigante, sempre con la stessa prospettiva: prolungare la vita e/o migliorarne la qualità. Se l’intervento di cura, poi, può cambiare in modo positivo il destino di una persona, sembra, giustamente, “normale” che il Servizio Pubblico spenda decine o centinaia di migliaia di euro per provvedere a tutte le necessità. Sono soldi nostri, li paghiamo con le tasse. Chiunque di noi potrebbe averne bisogno. Addirittura per certi tipi di cura, non disponibili nel nostro Paese, è possibile recarsi all’estero, rimborsati dal Servizio Sanitario Nazionale. Anche se, talvolta, si disputa su casi di mala-sanità, speriamo di garantirci a lungo questo tipo di possibilità di assistenza.

Ma … siamo tutti eguali davanti al Servizio Sanitario Nazionale?
A mio parere no. Anche se, dati i presupposti dell’esistenza di questo Sistema è apparentemente assurdo che si possa pensare a malati per cui è reso disponibile tutto ciò che è necessario per la cura, a differenza di altri, le differenze ci sono ed a farle è proprio il tipo di malattia.

La tossicodipendenza è considerata una malattia grave perché, tra l’altro, tende alla cronicità, in molti casi produce situazioni di invalidità e può portare a morte in giovane età, per effetto diretto di una serie di patologie correlate che non è sempre facile prevenire o curare. Ogni Azienda Sanitaria è dotata di un Servizio Tossicodipendenze (Ser.T.) ed esistono anche molte Comunità Terapeutiche che possono accogliere i tossicodipendenti in cura, a carico del Servizio Sanitario Nazionale. Quindi, apparentemente, per chi è tossicodipendente viene fornito tutto quanto è necessario per la cura ed anche … di più, visto che tutte le azioni cliniche connesse alla tossicodipendenza sono esenti da ticket. Eppure, rispetto ad altre patologie gravi, ci sono limitazioni che non sono così evidenti da balzare all’onore delle cronache e nemmeno sembrano essere prese in considerazione da parte di chi si occupa di programmare ed organizzare gli interventi sulla salute.

Una limitazione deriva da ciò che si chiama “stigma”. Eccone la definizione del Dizionario Sabatini Coletti: – Segno caratteristico, impronta: portare sul viso lo stigma di un vizio -.
Poiché abbiamo definito drogarsi un illecito, chi usa droghe non è ben visto ed è come fosse portatore di uno stigma che lo segna perpetuamente. Non ci piace affermarlo ma i diritti di chi usa droghe (illecite) non sono eguali a quelli di chi non le usa. Diversa è la situazione di chi usa droghe che, pur alterando le capacità psicofisiche, sono lecite. Infatti il termine “tossicodipendente” è, normalmente, applicato a chi usa droghe illecite.
La maggior parte delle persone che usano droghe (illecite) non sono tossicodipendenti. Ma a tutti noi piace semplificare e, quindi, poiché abbiamo deciso di stigmatizzare chi usa droghe illecite e di chiamare, chi le usa “tossicodipendente”, anche quando non lo è, anche la tossicodipendenza (che è una malattia) viene stigmatizzata perché  diventa il segno evidente di ciò che consideriamo un vizio.
Per questo per i tabagisti, per gli alcolisti, per i giocatori patologici, i dipendenti da shopping compulsivo, da sesso ecc. viene considerato “normale” usare terminologie descrittive differenti, costruire commissioni di studio ad hoc e, addirittura, percorsi terapeutici “fisicamente” differenziati. Interessante è la ragione che porta a queste differenze, quando si sostiene di avere a che fare con persone sostanzialmente “diverse” concludendo che “evidentemente”, i Servizi per le tossicodipendenze (Ser.T.) ed i programmi che attuano, “non sono adatti” per tutti coloro che “tossicodipendenti” non sono,  compresi coloro che hanno gravi dipendenze patologiche da sostanze o, anche, non da sostanze.
Basta, comunque, vedere il rapporto tra il numero degli specialisti impiegati nei Ser.T. ed il numero delle persone che hanno in trattamento per comprendere come, spesso, ci troviamo di fronte a strutture sovraffollate in cui è fisicamente impossibile pensare che i medici e gli psicologi (ma anche il resto del personale) abbiano il tempo tecnico per intervenire in modo intensivo su ciascun paziente con programmi di cura e, nel caso, di riabilitazione, che dovrebbero essere individualizzati prevedendo un approccio multidisciplinare.
Evidentemente, sebbene in modo implicito, per il “tossicodipendente” (da sostanze illecite) viene considerato “normale” uno standard di intervento terapeutico più basso di quello attivabile per altre situazioni di dipendenza. E’ il risultato dello “stigma”: un “vizio” deve essere controllato, arginato nelle sue conseguenze (soprattutto sugli altri) ma non curato. Per questo, di norma, e salvo eccezioni il “tossicodipendente” non ha la possibilità di accedere a reparti ospedalieri di ricovero specializzati per la sua patologia e nemmeno viene assistito dal suo medico di famiglia: deve andare al Ser.T. o in Comunità mentre, per le altre persone affette da dipendenze patologiche si sostiene tranquillamente che non esistono strutture adatte con qualche eccezione: quando sono attivi Centri dedicati, diversi dai Ser.T..

