Droga: epidemia o endemia o altro? 

E’ vero che osservando alcune mappe relative alla diffusione di droghe nel mondo, si possono cogliere situazioni graficamente simili a quelle generate dalle epidemie. Fenomeni di consumo, che nascono in determinati territori, si accendono come un focolaio e, poi, si espandono. Partono, eventualmente da più punti ma si estendono anche per “contiguità”, forse per ragioni legate a reti di distribuzione e vendita che hanno bisogno di organizzarsi con gradualità in un ambito geografico delimitato, prima di consolidarsi in modo più diffuso. Se, tuttavia, osserviamo la diffusione del consumo di sostanze psicoattive a scopo non terapeutico nel suo complesso, risulta chiaro che, sebbene per anni sia stata letta ed affrontata come una epidemia, ci troviamo di fronte a qualcosa di più simile ad una endemia. E’ stabilmente presente nella popolazione. I concetti propri dell’epidemia e dell’emergenza sono, quindi, fuorvianti. 

L’assetto di guerra, per i virus come per le droghe 

Quale è il problema connesso con l’assimilare la diffusione delle droghe ad una emergenza epidemica?  Semplice: non aiuta a comprendere la situazione reale e porta alla illusione che, trovata la cura o il “vaccino” giusto, il fenomeno possa estinguersi. La risposta che ne deriva è la necessità di un assetto speciale, di tipo militare, per combattere ed estinguere l’emergenza al più presto. Pensiamo alla pandemia Covid, nella sua fase iniziale: viene dichiarato uno stato di emergenza. L’organizzazione di importanti attività vengono affidate a persone con poteri speciali, anche ad un Generale dell’Esercito, nell’intendimento di costruire una azione di contrasto rapida e, possibilmente, risolutiva.

In passato, per quanto riguarda la droga, si adottò uno schema simile. Il Presidente USA, Nixon, dichiarò, negli anni ’70,  guerra alle droghe, “the war on drugs”  con una serie di misure straordinarie, come impegno, anche militare, sul campo. In pratica venne fatto ciò che poteva essere fatto, considerando la droga come “nemico pubblico numero 1”. Il tutto coordinato direttamente dal Presidente attraverso una struttura speciale della Casa Bianca, capitanata da un cosiddetto Czar della droga. Gradualmente gli alleati si sono adeguati a questa visione ed infatti, anche da noi abbiamo, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri un Dipartimento nazionale per le politiche antidroga. Vista la situazione degli Stati Uniti oggi, con più di centomila overdosi mortali all’anno, ed una progressiva propensione alla legalizzazione della cannabis, è difficile pensare che questo intendimento abbia avuto successo. Se di guerra si trattava, infatti, in tempi più recenti gli USA sono stati colpiti da “fuoco amico” e, cioè, dalla prescrizione, probabilmente eccessiva ed inappropriata, di farmaci oppiacei che hanno creato nuovi tossicodipendenti, aggravando una situazione già grave. Ciò che però accomuna tutti gli organismi tuttora esistenti, nati dagli intendimenti di quell’epoca, è la loro focalizzazione istituzionale sulle droghe illecite.  

Il mercato delle illusioni 

Il mercato della droga vende illusioni ma, spesso, chi si propone di contrastarlo o regolarlo, finisce per essere coinvolto in altrettante illusioni. Una di queste è appunto quella di mettere in atto azioni risolutive che dovrebbero eradicare il problema, così come fosse un agente infettivo. Questo, normalmente, necessita di leggi ad hoc. Ma anche dove esiste la pena di morte per chi traffica sostanze illecite, la droghe sono sul mercato, anche se periodicamente i trafficanti vengono giustiziati. Viceversa, se regolamentare la vendita di sostanze risolve alcuni problemi, relativi agli illeciti ed a chi li compie, non ne risolve altri. Alcol e tabacco, da noi, sono sostanze lecite ed è possibile acquistarle e consumarle legalmente. In compenso provocano più problemi (e costi) delle droghe illecite, forse perché sono più diffuse. Dubbi? In Italia ogni giorno, in media, sono 48 le persone che muoiono a causa dell’alcol, oltre 17.000 ogni anno (Fonte Epicentro ISS). Sono, invece, attribuibili al fumo di tabacco oltre 93.000 morti: il 20,6% del tota­le di tutte le morti tra gli uomini e il 7,9% del totale di tutte le morti tra le donne (Fonte Tobacco Atlas sesta edizione). In pratica una strage che non fa notizia.

