Un racconto di Riccardo C. Gatti ©
La fantascienza si occupa di miti che si proiettano nel futuro anziché nel passato. Questo racconto tratta di miti che riguardano l’uso di droghe: parlano del passato e si proiettano nel futuro.
1° mito: decidere dei consumi della gente
Tutto era cominciato un paio di secoli prima, con la nascita del marketing, negli “anni ruggenti”. La gente aveva aumentato vertiginosamente i consumi, ma per consumare aveva spasmodico bisogno di soldi. Le banche, per assecondare la crescita, avevano fatto prestiti anche a sproposito. In America, dal 1922 al 1929, la produzione industriale era aumentata del 64%, la produttività del lavoro del 43%, i profitti del 76% e i salari del 30%. Si faceva strada la convinzione che arricchirsi con le attività speculative fosse facile. Nel giugno del ’29 venne il momento di fare i conti: il mondo conobbe una crisi economico – finanziaria senza precedenti. Come disse Woody Allen, “Nel ’29 la gente era così povera che i piccioni davano da mangiare ai passanti”. Ma la strada era tracciata. Ci si era resi conto della reale possibilità di condizionare i consumi di massa e si erano elaborate tecniche e strategie per poterlo fare. Era nata la società dei consumi.
Ma la consapevolezza di poter controllare i consumi comprendeva anche quella di poterli o di doverli vietare. E fu così che, all’inizio del ‘900, prodotti che erano più o meno liberamente in vendita e che avevano avuto una grande diffusione, vennero prima regolamentati e poi vietati. Nascevano i proibizionismi e, ovviamente, gli antiproibizionismi. C’era chi, rapidamente, si accorgeva che anche i consumi vietati potevano sostenere mercati fiorenti, sebbene clandestini.
Passarono gli anni e le posizioni si consolidarono. Proibizionisti ed antiproibizionisti videro alternativamente successi e sconfitte. Non si capiva mai bene quale posizione fosse, in prospettiva, realmente vincente. Anche la politica, infatti, si andava staccando gradualmente dall’ideologia per diventare, essa stessa, un prodotto promosso con le stesse tecnologie degli altri prodotti della società dei consumi di massa. Nonostante la maggior capacità dei mezzi di comunicazione di diffondere notizie, le notizie non servivano per costruire esperienza e, quindi, ciascuno poteva riscrivere storie già scritte, senza che le masse dei consumatori se ne accorgessero. Era un vantaggio sfruttato da tutti, compresi i trafficanti di droghe, che potevano riproporre prodotti di cui, in luoghi diversi o in tempi diversi, era già stata ampliamente provata la pericolosità.
Incominciò ad essere affermato il concetto di “guerra alla droga” che convalidava la necessità di investire fortune economiche per contrastarne il traffico, anche con azioni militari, più avanti dette di “polizia internazionale”. Intanto milioni di persone morivano per il fumo di sigarette e per l’alcol (vietato o legalizzato che fosse).
La situazione non cambierà per molti anni: la maggior parte dei decessi per droga era collegato all’uso di droghe “legali” mentre si combattevano vere e proprie guerre alle droghe illegali. Guerre vere, non solo simboliche, così pervasive, cruente e costose da mettere a rischio ciò che si pensava di guadagnare, facendole: il consenso popolare.
2° mito: tenere tutto sotto controllo
All’inizio del 21° secolo il conflitto ideologico tra proibizionismi ed antiproibizionismi continuava stancamente ma, intanto, il mondo era cambiato di nuovo. Come era già accaduto altre volte nell’era moderna, il cambiamento era pilotato dai nuovi mezzi di comunicazione e dal loro significato.
Mentre Radio, Televisioni e Giornali erano storicamente controllati dagli editori e dai produttori dei contenuti che veicolavano, Internet e la Convergenza multimediale nascevano senza filtri e senza controllo generando nuove culture, nuove conoscenze e nuove interazioni favorite anche dalla possibilità delle persone di viaggiare, interagire e conoscere, non solo virtualmente.
I mercati tradizionali della droga, legati ad organizzazioni criminali di respiro mondiale avevano, da poco, giocato la loro ultima carta, sicuramente vincente, proponendo le droghe come doping all’interno della new economy di fine ‘900. La cocaina poteva servire per aumentare le prestazioni sessuali, lavorative o di relazione. La cannabis per decelerare o per rilassarsi. L’eroina o l’oppio per crearsi nicchie di ovattato piacere e così via.