Dunque, per chi è tossicodipendente, non si ritiene di investire nella cura tutto quanto è necessario. In assenza di farmaci e di tecnologie ad alto costo applicabili la spesa principale per la cura è costituita dal personale e dalle sedi disponibili. La risorse fondamentali diventano il tempo a disposizione per ciascun paziente e la qualificazione degli operatori. Limitandole (contenendo il personale disponibile, non costruendo Scuole di specialità ad hoc e mantenendo bassi gli standard di settore) si ottiene un risultato: a differenza di altre patologie, più difficilmente, il tossicodipendente assistito dal Servizio Sanitario Nazionale, pur avendo diritto a cure gratuite riesce ad avere l’intensità, l’attenzione ed il livello di cura che sarebbe indicato. Deve accontentarsi di standard più bassi addirittura di quelli che molti riterrebbero necessari per la cura di dipendenze non da sostanze. Non per nulla i Ser.T. non sono considerati servizi specialistici: sono servizi di base ma … un secondo livello non esiste ed è interessante notare come, spesso, il tutto sia giustificato dalla affermazione che gli stessi “tossicodipendenti” non vorrebbero approcci più intensivi o approfonditi da parte dei curanti.
Eppure, la cura di un tossicodipendente, per un anno, presso un Servizio Pubblico, costa come qualche giorno di ricovero in Ospedale. Se al trattamento ambulatoriale è associato anche un periodo in Comunità terapeutica il costo è simile ad un ricovero con qualche accertamento diagnostico aggiuntivo. Mi chiedo, allora, perché in altri campi ci sono medici o chirurghi che possono avere (quasi) tutto ciò che serve per la cura ottimale del loro paziente mentre un terapeuta delle dipendenze non ha le stesse possibilità. Quando in un Servizio ambulatoriale, ad esempio, i pazienti sono qualche centinaio e gli psicologi due o tre …è molto difficile pensare di fornire un’ assistenza psicologica adeguata e personalizzata anche quando questo è l’unico intervento veramente indicato e, in prospettiva, risolutivo. Analogo discorso si potrebbe fare per i medici: solo apparentemente i trattamenti farmacologici hanno pochi limiti perché non sono contingentati nel tempo, ma un conto è “tenere in cura” … un conto è curare per davvero una patologia che dovrebbe essere affrontata multidisciplinarmente anche a livello sociale ed educativo. Quanto tempo ha realmente, ciascun medico di un Ser.T. per approfondire la situazione del paziente e l’effetto delle terapie nel tempo, costruendo un rapporto solido con obiettivi realistici da condividere anche con lo psicologo e, se è il caso, con l’assistente sociale e l’educatore? Che spazio è disponibile nel Servizio per garantire, a ciascuno, riservatezza? Quale possibilità è data per costruire attività di gruppo anche non convenzionali (per esempio psicomotorie)? Quali risorse reali sono disponibili, quando necessario, per gli interventi riabilitativi e di reinserimento sociale? Quale preparazione, specifica, hanno i singoli terapeuti ed esiste, per loro e per l’intera equipe, una attività di supervisione clinica continua? La sede operativa è adeguata, accessibile e tenuta in modo decoroso? Le strutture, intese come sedi,  sono adatte per le situazioni e gli interventi da affrontare?
Ho citato solo alcuni elementi che, per chi interviene sulle dipendenze, sono importanti almeno quanto avere una sala operatoria adeguata per eseguire un trapianto cardiaco. Ma nessuno eseguirebbe un trapianto cardiaco in una sala operatoria inadeguata, senza personale ad alta specializzazione e in assenza degli strumenti adatti. Nemmeno opererebbe tre pazienti in una sala operatoria che ne contiene solo uno!  I Servizi Tossicodipendenze, invece, lavorano (quasi) in qualunque condizione. Si chiede loro di adattarsi ed anche di ricordare che “devono” prendere in carico, comunque, chi chiede aiuto. E’ normale così?
Contemporaneamente mi chiedo come sia possibile che le Comunità terapeutiche possano essere tali quando le loro rette, in alcune Regioni anche rimborsate con ritardo, sono molto contenute. Con la stessa cifra giornaliera ciascuno di noi, al massimo, sarebbe in grado di pagarsi il soggiorno in una pensione: come possano essere sostenuti i costi per il trattamento che, ovviamente, non può essere solo di tipo alberghiero?
Soprattutto perché mai chi ha bisogno di un trapianto (ma è solo un esempio) può costare più di un centinaio di migliaia di euro al Servizio Sanitario mentre per il tossicodipendente è necessario … risparmiare, non chiedendo standard elevati di intervento e non promuovendo Centri di eccellenza?