Che fare? Oggi, la questione droga non è prioritaria, nella testa degli italiani. Fin troppa gente ha problemi ad arrivare a fine mese, in uno scenario che non promette nulla di buono per il futuro e potrebbe anche complicarsi a breve, per tutti: questo preoccupa più di ogni altra cosa. E’ possibile, però, che in una stagione che rischia di durare a lungo, in cui il benessere diminuisce assieme alle prospettive per un futuro migliore, il ricorso a sostanze psicoattive possa aumentare: quelle lecite, naturalmente, ma anche quelle illecite, visto che, il mercato ha senz’altro la possibilità di mettere a disposizione droghe potenti, a minor costo e, comunque, ad alto reddito. E, attenzione, non pensiamo, per la produzione, a Paesi lontani. Ci sono segnali, ad esempio, che l’Europa stia incominciando ad esportare metamfetamine verso il sud America. Sino ad ora era il contrario.

Tutelare la salute 

Essendo medico, questo mi preoccupa particolarmente. Siccome le droghe lecite ed illecite, provocano problemi e costi individuali e sociali consistenti, legati allo stato di salute fisica e psichica che consegue al loro uso, mi viene da pensare che sarebbe sensato occuparsi soprattutto di questo. Ma oggi dal Covid, al vaiolo delle scimmie, alla Poliomielite le emergenze sanitarie, più rappresentate, sono altre e ce ne sono altre, gravi, meno rappresentate semplicemente perché pensiamo che non ci possano riguardare. Da un certo punto di vista per la questione droga, forse, è meglio così. Abbiamo, però un problema. Il nostro modo di pensare ed anche le nostre strutture di intervento sono ancora collegate normativamente ed operativamente a concetti del passato, in una situazione in cui di droghe e dipendenze, o se ne parla come una emergenza o non se ne parla. Ed anche se nessuno crede più ad una emergenza che dura da cinquant’anni, è come se non ci fossimo resi conto che dobbiamo lavorare con una situazione endemica e non con assetti “speciali”, utili per una epidemia o una guerra.  Sarebbe quindi necessario un riassetto più adeguato ai tempi, sia del corpo legislativo che dell’organizzazione degli interventi di prevenzione e cura ma, se le emergenze sono altre, il rischio è che non venga attuato.

Teoricamente i nostri Servizi Dipendenze (SERD) territoriali, dovrebbero già essere in grado di costruire azioni di prevenzione e di aggancio precoce, proprio per evitare che il consumo di sostanze si trasformi in patologia anche cronica. Esiste, poi, un sistema di Comunità terapeutiche di Centri Diurni ecc. che completa l’offerta di percorsi utili alla cura, a seconda dei casi. Il sistema pare efficiente. Il numero delle overdose mortali in Italia, ad esempio, è più contenuto che in altre nazioni e certe situazioni, modello quartieri cittadini, popolati da centinaia  di tossicodipendenti che vagano come zombi e vivono di espedienti, con assistenza scarsa o nulla, qui non esistono o, comunque, sono molto più ridotte che altrove. Ma c’è un problema. Tutto il sistema sanitario e sociosanitario è in difficoltà. Mancano risorse. Non è solo una questione di risorse economiche, che pure non abbondano, ma anche di professionisti che non si trovano. Il settore delle Dipendenze sentirà ancora di più questo problema. Ha presidi pubblici forse pensati, inizialmente, come temporanei e, quindi, lasciati vivere e crescere in un mondo a parte, molto autocentrato. Risolta l’ondata epidemica, sarebbero diventati inutili, come i presidi tubercolari, e, quindi trasformati in qualcosa di diverso. Infatti non sono mai state predisposte, ad esempio, scuole di specialità in medicina delle dipendenze. Se, oggi, un Servizio Dipendenze ha bisogno di medici specialisti con una preparazione adeguata, non è detto, perciò, che li trovi ed un medico, eventualmente nuovo assunto, necessita di tempo, prima di acquisire esperienza. Il tutto all’interno di un avvicendamento generazionale che sta già avvenendo. La cosa, ovviamente, non riguarda solo i medici ma anche gli altri professionisti. Il lavoro in un Servizio dipendenze, tra l’altro, dovrebbe essere di tipo multidisciplinare ma i professionisti , normalmente, oltre ad avere una preparazione di base non specialistica in questo campo, in assenza di scuole di specialità, non sono formati a lavorare in questo modo. In fase istitutiva, tra gli anni ’80 e ’90 si lavorò molto su questi temi, anche dal punto di vista formativo, oggi li si da quasi per scontati, ed è un errore.