Ma la gente incominciava a chiedersi perché doparsi ed, eventualmente, perché proprio in quel modo. Esistevano infinite possibilità per modulare la sessualità, le relazioni o la fatica legate ad altri prodotti, normalmente proposti come farmaci o, comunque, come non droghe, e che avevano un’accessibilità molto più facile. La rete le rappresentava tutte. Il grande mito del ‘900 di poter decidere sui consumi della gente, faceva parte, ormai, della storia. La stessa criminalità organizzata considerava sempre di più la droga come un prodotto residuale, certa com’era che il monopolio di un tempo fosse, ormai, naturalmente estinto. Così, in mancanza di “cattivi” e di “mercanti di morte” chiaramente definiti, anche la politica arrancava per “vendere” ancora il concetto di guerra alla droga, come fosse la lotta inevitabile del bene contro il male.
I servizi di cura che, un tempo, si preoccupavano non solo di curare ma anche di prevenire, ora agivano soltanto su devianze e malattie mentali: nemmeno pensavano più di poter intervenire sul tema “droga” in modo ampio. Da loro passava molta gente, per uscire dal carcere o per evitare sanzioni legate al consumo, ma, nonostante gli psichiatri riuscissero, ormai, a diagnosticare come patologico qualunque comportamento, non riuscivano a curare chi non era malato.
La maggior parte di persone che alteravano il loro stato di coscienza volutamente, non erano malate, anche se i giornali ed i politici continuavano a chiamarle tossicodipendenti. Osservatori sempre più sofisticati lavoravano scientificamente per proibire l’uso di sostanze sempre nuove anche se, ovviamente, dovevano fermarsi alla soglia del mercato dei farmaci e di tutti quei prodotti dei mercati tradizionali che, tuttavia, potevano essere usati per alterarsi: si vendevano meno cocaina cannabis ed eroina ma la situazione non era più sotto controllo.
3° mito: la scienza trova risposte ai problemi sociali
Proprio a quel punto vi fu una scoperta che cambiò la storia e, come spesso succede, la scoperta fu dovuta al caso. Si trattava del Tiller. Ecco come andò.
Una grossa casa farmaceutica aveva da tempo in cantiere un nuovo antidepressivo – antipsicotico ma lo teneva, diciamo così, di riserva. Non c’era interesse ad esporsi più di tanto con farmaci nuovi, finché si riusciva a fare profitti con quelli vecchi. Inoltre bastava produrre un farmaco di successo perché venisse rapidamente copiato: il principio attivo era reso disponibile da produttori, diciamo così, indipendenti e spedito direttamente a casa dei consumatori.
Tiller era molto differente dagli psicofarmaci inventati sino a quel momento. In modo non completamente spiegato, riusciva a modulare dinamicamente l’equilibrio dei diversi neurotrasmettitori cerebrali tra loro. Sostituiva l’equilibrio preesistente ed aveva una proprietà in più: in modo correlato alla dose, garantiva un profondo senso di appagamento e di soddisfazione ma non alterava alcuna capacità della persona che lo assumeva. Essendo un modulatore e non uno stimolatore o un inibitore, inoltre, oltre una certa dose, non provocava alcun effetto aggiuntivo e non era tossico.
Due giovani ricercatori che studiavano il farmaco, come tanti giovani, erano abituali consumatori di sostanze a scopo edonistico. Provarono il Tiller e, straordinariamente, sospesero il consumo di qualsiasi altra droga. – L’effetto del Tiller – , scrissero nei loro appunti, – è tale che l’uso di qualunque droga diventa semplicemente ridicolo – Tiller non la sostituisce ma la rende senza significato. Con Tiller è possibile ottenere dalla propria mente esattamente tutto ciò che si vuole in modo naturale, semplicemente perché lo si vuole. L’aggressività, la rabbia o la paura spariscono, non perché non siano possibili o siano inibite dal farmaco, ma perché perdono qualunque utilità se non in situazioni molto particolari. Ogni momento di piacere è amplificabile: viene percepito con l’ampiezza desiderata, pur non essendo indotto dal farmaco. Qualsiasi sofferenza è modulabile: il dolore è percepito come tale ma le sue conseguenze fisiche e psichiche possono essere delimitate lucidamente. Anche la fatica è avvertita ma, entro certi limiti, il sonno e la veglia sono controllabili. La sessualità è grandiosa da tutti i punti di vista-.
