Un racconto di Riccardo C. Gatti ©

Questo racconto non ha un senso compiuto (forse), come la maggior parte delle cose della vita. Vuol essere solo un modo di riflettere su alcuni argomenti. Il protagonista si può immaginare chi sia: potrebbe essere anche ciascuno di noi. Un gioco: provate a leggerlo con gli amici, con i colleghi o in casa con i figli e, assieme, ad interpretarlo nel suo significato.

alba

Sono stanco, diceva spesso ai suoi, non puoi avere una pistola nella fondina e un caricatore in tasca e non usarli mai se non di fronte alle sagome del poligono. Quando parlava così, gli occhi si facevano più attenti, più vivi, quasi vedesse una scena davanti a sé ma non volesse raccontarla. Sembrava presente e assorto nei suoi pensieri, contemporaneamente. Una cosa complicata per chiunque ma non per lui. A quarant’anni con questo lavoro sei già vecchio, bofonchiava, ma lui stesso sapeva di non credere a quello che diceva.

Soldi, qui con la droga ci fanno tutti soldi. La gente pensa che sia droga, invece sono solo soldi. Era il suo ritornello quando guidava e pensava. Pensava ad Emma, bellissima, stava per compiere diciotto anni ed era innamorata. Arrivati i diciotto anni si lasciò andare. Era una ragazza per bene e stava alle regole. Gli spacciatori le dicevano di girare alla larga, incredibile ma la mandavano via. Entrò nel giro, non fu difficile, ma non condivise un gran che.

Ora, quando Emma incontrava le sue ex amiche quasi non le salutava, come non le riconoscesse, erano passati cinque anni ma era lei irriconoscibile. Quasi come se fosse invecchiata, avesse cinquant’anni. E’ strano: per chi si droga il tempo è come se si fermasse. Passano gli anni ma tutto si ferma. Invece è come se l’orologio si portasse avanti da solo, velocemente.

Ne aveva conosciuta di gente invecchiata. Alla radio una volta avevano parlato di canne. In redazione avevano litigato. “Dici che sono leggere ma poi alla mattina, se non fumi, non riesci a fare nulla”. Un carburante leggero, preso alla leggera da persone che diventavano sempre più pesanti, noiose. Anche loro più vecchie. Vecchi consumatori consapevoli a trent’anni. E tutti che facevano finta di divertirsi, di stare bene, di essere in forma, come i pensionati quando si incontrano per strada. “Come stai?” “Benissimo e tu?” e intanto pensano alla prostata, all’anca, all’aritmia, alla vedovanza, alla solitudine, ai nipoti che sono giovani e danno speranza: quella che ormai trovi solo negli altri, quando va bene.

Toccò la pistola come porta fortuna e accelerò. La polvere si sollevava attorno alla strada. La gente pensa che sia droga e invece sono solo soldi. “E’ incredibile quanto siamo disposti a spendere per rafforzare le nostre fragilità!” Chi lo diceva? Uno di quelli che vendono o di quelli che comprano? Annuì tra sé e sé, perché si era ricordato chi lo diceva. La macchina continuava a sobbalzare perché il fondo della strada faceva schifo, a sobbalzare ma anche a sollevare polvere.

Prova a pensarci: la droga è come l’ultimo dell’anno tutti si aspettano che verrà qualcosa di meglio e se lo augurano, lo augurano agli amici, poi passa un anno e sono da capo. Al massimo ti dà quello che ti aspetti, normalmente nemmeno quello.

Pensava: se nasco di nuovo faccio veramente il venditore di sogni, quelli veri, quelli che non si chiamano “startup”, quelli che non sanno fare i politici, quelli che credi di avere solo quando li compri. Il venditore migliore è quello che ti vende un sogno che solo con lui scopri di avere sempre avuto, senza saperlo. La gente pagherebbe qualunque cosa per un sogno, specie se la realtà le fa schifo. Il problema è quando il sogno fa più schifo della realtà.

Si fermò al distributore, la strada era ancora molto lunga ed era quasi notte. La luce del sole colorava tutto di un caldo giallo-rosso. “Sembriamo la stampa di una vecchia foto a colori”, disse al benzinaio che non capì la battuta ma era abituato alla gente strana che passava su quella strada. “Può spostare la macchina avanti, le lavo il vetro, così ci vede più chiaro”. “Magari fosse così” bofonchiò, “lasci stare”.

La colpa non è dei politici e nemmeno dei criminali è che siamo tutti degli imbecilli e degli illusi. Sapeva di prendere male queste cose ma incazzarsi fa parte della vita: meglio incazzati che depressi. Immaginava cosa sarebbe successo. La droga che non fa male. Presto tutti l’avrebbero voluta, venduta, comprata. Avrebbero detto che non solo non fa male ma anche che fa bene, come le medicine. Ma che senso ha prendere medicine quando stai bene? Perché qualcuno si pone delle domande? Su queste cose siamo le slot machine di noi stessi. Più spendiamo e più si accendono lucine, si fa rumore, siamo felici come i bambini, fino a quando non facciamo i conti e ci accorgiamo di essere idioti. Bambini invecchiati.

In fondo alla stazione di servizio un ragazzo fumava qualcosa, forse aveva anche bevuto e teneva gli occhi bassi. Gli si fermò di fianco e lo guardò col vetro abbassato. “Dove sono i tuoi amici?” “Che vuoi, vattene!”, rispose quello, “non ho amici”. “Ma che fumi? ” – “Oh, lasciami in pace … mi diverto così! Vattene”.

Toc toc, era il benzinaio che bussava a un finestrino. “Vuole un caffè? La strada è lunga. Si fermi un poco”. “Lui è mio nipote, non capisce un cazzo, solo il fumo. Ho sentito cosa dice. Non ha amici. Dopo un po’ non hai più amici”.

Rispose: “Chissà, forse un giorno almeno i giovani si ribelleranno a tutto questo. Il Paese è dei vecchi, ci guadagnano, si fanno le ville, ci vanno a puttane, e quegli altri ci mettono la gioventù e invecchiano pure loro. Quando ne muoiono troppi si fa un po’ di can can, si vendono altre illusioni, ci si mobilita, si sfila e poi tutto rimane come prima”.

“La vedo con poche speranze” disse il benzinaio.

“No, non ci faccia caso io sono ottimista e se non ci credessi, non andrei avanti”.

“Ma che lavoro fa, è notte, la strada è lunga, gira armato?”

Non rispose e ripartì.

Il motore dell’auto faceva un rumore regolare: un ron ron rassicurante e sonnacchioso.

Ora è veramente buio, pensò. I fari facevano fatica a illuminare la strada. Attorno, era talmente scuro che sembravano ancora più deboli. E’ vero, c’è ancora tanta strada da fare. Ma non bisogna fermarsi.

I più giovani si ribelleranno. Io cambierò mestiere.

Il suo volto si distese in un sorriso. In fondo, ancora lontano, già si vedevano le prime luci di un nuovo giorno o, almeno, così sembrava.