La realtà da dentro un Servizio Dipendenze

La realtà vista dal di dentro di un Servizio Dipendenze, pertanto, è che, nella sede in cui sei, con il personale che hai, non solo, teoricamente, dovresti occuparti di prevenzione ed aggancio precoce sul territorio delle persone che usano sostanze o hanno comportamenti additivi, ma pure, come è ovvio, rispondere prontamente ai bisogni di tutti coloro che ti chiedono direttamente un intervento: casi sempre più complessi e gravi. Tuttavia, nasci in base ad una legge, il DPR 309/90, che si intitola “Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”. Quindi, sebbene sai che la maggior parte delle persone hanno problemi con l’uso di sostanze lecite, sei “geneticamente” considerato come parte di un sistema di contrasto all’uso di sostanze illecite. Questo significa rispondere anche ai bisogni di persone che non hanno alcuna voglia o necessità di un percorso di cura, ma devono rivolgersi al SERD per limitare restrizioni alla libertà personale o, comunque, per usufruire di benefici di legge. Così molte delle energie tue e del Servizio a cui appartieni, vengono impegnate per aderire a norme e rispondere ad Istituzioni che, di fatto, ti vedono come parte di una azione di contrasto agli illeciti. Lo consideri “normale”, perché da sempre è così ma, intanto, ti diventa sempre più difficile garantire la dovuta intensità di relazione e cura ad un ampio numero di pazienti cronici che, restando in carico per anni, cercano spesso nel Servizio, il riferimento principale per la loro salute. Nessuno ha voluto considerare concretamente la tossicodipendenza cronica come altre patologie, per cui la persona, ha come riferimento per la cura, nel tempo, oltre che un Centro Specialistico,  il proprio Medico di  Medicina generale. Anzi, se la persona usa sostanze e lo dichiara al suo medico, avrà problemi, per esempio per rinnovare la patente e, quindi, preferisce non dirlo.

E se ragionassimo diversamente, per un cambiamento?

Può essere interessante leggere ciò che scrive il Direttore dell’Osservatorio Europeo EMCDDA nella introduzione alla Relazione europea sulla droga 2022-

– Una conclusione generale che traggo dalla relazione di quest’anno è che la situazione legata alla droga che dobbiamo affrontare è più complessa, caratterizzata da un’elevata disponibilità e  da una maggiore diversità dei modelli di consumo. Dalle relazioni sul fenomeno delle nuove sostanze psicoattive si evince che quasi tutto ciò che presenta un potenziale psicoattivo rischia ora di apparire sul mercato, spesso erroneamente etichettato, il che significa che chi consuma queste sostanze potrebbe non essere a conoscenza della natura di ciò che sta effettivamente assumendo. In questo contesto, sono particolarmente preoccupato a causa delle segnalazioni che pervengono in merito all’adulterazione dei prodotti a base di cannabis con cannabinoidi sintetici, tanto per citare un esempio delle nuove minacce connesse alla droga a cui assisto. Un’altra è l’incremento della produzione di droghe sintetiche in Europa, con particolare preoccupazione per l’intensificazione della produzione di metamfetamina.
Un importante sviluppo nella relazione di quest’anno è il continuo impatto della pandemia di COVID-19 sia sui servizi della droga sia sul modo in cui le persone acquisiscono sostanze controllate. Si noti anche la costante necessità in molti paesi di potenziare i servizi di trattamento e riduzione dei danni per coloro che soffrono di problemi di droga -.