Passarono dieci anni prima che il modo sapesse di Tiller. La casa farmaceutica lo sperimentò ma si rese conto che il prodotto presentava alcuni problemi, almeno dal punto di vista di una casa farmaceutica: non era una cura specifica per alcuna patologia mentale anche se diminuiva la necessità, ovvero il dosaggio, di altri farmaci specifici, e dava dipendenza. Era, tuttavia, una strana dipendenza: nessuna astinenza. Chi provava il Tiller viveva molto meglio, se ne rendeva conto, e decideva di continuare ad assumerlo. Se ne faceva a meno, non accadeva nulla di particolare: tornava nella situazione di sempre. L’azienda accantonò il progetto. La storia sembrava finita lì quando avvenne un fatto, apparentemente marginale, destinato a cambiare la storia del mondo.
Uno dei due ricercatori che aveva sviluppato il farmaco, dopo un diverbio con il Direttore della Ricerca e dopo essersi licenziato, mise a disposizione sulla Rete la formula di Tiller e la descrizione necessaria per la produzione del farmaco. Nonostante una pronta azione legale, formula e modalità di produzione vennero diffuse in tutto il mondo. Ci fu subito chi ne approfittò per produrlo e metterlo in commercio. L’effetto, nel giro di cinque anni, fu sconvolgente. I primi a sperimentare il farmaco furono milioni di persone che, normalmente, assumevano sostanze di ogni genere. Scelsero di consumare solo il Tiller. Gli spacciatori che servivano i drogati da strada, pensando di fare nuovi affari, iniziarono a vendere anche il Tiller ma, a questo punto, i loro clienti, rifiutarono qualunque altra droga. Le coltivazioni di cannabis, coca e papavero da oppio, già in crisi per la concorrenza dei farmaci e delle droghe sintetiche, vennero quasi abbandonate.
Gli Czar antidroga di tutto il mondo si trovarono in una situazione molto complessa: dovevano inserire il Tiller tra le droghe illecite, oppure inquadrarlo come farmaco e, se si, come, visto che non curava alcuna malattia?
Fu l’Alleanza Asiatica che raggruppava le principali potenze mondiali a prendere una decisione storica. Liberalizzò il Tiller e la licenza di produzione, permettendone la distribuzione e la vendita a patto che fosse prodotto dalle Case Farmaceutiche autorizzate.
Il prodotto fu dichiarato di libera vendita in qualunque esercizio commerciale.
Un anno dopo veniva rimborsato dallo Stato alle persone di basso reddito ed ai pensionati. I giornali di lingua inglese titolarono, giocando sul termine “drug” che significa droga e anche medicina, – Oggi il mondo è cambiato. Tiller la droga che non fa male -.
Passarono altri due anni e, sotto la pressione dell’opinione pubblica e per paura che le organizzazioni criminali iniziassero commerci clandestini della molecola, il Tiller fu messo a disposizione di tutti i cittadini del mondo. I due ricercatori che lo avevano scoperto furono insigniti del premio Nobel.
Oggi, a distanza di anni, finalmente, il Tiller viene somministrato ai bambini a partire dai tre anni. Per loro è una sorta di “vaccinazione”. Tutte le ricerche sviluppate nel corso del tempo ci dicono che non smetteranno mai di assumerlo. Vivranno una vita più lunga, soddisfacente e serena.
Solo una piccola percentuale di persone rifiuta la sostanza, ponendosi in una posizione pregiudiziale ed antagonista, francamente inaccettabile perché pone loro, e ciascuno di noi, a rischio per le possibili conseguenze dell’assunzione di droghe che alterano lo stato psicofisico producendo danni individuali e sociali che, ormai, fanno parte di una drammatica storia passata.
Per questo, chi non assume il Tiller, viene riabilitato in apposite comunità e centri territoriali. Non è un lavoro semplice ma si è dimostrato possibile. Nei centri territoriali, ogni giorno, davanti ad un operatore sanitario che ne verifica l’assunzione, viene somministrato il Tiller.
Tiller è un componente fondamentale per la costruzione di un futuro migliore e di un presente sereno, per tutti. Tiller è un sogno che si è avverato.
Una nota finale. Il nome Tiller fu “inventato” dalla figlia (allora bambina) di uno dei ricercatori che avevano scoperto la sostanza. L’industria farmaceutica cercava un prodotto “Killer” in grado di sconvolgere il mercato e la concorrenza, ma la bambina non sapeva dire “Killer”: diceva “Tiller” e non sapeva nemmeno che il “problema droga” non era stato risolto; stava incominciando.
© 2010 Riccardo C. Gatti questo racconto è protetto da Copyright e non è liberamente riproducibile o, comunque, utilizzabile, senza esplicito consenso scritto dell’autore.