“Drogato. Fatto. Ecco dove mi stavo dirigendo: il ruolo finale, fatale di un giovane futuro uomo nero, mi drogavo per cacciare dalla mia mente le domande riguardo alla mia identità” Sono parole del Presidente Obama in un suo libro autobiografico, “Dreams from my father: a story of race and inheritance” scritto nel 1996 quando, ancora, non si occupava di politica. Una esperienza che, probabilmente, avrà influenza nel modo di vedere le cose e nelle scelte politiche e di azione conseguenti. Il nuovo Czar della lotta alla droga USA, Gil Kerlikowske, infatti, ha affermato “Indipendentemente da come cerchi di spiegare alla gente che é una ‘guerra alla droga’ o una ‘guerra ad una sostanza’, viene percepita come una guerra contro la gente. Non dobbiamo essere in guerra con il popolo di questo Paese”. Potrebbe trattarsi di pura retorica indirizzata alla popolazione di colore che, negli USA, paga le conseguenze repressive delle leggi antidroga più di quella bianca, ma … potrebbe anche essere un segnale che l’atteggiamento politico della più grossa potenza mondiale sta cambiando nonostante, per ora, gli Stati Uniti siano coinvolti in azioni militari che, direttamente o indirettamente, con la “guerra alla droga” hanno ancora a che fare.
L’amministrazione USA sembra aver colto qualcosa che, sino ad oggi, da noi è percepito solo in parte e che, in tempi in cui il consumo di droghe è ormai molto diffuso, sta proprio nel discrimine tra le necessità di una guerra e i bisogni della gente. Se così fosse, nel giro di qualche anno, anche i Paesi della sfera occidentale ne sarebbero influenzati e potrebbero atteggiarsi diversamente.
Nel nostro Paese l’idea della “guerra alla droga” si è stemperata nel tempo ma, sebbene molte cose siano cambiate, le guerre producono molta retorica di schieramento che rimane nella memoria. Poco per volta, infatti, chi è estraneo all’uso di sostanze, si è fatto una idea molto particolare, in senso negativo, di chi ha questo problema e, addirittura, di chi lo cura. Così, senza una ragione logica apparente, ci sono persone che collocano automaticamente il “drogato” ed i Servizi Tossicodipendenze più nel campo dei nemici che in quello degli alleati.
D’altra parte anche in Italia c’è una questione, relativa alla diffusione di droghe, di cui non si parla ma che prima o poi affiorerà con prepotenza. Con il passare del tempo e nonostante la “guerra alla droga” le droghe in commercio sono diventate tante ed alla portata di tutti. Le usano anche persone che, per il resto, conducono una vita assolutamente integrata: non più devianza ma una sorta di doping della vita quotidiana. Già a 24 anni a Milano, ad esempio, sono più i soggetti che almeno una volta in vita hanno provato una sostanza illecita di quelle che non l’hanno mai fatto. Più in generale, tra gli italiani che frequentano Internet, l’utilizzo di cannabis sembra addirittura più “sdoganato” di quello dell’alcol. Anche in termini elettorali, quindi, sta cambiando il rapporto tra le persone che non disdegnano l’uso di qualche droga e quelle che, invece, ritengono le droghe stesse un “male assoluto”. A breve non sarà più possibile non tenerne conto.
Il rischio, per il nostro Paese, è quello di “seppellire”, di conseguenza, la questione droga, operando una sorta di “riduzione del danno politico” all’interno di coalizioni dove le opinioni contrapposte sono ormai trasversali. Ci sono già molti segnali in questo senso. Se così fosse, ancora una volta, i bisogni reali della gente rischierebbero di non trovare risposta. Anche ieri due genitori piangevano, davanti a me, perché la figlia si droga. Non sono persone che non avendo capito l’evoluzione del mondo non sono tolleranti ma, piuttosto, persone che amano la figlia e non riescono ad accettare le trasformazioni negative che osservano in lei. La droga è entrata nella loro vita e ne ha interrotto il percorso e lo sviluppo, come fa una malattia grave.
Se un accorto marketing della droga è stato in grado di rendere culturalmente accettabile e più socialmente compatibile l’uso di droghe e le ha diffuse, abbassandone il prezzo, ad un numero sempre più ampio di persone, non è riuscito, ovviamente, a diminuirne gli effetti negativi intrinseci. Oggi, purtroppo e di conseguenza, ci sono più persone che stanno male e famiglie che soffrono che ai tempi della “guerra alla droga” anche se una maggior integrazione sociale li sta rendendo paradossalmente invisibili nella loro sofferenza. Anche i costi sociali sono diversamente distribuiti: non più solo legati alla devianza ed alla marginalità riguardano anche soggetti che, in stato di parziale alterazione, attendono alle usuali attività, producendo danni. Si vedono di meno e, in molti casi, si preferisce tenerli nascosti per evitare danni di immagine. Il potere di corruzione e di infiltrazione delle organizzazioni criminali si è, così, fatto più forte avendo in mano, di fatto, attraverso la droga, persone che occupano posti chiave nella società civile.
Bisognerebbe, quindi, lavorare, molto di più di un tempo e con maggiore forza, in prevenzione e processi educativi efficaci, mettere le persone in grado di resistere alla pressione del marketing della droga e costruire servizi di cura più moderni, accessibili ed adeguati alla situazione perché in grado di intervenire precocemente anche su persone socialmente inserite. La maggior tolleranza culturale nei confronti dell’uso di droghe necessita di una serie azioni innovative e di investimenti che, se non verranno attuati, comporteranno costi sociali ed individuali molto più alti di quelli a cui siamo abituati. Purtroppo, però, finiti, i tempi della “guerra alla droga”, considerando sia l’attento, dinamico e attivo lavoro di penetrazione e di potere di chi vuole mantenere il mercato delle sostanze in crescita che la volontà di “riduzione del danno politico” di chi non vuole svegliare contrapposizioni, potrebbero arrivare i tempi della “smobilitazione”. Quasi come se la questione droga fosse prioritaria in “tempi di guerra” e secondaria in “tempi di pace”. Quasi non si potesse prevedere una azione antidroga (e un investimento coerente) al di fuori della retorica di guerra.
Eppure oggi ci sono tanti genitori che piangono esattamente come trent’anni fa e, forse, più di allora: sono pianti di rabbia, di disperazione, di impotenza e di dolore. Non sono da sottovalutare. Il modo cambia di continuo nei confronti dell’uso di droghe, ma anche le lacrime sono un segno dei tempi.
Riccardo C. Gatti 30.8.09