Uno studio della Michigan State University ha scoperto che i placebo non ingannevoli, cioè placebo somministrati con persone che sanno pienamente che sono placebo, gestiscono efficacemente lo stress, ansietà e depressione, anche quando i placebo vengono somministrati a distanza.
Forse un giorno scopriremo anche che, molti effetti delle droghe, sono legati, prima di tutto, alle aspettative di chi le consuma e, solo in seconda istanza, alla loro specifica modulazione del funzionamento cerebrale o, più in generale, del nostro organismo.
Ovviamente, sostanze diverse hanno propri effetti differenti, un sedativo è un sedativo, uno stimolante stimola ed un allucinogeno produce allucinazioni, ma se un placebo gestisce efficacemente stress, ansia e depressione, anche in chi è informato che è un placebo, quanto di ciò che ci aspettiamo e ci viene comunicato su una sostanza, finisce per modularne l’effetto, indipendentemente dall’azione della sostanza stessa?
La grande illusione degli attuali mercati della additività (parlo dei mass market di consumo, non delle scelte di un ridotto numero di singoli consumatori, molto consapevoli ed informati) è proprio questa: costruire significati che, di fatto, modulano anche gli effetti delle sostanze che sono legati alle aspettative di chi le acquista. Ma, come in tutti i mass market, le aspettative dei consumatori sono insaziabili.
Molti clienti hanno bisogno di prodotti sempre nuovi che, come in altri campi, dagli smartphone, alle automobili ai dentifrici, devono essere sempre più performanti e, possibilmente, economicamente accessibili. Il prodotto che sostituisce il precedente deve essere o deve apparire come il migliore di sempre, altrimenti non vende. In questo senso il futuro è già cominciato con la più recente tendenza che porta all’immissione sul mercato di mix di sostanze psicoattive di cui nemmeno il venditore al dettaglio conosce esattamente la composizione. Non si tratta più di mescolare una droga e sostanze inerti che ne aumentano il volume e nemmeno di unirla a sostanze con qualche effetto simile, per mascherarne la scarsità di principio attivo. Si tratta, invece, di creare nuovi prodotti, preparati con più sostanze attive diverse, che, di fatto, diventano, a tutti gli effetti, nuove droghe.
Qualcosa di molto più sofisticato di quanto il singolo consumatore possa fare, ad esempio, unendo cocaina ed eroina in una speedball o bevendo alcolici dopo aver assunto un’altra droga. Lo spostamento progressivo verso sostanze sintetizzate in laboratorio diventa così essenziale ed è anche più semplice, con l’uso di precursori comunemente utilizzati nella chimica-farmaceutica e meno vincolato, rispetto alla produzione di droghe che partono da una coltivazione agricola. Cambia, però, il modello di business con nuovi equilibri per la produzione e la distribuzione, in parte ancora da costruire.
Proseguendo di questo passo, è ipotizzabile che sempre meno si venda la singola droga. Piuttosto, verrà commercializzato l’effetto complessivo di prodotti composti da più sostanze, un po’ come oggi avviene nel mercato degli integratori dove, non di rado, vengono anche sottintesi effetti che non hanno.
Nuove versioni sostituiranno periodicamente le precedenti e la concorrenza si baserà sulla performance reale o presunta delle differenti preparazioni.
Se questo avverrà, e siamo già sulla buona strada perché avvenga, sarà una vera e propria rivoluzione, anche perché comprare un effetto, più che una sostanza, lascia ancor più spazio alle aspettative e, ovviamente, alla capacità di condizionarle a fini commerciali, aumentando il valore e la domanda dei prodotti .
Lascio al lettore immaginare, rispetto a questa possibile evoluzione, quanto velocemente possano diventare obsoleti molti concetti oggi normalmente collegati ai dibattiti in tema di droga ed agli interventi legati al consumo, sia dal punto di vista legislativo che della tutela della salute.
Riccardo C. Gatti