MondoUna serie di notizie, pur non essendo legate da un filo comune molto stretto, può talvolta  indicare in anticipo una linea di “tendenza” che andrà a caratterizzare un determinato settore di attività. Le strategie di intervento sulle dipendenze di diversi Paesi, ad esempio, diventano parte di una sorta di “esperienza mondiale” che si accumula e si modifica nel tempo, costituendo un patrimonio comune per la costruzione di nuove politiche di intervento che, a loro volta, sono in continua modificazione. Le esperienze ma anche le opinioni che si generano sulle esperienze stesse sono modulatori importanti dell’evoluzione di un determinato settore perché incidono sugli investimenti necessari per attuarla.

Vediamo alcune notizie recenti che ci sono arrivate nel corso del 2012 e che avranno, probabilmente, una incidenza nel 2013.

I “painkillers” da prescrizione provocano più overdose e morti di eroina e cocaina messe insieme. Non è una notizia italiana: riguarda altri Paesi oltreoceano. Rivela, tuttavia, un problema serio. I “painkillers” sono farmaci oppiacei usati per la terapia del dolore. Gli oppiacei non sono utilizzati solo dai tossicodipendenti o per i malati terminali di cancro. Possono essere ottimi farmaci per curare il dolore di vario genere. Richiedono una serie di precauzioni per essere usati ma permettono di ottenere buoni risultati. Da noi sono poco prescritti, rispetto al bisogno, con il risultato che ci sono persone che soffrono inutilmente. Dall’altra parte dell’oceano, invece, sono stati prescritti con troppa facilità diventando la base di un’epidemia di tossicodipendenza tanto diffusa quanto, probabilmente, imprevista nella sua dimensione e nelle sue conseguenze.  I Centri per il trattamento dei tossicomani di USA e Canada … e non solo … vedono, così cambiare la tipologia della loro utenza. Molti soggetti che abusano di painkillers non hanno nulla a che fare con i classici tossicomani da strada e nemmeno con chi, come il cocainomane, ha associato il suo stile di vita alla sostanza che utilizza. Non sono “devianti” ed è difficile stigmatizzare i loro stili di vita perché sono identici a quelli della popolazione generale. Rischiano, però, di diventare preda di chi spaccia eroina nel momento in cui gli Stati tentano di arginare le prescrizioni improprie, ponendo limiti e controlli.

Il metadone è coinvolto in molte overdose mortali. Questa notizia, entro certi limiti, legata a quella precedente, sottolinea come gli oppiacei, usati non correttamente, siano farmaci (molto) pericolosi. L’informazione, tuttavia, non arriva solo dagli USA ma anche dall’Europa e, più precisamente, dalla Scozia. Il metadone è, storicamente, il farmaco “principe” per il trattamento della tossicodipendenza da oppiacei. Alcune sue caratteristiche lo rendono, diverso dall’eroina, che, pure, è un oppiaceo. Il metadone permette di “stabilizzare” la situazione psicofisica di chi lo assume. Questa stabilizzazione può fare la differenza tra la vita e la morte per il tossicodipendente da eroina inserito in un trattamento. Al metadone dobbiamo, infatti, un numero minore di overdose tra gli eroinomani, una minore diffusione di HIV ed una minore criminalità. Molti tossicodipendenti da eroina, inoltre, assumendo il metadone, possono avere stili di vita “regolari”: svolgere un’attività lavorativa, occuparsi della famiglia. Tutto funziona, tuttavia, se il farmaco è utilizzato correttamente da chi ne ha bisogno. Se lo si assume con alcol ed altre droghe, o se lo si cede ad altri che lo usano impropriamente come fosse una droga da strada la situazione cambia radicalmente: il rischio di morte incidentale aumenta. Un notevole aumento delle overdose in cui è coinvolto (anche) il metadone oppure la constatazione di un aumento delle persone che diventano tossicodipendenti attraverso questo farmaco potrebbe metterne in discussione il rapporto costo/beneficio nei trattamenti “a bassa soglia” compresi in strategie di “riduzione del danno”. Purtroppo i nostri sistemi di monitoraggio non permettono di conoscere, a questo proposito, la reale situazione in Italia o, se lo permettono, ciò che ne risulta non è divulgato.