Da questa relazione è utile cogliere alcuni dati.

– Si stima che nell’Unione europea circa 83,4 milioni di adulti (di età compresa tra 15 e 64 anni), pari al 29 %, abbiano fatto uso di sostanze illecite, con un numero di
maschi maggiore (50,5 milioni) rispetto alle femmine (33 milioni) ad averne segnalato il consumo. La cannabis resta la sostanza maggiormente consumata, con oltre
22 milioni di europei adulti che ne hanno segnalato il consumo nell’ultimo anno. Gli stimolanti sono la seconda categoria più comunemente segnalata. Si stima che
nell’ultimo anno 3,5 milioni di adulti abbiano consumato cocaina, 2,6 milioni MDMA e 2 milioni amfetamine-.

A fronte di tutto ciò, ricordando che l’uso di sostanze lecite è ancora più diffuso di quelle illecite,  credo che la nostra legislazione ed il nostro intervento vadano rivisti e debbano orientarsi diversamente, affrontando una situazione endemica che esiste, è consistente e non è temporanea. non una situazione epidemica che non ci dovrebbe essere e che si spegnerà a breve. La complessità del lavoro da fare è, a mio parere, dovuta, non tanto al fatto che il tema droga appare divisivo a livello politico (e non solo), quanto alla necessità, per affrontarlo, di accettare paradigmi di analisi e ragionamento differenti da quelli usati sino ad oggi. Ciò anche rendendosi conto che come per altri settori commerciali, anche la questione droga, considerata nel suo insieme (legale ed illegale), è più in mano ai  mercati, che ai governi che, al massimo, riescono a determinare parzialmente in quale mercato, lecito o illecito, debba essere commercializzata la singola sostanza e dove. Se partiamo da questo ragionamento non abbiamo più bisogno di affermazioni iperboliche o di proclami di bandiera, dobbiamo solo valutare attentamente quale sia il compromesso che meglio tutela la sicurezza, la salute e l’interesse dei cittadini, e agire di conseguenza, possibilmente basandosi su calcoli fatti su dati attendibili e considerazioni basate su elementi tecnici, non su emozioni ed opinioni.

Una complicazione

Quando dico che la questione droga, considerata nel suo insieme (legale ed illegale), è più in mano ai  mercati, che ai governi, non parlo di qualcosa di astratto. Se, normalmente, siamo portati a pensare ad uno Stato “etico” che se limita la nostra libertà, lo fa “per il nostro bene”, non va dimenticato, che anche i mercati leciti e gli Stati, sono alimentati da una buona dose di cinismo, forse di perversione. Le scelte che vengono fatte, di conseguenza, possono dare adito a molti dubbi. Basta leggere questa notizia di Adnkronos del 18 agosto 2022: “Tra le conseguenze del Covid-19 che il governo giapponese vuole contrastare, figura anche il crollo delle vendite di alcolici e delle entrate fiscali che ne derivano. Per risolverlo, ha optato per un concorso i cui partecipanti vengono invitati a proporre nuove formule per incoraggiare il consumo di alcolici da parte dei giovani”. Detto così, c’è da rimanere senza parole ma, sebbene con uno stile più “europeo”, anche da noi, allo scorso Vinitaly, i sottosegretari alle Politiche Agricole ed alla Istruzione hanno firmato un protocollo con AIS, associazione nazionale sommelier per far si che che da settembre vino e olio diventino materia di studio per centinaia di scuole, dalle elementari alle superiori. E’ stato dichiarato che l’iniziativa “Serve per trasmettere ai nostri ragazzi la cultura del buon bere sin dalla giovane età”. Il problema è che l’educazione ad una “cultura del buon bere” difficilmente si traduce in una “cultura del non bere”, anche per chi, in origine non sarebbe interessato agli alcolici. Dobbiamo quindi sapere che ci muoviamo in un mondo dove il consumo di sostanze psicoattive, legali o illegali, è ampiamente promosso e che se una parte della promozione è evidente, un’altra parte si muove in modo meno esplicito, ma forse più efficace, per costruire opinioni e consensi ai consumi. utilizzando i nuovi media ed i social. Questo ha spostato nella mente delle persone i confini tra ciò che è positivo per loro e ciò che non lo è. Indipendentemente dal fatto che si stia parlando di consumi leciti o illeciti. Qui il discorso potrebbe farsi complesso ma, semplificando al massimo, compiere azioni di prevenzione efficace e di intervento precoce, che hanno come esito una riduzione dei consumi, potrebbe, non essere tollerato o, comunque, finanziato. Il punto di incontro, tra le due posizioni potrebbe essere educare le persone ad un uso corretto delle sostanze. La complicazione potrebbe essere che, dal punto di vista della salute, l’uso corretto delle sostanze psicoattive, a scopo ricreativo, non esiste. Può esistere un uso che, eventualmente, sottopone a danni minori, ma, il rischio di danni peggiori esiste sempre.

