Non credo che un giorno gli storici ricorderanno i nostri tempi come “il periodo della droga”. Alberoni, invece, lo pensa e vede il diffondersi delle droghe come “l’espressione di una trasformazione dovuta alla vertiginosa innovazione tecnologica e alla mondializzazione in cui si rovesciano gli equilibri di potere mondiale, con la finanza sfrenata, gli smisurati indebitamenti degli Stati” con “una crisi dei valori tradizionali, l’individualismo sfrenato, il tentativo di superare se stessi, certa musica rock e, quindi, anche la morte di Amy Winehouse e di altri come lei” (Corriere 1.8.11). La chiave di lettura è suggestiva anche se Alberoni, nella sua analisi, tende a considerare, quello della droga, come un fenomeno unitario, univoco ed attribuibile ad una epoca determinata: cosa che, a mio avviso, non è. Infatti l’articolo sin dall’inizio trova spunto dalla morte di una persona famosa, indubbiamente parte di un mondo a sé che ben poco ha a che fare con i mondi frequentati da altri tipi di consumatori di droghe. Vero è che anche molti “tossici della porta accanto” fanno parte di un mondo a sé. Ma si tratta di un mondo, molto lontano da quello della maggior parte dei personaggi noti che sono morti per droga. Per intendersi, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, in passato, ed altri come loro, a seguire e sino ad arrivare ai giorni nostri, hanno ben poco a che fare con le migliaia di persone che, ogni anno, muoiono a causa di droghe illegali (in parte) e legali (soprattutto).
Eroinomani, cocainomani, alcolisti ecc. non hanno mai fatto parte veramente di un universo univoco, né hanno mai segnato il percorso dei tempi. Di loro, a parte i morti, c’è ben poco da ricordare. Ognuno si è sedato, dopato, eccitato, stravolto per i fatti suoi, o nel suo ambiente ristretto tanto che, attorno alle droghe, non esiste nemmeno un gergo comune: basta cambiare luogo per sentire chiamare le sostanze in modo diverso. Bene di consumo per alcuni, doping della vita quotidiana per altri, strumento di stacco momentaneo o farmaco di autoterapia usato a sproposito, per altri ancora, le droghe hanno velocemente, nel corso degli anni, cambiato significato. E ciò che accadeva soltanto ieri non ha nulla di comparabile, in velocità, con le infinite e rapidamente mutabili proposte di sostanze (e di significati) più disparati che provengono, attraverso la Rete, da una miriade di produttori, distributori e teorici del consumo di prodotti psicoattivi.
Le droghe, nella mente dei figli, nativi digitali, non sono la stessa cosa delle droghe dei padri e di quelle dei nonni che ormai vivono in mondi diversi pur essendo, apparentemente, dei contemporanei. Significati diversi che difficilmente possono essere interpretati come segni di un tempo univoco ed in grado di definire un periodo storico. Se la droga è diffusa, infatti, è difficile dire da quale “mondo” e da quale “tempo” questa diffusione tragga, oggi, riferimento. “Finanza sfrenata” e “crisi dei valori tradizionali” sono i mondi dei nonni o dei genitori. I figli vedono precariato e futuro incerto: di freni, da questo punto di vista, ne hanno fin troppi.
Si potrà un giorno definire il nostro tempo come “il periodo della droga” se e quando …da quel periodo si sarà usciti e le differenze di oggi saranno tutte rese omogenee nella sintesi di una memoria remota e passata. Alberoni lascia , forse, intuire (e sperare?) che questo potrebbe avvenire in presenza di modelli “finanziari” e “valoriali” differenti. In un certo senso, ha ragione ma forse non considera quanto le droghe siano diventate “plastiche” nella loro valenza, così da poter diventare compagne degli scambi economico – finanziari dei popoli attraverso i tempi. Utili, se illecite, come investimento, come moneta alternativa, come mezzo di corruzione, come pretesto per il controllo militare di un territorio, come agente di destabilizzazione, come oggetto di consenso politico; ancora utili, se lecite (tabacco, alcol e alcuni farmaci), per realizzare guadagni colossali, tassati dagli Stati, penetrando silenziosamente la nostra realtà.
Forse “il periodo della droga” finirà quando accetteremo di considerare che “le droghe” non sono solo quelle sostanze che la legge dichiara illecite, definendole come tali, ma quei modelli sociali, organizzativi, politici, commerciali, industriali e finanziari, comunemente accettati, che ne sottendono l’uso diretto ma anche e soprattutto l’uso strumentale.
Le nostre guerre dichiarate solo ad alcune droghe (illecite) ed i nostri distinguo, assieme alle nostre mitizzazioni generaliste di Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison, e tanti altri sino ad Amy Winehouse ed a chi verrà dopo di lei, i nostri atteggiamenti di pietas verso chi riteniamo “diverso” perché usa droghe, sono solo un modo come un altro per non porsi domande e, soprattutto, per non darsi risposte.
Così non ne usciremo allontanando la possibilità che in futuro, i giorni nostri (e solo quelli), possano essere considerati “il periodo della droga”.
Riccardo C. Gatti 3.8.2011