La casa produttrice del Subuxone, negli USA, vuole cambiare la formulazione (preparazione e confezionamento) del prodotto: l’attuale sarebbe pericolosa per i bambini. Apparentemente è una notizia molto “particolare”: il Subuxone che si vende negli USA non è molto diverso da quello che si vende in Italia e in altre parti del mondo.  Il farmaco (Buprenorfina + Naloxone) è proposto per usi simili a quelli del metadone ma con una vantata maggior sicurezza rispetto all’uso improprio (difficoltà di utilizzarlo impropriamente con una iniezione endovena e, nel caso, inibizione dell’overdose, intrinseca all’effetto degli elementi della preparazione). La dichiarata non – sicurezza della preparazione da parte di chi la produce ha generato negli USA un interrogativo: la casa farmaceutica ha interesse per i propri clienti oppure cerca di proporre una preparazione coperta da brevetti per spiazzare la concorrenza di farmaci generici? Nessuno ha pensato che ci potrebbe essere una terza ipotesi. Negli USA le overdose da painkillers hanno superato quelle di eroina e cocaina, assieme, il Subuxone potrebbe diventare il farmaco “sostitutivo” di scelta per la terapia non tanto degli eroinomani, quanto dei dipendenti da farmaci oppiacei. Un mercato che potrebbe, in questo momento, essere più vasto, interessante e remunerativo di quello riguardante i tossicomani “classici”. Il paziente tipo potrebbe essere, quindi, una persona socialmente inserita, con famiglia e bambini. Da qui il particolare interesse per una formulazione “sicura” ed attenta ai pericoli che si possono correre in famiglia e prescrivibile in farmacia senza problemi, anche perché “meno pericolosa” dei farmaci che andrebbe a “sostituire”. Se conoscete gli USA, conoscete anche la quasi ossessiva attenzione che viene dedicata alla sicurezza dei bambini. Avvertimenti che a noi potrebbero sembrare esagerati o assurdi si sprecano e, quindi, chi dichiara attenzione alla sicurezza dei bambini è strategicamente vincente.

In Italia i dipendenti patologici da gioco, internet, sesso, shopping, tecnologie, lavoro ecc. sono milioni. Queste notizie le abbiamo lette tutti. Sono molto “generiche” e, non di rado, viste le dimensioni improvvisamente dichiarate dei fenomeni a cui si riferiscono, lasciano il sospetto di allarmi creati ad hoc anche per favorire la sponsorizzazione di nuovi programmi di prevenzione e cura. Se fossero vere le percentuali date per le diverse dipendenze (di solito si aggirano tra il due ed il sei percento della popolazione), infatti, sarebbero pochi i cittadini socialmente attivi non affetti da una dipendenza patologica.
La confusione è molta: per esempio, nel gioco, si tende a confondere la perdita ingente di capitali con l’esistenza di una dipendenza patologica, senza pensare che il collegamento non è diretto. Inoltre si tende a riferire un’epidemia di dipendenza in corso anche ad iniziative di promozione e di pressione al gioco che sono troppo recenti per avere già generato dei pazienti da curare (esiste una latenza tra l’accostamento ad una situazione potenzialmente in grado di dare dipendenza e l’insorgere della dipendenza stessa).
Resta il fatto che, nel nostro Paese, scopriamo solo oggi una realtà apparentemente nuova che, fino a non molti mesi fa, era completamente oscurata dalla rilevanza del concetto di droga come “male assoluto”: le dipendenze patologiche non riguardano solo droghe, alcol e tabacco. Osservando le cose da un nuovo punto di vista scopriamo la punta di un iceberg che, ancora, non sappiamo quanto sia grande e profondo. I Servizi di cura, per troppi anni relegati alla funzione di contenitori e controllori dei tossicomani devianti a vantaggio, soprattutto, della popolazione generale, scoprono che esistono cittadini, non stigmatizzati come drogati, che potrebbero avere bisogno di loro e rispondono con entusiasmo.
L’inserimento delle ludopatie e, potenzialmente, di tutte le dipendenze patologiche nei Livelli Essenziali di Assistenza apre la strada verso la riqualificazione e la riprogettazione di un Sistema di Intervento che da tempo languiva immobile in una sorta di limbo compreso tra cura , assistenza e contenimento sociale.