Concludendo

Oggi, per quanto riguarda le droghe, più che di fronte ad epidemie siamo di fronte ad azioni di mercati che fanno il loro lavoro: cercano clienti e profitti ed, evidentemente, rispondono alla domanda con prodotti che hanno qualcosa in comune: la capacità di produrre, sebbene in modo differente, alterazione e piacere.  I cittadini, cercano l’effetto del prodotto, non l’illegalità. I legislatori cercano di rendere illegale ciò che pensano dannoso, ma sono loro stessi a contraddirsi sostenendo le vendite di ciò che mantengono legale anche se dannoso. In questo senso seguono principi economici più che etici e, questo, potrebbe allargare l’interesse di diverse nazioni a spostare parte del prodotto del mercato illecito, verso il mercato lecito, come sta avvenendo in Nord America. Questo anche perché i cittadini sempre meno individuano nelle droghe un male assoluto, o un pericolo pubblico, mentre una sottile azione a livello di opinione, li porta a metabolizzare che un uso e consapevole, responsabile ed informato di un “buon prodotto”, non possa provocare danni. D’altra parte pensare alla droga come “quella di una volta”, in un mondo dove la costruzione di informazioni, certezze, opinioni, ed anche di bisogni, ha fatto un salto di livello, attraverso Internet, nuovi media, i motori di ricerca, i loro algoritmi ed i social, non  è più realistico.

Nel frattempo il sistema di prevenzione e cura rischia di collassare e di essere meno efficiente perché vincolato a funzioni e mandati che sarebbe sensato rivedere. E’ quindi, opportuno darsi il coraggio di ristudiare complessivamente la situazione e riformularla nei diversi ambiti (strategia generale, comunicazione, educazione, regole, repressione, cura, riabilitazione) nell’interesse di tutti, senza rifuggire dal comparare i costi di diversi scenari possibili. Va cercato, cioè, il miglior compromesso, tra ciò che ci conviene e ciò che meglio ci tutela dal punto di vista della salute e della sicurezza. Siamo arrivati ad un punto di svolta in cui, tergiversare su questi temi, potrebbe creare più danni (gravi) che benefici e, quindi, sarebbe meglio mettersi al lavoro, prima di essere giustificati a farlo da una nuova emergenza (ancora!) che sarebbe collegabile solo alla nostra inerzia e dal continuare ad agire con i paradigmi di una dimensione culturale, sociale e commerciale che non è più la nostra.

Chiudo con 5 citazioni.

  1. Il marketing migliore è quello che non sembra marketing.
    Tom Fishburne
  2. Il marketing non è più una questione di cosa sai produrre, ma di che storie sai raccontare.
    Seth Godin
  3. Non continuare a fare quello che hai sempre fatto solo perché è la cosa più semplice!
    Ian Minnis
  4. L’innovazione deve essere parte della nostra cultura. I consumatori si stanno trasformando più velocemente di noi, e se non teniamo il passo siamo nei guai.
    Ian Schafer
  5. La droga non è più quella di una volta: siamo noi ad essere cambiati.
    Riccardo C. Gatti

Riccardo C. Gatti

P.S. Per gli amanti del genere, l’immagine di Matrix, messa in apertura, non è completamente casuale.

altri spunti attinenti

Un sistema diffuso per curare le dipendenze 

Droghe e controcultura