Quando condivido i miei interrogativi con altri colleghi che si occupano del curare o del prendersi cura in altri campi le loro risposte sono abbastanza semplici e hanno a che fare con due temi fondamentali: 1) chi ha una dipendenza, in fondo, si è voluto il suo male e, quindi, “chi è causa del suo mal … pianga se stesso”;  2) gli interessi delle case farmaceutiche ed i produttori di tecnologie sono scarsi in questo campo e, quindi, non c’è interesse ad investire nella cura dei tossicodipendenti. Qualcuno, più perverso, azzarda l’interpretazione che la tossicodipendenza (a differenza di altre patologie), genera ricchezza fin tanto che esiste, non quando la si cura.

Evidentemente chi ha progettato il sistema di intervento ha pensato, prima di tutto, a costruire un contenitore lasciando ad altri l’incombenza di pensare al contenuto. Sarebbe stato più intelligente progettare il sistema attorno alla funzione che doveva svolgere, invece è successo viceversa. Lo stigma e la mancanza di interessi economici nel settore della cura hanno fatto il resto.
Oggi la crisi economica che attraversa il Paese costringe tutti, anche i sistemi sanitari, a contenere le spese. A parità di contenimento di spesa, i settori ad alto costo e tecnologia saranno costretti a scegliere più oculatamente i trattamenti, valutando attentamente i rapporti costo beneficio anche migliorando l’organizzazione dei Servizi e dei Reparti di cura. Probabilmente saranno in grado di farlo perché dovranno soprattutto ottimizzare il loro lavoro: strada complessa ma sempre percorribile.
Cosa avverrà, invece, nei Servizi erogatori di cure “a basso costo” che si occupano di dipendenze? La risposta è ovvia: il personale che rappresenta il costo più alto, gradualmente, verrà ridotto (perché è l’unica voce di bilancio consistente su cui è possibile contenere la spesa), e poiché il tempo a disposizione dei terapeuti (più che il costo dei farmaci) è essenziale per definire la qualità della cura, o si abbasserà ulteriormente la qualità della cura o si dovrà abbassare la “capienza” dei Servizi. Nello stesso tempo vi sarà pochissimo spazio per sperimentare ed implementare nuovi “spazi” e modalità di cura che si differenzino dall’attuale ambulatorio del Ser.T. e dalla Comunità terapeutica, se non ridimensionando ulteriormente l’esistente (cosa impossibile vista la domanda di cura).

La Relazione al Parlamento 2011 indica in 176.430 il numero di soggetti in trattamento e stima in 338.425 il numero di persone complessivo con necessità di cura in Italia. Paradossalmente dobbiamo sperare che tutti coloro che hanno necessità di cura non si rivolgano mai ai Servizi preposti perché, altrimenti, il sistema non sarebbe più in grado di curare nessuno, implodendo.

Probabilmente sta cambiando un orientamento che, sino ad oggi, ha fatto si che la cura per le tossicodipendenze fosse, per tutti, completamente gratuita ed esente da ticket. Ci potrebbe essere, cioè, chi incomincia a pensare che lo Stato potrebbe intervenire, in questo campo, soprattutto per i bisogni di ASSISTENZA e meno per quelli di cura.
E’ una buona idea? A mio avviso no. Sono convinto che le dipendenze siano patologie da curare intensivamente il più precocemente possibile perché non solo creano gravi danni ed invalidità individuali ma anche costi sociali molto alti. Sono cioè convinto che intervenire in modo adeguato in questo campo sia un investimento e non un costo. Quindi la cura precoce deve essere incentivata ed il Sistema Pubblico deve essere in grado di garantirla in modo adeguato.

Nella contingenza economica del momento cercherei, piuttosto, di valorizzare la capacità e la capienza di cura; ridurrei per i Servizi esistenti funzioni di controllo sociale che potrebbero essere fatte anche da altri; rivedrei le norme che spingono alla cura anche chi non ne ha bisogno (per ridurre conseguenze legali di comportamenti legati all’uso di droghe ma che non hanno nulla a che fare con la patologia tossicomanica); introdurrei una “partecipazione alla spesa” per i cittadini a più alto reddito. Complessivamente, però, potenzierei il sistema pubblico anziché ridimensionarlo esplicitamente o, come succede oggi, non esplicitamente.

Ho la sensazione che un momento difficile come questo per l’economia avrà ripercussioni forti nell’aumentare il numero di persone che abusano di sostanze e, in presenza di una capienza ridotta e di una minore accessibilità dei Servizi di cura, il danno potrebbe essere grande per tutti. Una visione miope della questione potrebbe portarci, in tempi non distanti, a rimpiangere di non aver fatto le cose giuste al momento opportuno. E, inoltre, continuo a chiedermi perché questo tipo di patologie, al di là delle periodiche emergenze dichiarate e dei falsi pietismi, debbano avere una “dignità” inferiore rispetto ad altre. Forse perché pensiamo che non ci possano capitare?

Riccardo C. Gatti 15.4.2012