Il fumo uccide più e prima dell’HIV.  Un ampio studio Danese, della Università di Copenaghen, ha tracciato la storia di  3000 persone positive  all’ HIV trattate in Danimarca, tra il 1995 ed il 2010, con terapia antivirale, scoprendo che il 60 percento dei decessi, in quella popolazione, era associabile al fumo piuttosto che all’HIV. Più che di una notizia si tratta del risultato di una ricerca che dovrebbe far riflettere su cosa si intenda per strategie di riduzione del danno. Fumare sigarette, anche pesantemente, è considerato una sorta di “male minore” per un eroinomane. Il fatto che la persona accetti un trattamento sostitutivo a bassa soglia sembra già un gran risultato. I Servizi per le tossicodipendenze si occupano poco di tabagismo negli stessi pazienti che hanno in cura e, addirittura ci sono Centri di accoglienza che mettono nel loro budget l’acquisto di sigarette per gli ospiti. Quello che, tuttavia, è considerato un “male minore” invalida ed uccide più di quanto venga normalmente considerato. Lo studio danese ci parla solo di pazienti in cura per l’HIV ma anche per chi non è stato infettato da questo virus i danni del fumo sono in agguato. I Servizi per le Tossicodipendenze sono più interessati alle conseguenze della infezione da HIV e, ovviamente, ai rischi connessi dall’assunzione di droghe che ai danni da fumo di sigarette che, tra l’altro, sono connessi ad una grave forma di dipendenza. Eppure, anche in termini di “riduzione del danno”, a che serve salvare una persona dall’overdose di eroina o a curare precocemente una infezione da HIV se, nel frattempo, la stessa persona viene resa invalida o uccisa da un’altra dipendenza (da tabacco) che è stata trascurata? Quanti sono i servizi per la cura delle tossicodipendenze che nei loro programmi tengono in reale considerazione anche il tabagismo dei loro stessi pazienti?

Camere “del buco” in Francia e legalizzazione dalla cannabis in alcuni Stati USA. Molti toni da “guerra alla droga” si stanno facendo più tenui anche nella comprensione, da parte della Amministrazione Obama,  che la guerra alla droga non può diventare guerra alle persone. Senz’altro, i fatti connessi alle azioni dei narcos messicani hanno creato più morti di quanti ne avrebbe creati la droga, senza averne ridotto effettivamente la presenza sul mercato.  Alcuni Stati USA hanno legalizzato l’utilizzo della Cannabis a scopo terapeutico anche se, in questo senso, l’efficacia della sostanza viene dichiarata su così tante patologie da far pensare che venga assunta per i motivi più vari. Alcuni Stati USA, invece, ne hanno legalizzato l’uso a scopo ricreativo. Ci sono problemi con le leggi federali, ancora proibizioniste, ma è evidente una certa tendenza a sperimentare la legalizzazione di questa droga. D’altra parte la dipendenza più pericolosamente diffusa negli USA è da farmaci, non da droghe illecite e, quindi, la Cannabis incomincia ad essere vista da alcuni come “il minore dei mali” e da altri, addirittura, come una “droga di uscita” da dipendenze peggiori. E’ chiaro che se cambiasse l’atteggiamento del Governo USA e non solo di singoli Stati, nei confronti della Cannabis, basandosi sulle “sperimentazioni” in corso, ci troveremmo di fronte ad una svolta contro-proibizionista che avrebbe ripercussioni mondiali. Non dimentichiamo anche alcune importanti Nazioni del sud America che, subendo direttamente gli effetti della guerra alla droga, cercano alleanze verso una mitigazione del proibizionismo e di ciò che ne consegue per loro. Nel frattempo in Francia il Ministro della Sanità ha dichiarato la possibilità di aprire narcosale nel Paese. Non c’è dubbio, quindi, che a livello mondiale l’atteggiamento nei confronti della tossicodipendenza da droghe illecite  sta cambiando. Forse il tutto è collegato anche dall’arrivo al potere di generazioni che, con le droghe, hanno avuto un approccio più pragmatico delle generazioni precedenti. In Italia la questione non si è posta, anche per l’alta età media dei decisori politici, ma la constatazione che ci sono dipendenze non da sostanze che creano danni quanto le dipendenze da droghe, assieme al ricambio generazionale della classe politica, potrebbe, anche da noi creare differenze importanti in scelte e strategie apparentemente, sino ad oggi, immutabili.

Si tenga anche presente che ci sono interessi economici che spingono per far diventare il commercio e la distribuzione della cannabis un business mondiale molto interessante e, come quello del tabacco, dell’alcol e del gioco d’azzardo, tassabile da Stati che, in termini economici, hanno l’acqua alla gola ed incominciano ad accorgersi che il proibizionismo “duro” è anche molto costoso.
Ancora, consideriamo che stanno cadendo alcuni miti tipici della società dei consumi secondo i quali è possibile decidere cosa la gente deve consumare e cosa no.

Secondo Monti la sanità pubblica, in Italia, va “ripensata e rinnovata”. Nel frattempo ci sono stati tagli molto forti alla spesa sanitaria ed altri verranno attuati. In poche parole il Sistema Sanitario Nazionale ha ed avrà sempre meno risorse.
Contemporaneamente, però, il GAP (gioco d’azzardo compulsivo) è stato inserito nei Livelli Essenziali di Assistenza, senza che il Servizio Sanitario abbia visto risorse aggiuntive per i nuovi pazienti. La situazione critica per l’economia non è risolta e le “modifiche strutturali” di cui da tempo si parla anche per i sistemi sanitari e di welfare dovranno, a breve, essere attivate, indipendentemente da chi sarà al Governo del Paese.

Ho presentato alcune notizie che, ovviamente, non sono scelte a caso: delineano una linea di tendenza orientata al cambiamento. Avrei potuto sceglierne e presentarne altre che rappresentavano esattamente l’opposto ed, in questo, sta il limite della mia scelta.
Sono convinto, tuttavia, che il mondo sia in evoluzione e, in periodi di crisi, è spesso necessario fare di necessità virtù, spostandosi da condizioni di staticità che sembravano consolidate e perenni. Oggi il mondo si sta accorgendo che le dipendenze da droghe “illecite” non sono peggio di quelle da farmaci (leciti) e che esistono dipendenze patologiche, non legate a sostanze che possono essere altrettanto dannose e distruttive di quelle legate alle droghe ed ai farmaci. Siamo più cogniti che le guerre alle droghe sono, come tutte le guerre, dense di atrocità e generatrici di vittime ma anche che gli atteggiamenti tolleranti e, addirittura, gli strumenti di “riduzione del danno”, se non ben pensati e calibrati, non è detto che raggiungano il loro scopo. Sebbene sia anche possibile credere che, pur in una situazione di ristrettezza economica, per le “dipendenze” siano fatte eccezioni, tenendo in vita un Sistema di intervento capillarmente diffuso per una utenza che (nell’interesse pubblico) riceve cure completamente gratuite senza limiti di tempo, i segnali che spingono il Sistema ad occuparsi non solo di droga ma anche di altre dipendenze, imporranno necessariamente di ripensare e rinnovare anche quella parte di Servizio Sanitario nazionale che si occupa di droga e dipendenze.
Soprattutto, prima di fare, sarà necessario pensare bene cosa fare rispetto alle azioni ed alle strategie in itinere, anche in termini di rapporti costo/beneficio e di profonda valutazione di molte iniziative apparentemente più utili a chi le propone che agli ipotetici destinatari.
Ciò anche perché una cosa mi sembra chiara: nei prossimi anni avremo meno risorse per intervenire e più problemi da risolvere.  Forse, anche in questo settore, il tempo delle ideologie sta finendo e, di pari passo, diminuisce il consenso alle guerre, la necessità di consacrare e sponsorizzare eroi e di stigmatizzare persone: non ce lo possiamo più permettere e, forse, è meglio così. Nascerà un nuovo mondo: sta a noi renderlo migliore del vecchio.

Riccardo C. Gatti 1.1.2013