Le persone nascono strutturalmente dipendenti e vivono tutta la propria esistenza cercando di gestire positivamente i fisiologici meccanismi di dipendenza. Ma che cosa interviene all’interno di una dipendenza patologica? Qual è il discrimine tra ciò che sviluppa e fa crescere una persona e ciò che invece la annienta?

Nutriamo nei confronti delle dipendenze una posizione alquanto strana, le consideriamo immediatamente come qualcosa di negativo e lo facciamo in modo automatico. Presumibilmente ciò avviene perché ciascuno di noi tende ad accostare concettualmente alla parola “dipendenza” la parola “tossico”. Eppure ciascuno di noi nasce dipendente, perlomeno dipendente da una relazione affettiva: noi siamo strutturalmente dipendenti e trascorriamo la vita gestendo i meccanismi di dipendenza. Per capire, invece, come la nostra gestione possa fallire e la dipendenza diventare patologica occorre entrare nel problema con grande apertura mentale.

LA PERDITA DEL CONTROLLO Siamo predisposti alla dipendenza, ed esiste uno sfruttamento commerciale di questa predisposizione naturale. Subiamo dal modello di consumo vigente nella nostra società un “imprinting” dei mercati al quale rispondiamo con un consumo. I mercati ci spingono a “perdere il controllo”, almeno parzialmente, rispondendo a bisogni indotti, perché è una utile modalità per vendere tanto a tanti, possibilmente fidelizzandoli verso una determinata marca. Il corto circuito bisogno indotto-consumo, purtroppo, diminuisce le nostre resistenze critiche e facilita, così, la possibilità di perdere davvero il controllo di sé e di andare verso situazioni  patologiche. C’è gente che sta male, infatti, perché perde il controllo sul proprio stile di vita, su quel che mangia, sui farmaci che utilizza e su molte altre cose: in generale sui propri atteggiamenti di consumo. Purtroppo i feedback che riceviamo dai media spesso riguardano singoli fenomeni e difficilmente ci rendono cogniti del fatto che ciascun fenomeno è solo una parte di un problema più vasto e complesso. Attualmente, ad esempio, si parla molto di gioco d’azzardo, quasi come fosse l’unica possibile determinante di dipendenza patologica. Il risultato è che, da una parte, ci si fa l’idea che solo le persone patologiche possano rovinarsi giocando e dall’altra la sensibilità rispetto all’induzione di altre dipendenze patologiche diminuisce. Ci sono dipendenze patologiche di cui non si parla mai o si parla poco: quella da farmaci, ad esempio, è molto diffusa ma potrei citare anche quelle da gioco sui titoli di borsa, quella da cibi, da shopping o da lavoro ecc.

CONSUMO CONSAPEVOLE E NON CRITICO Dicevo pocanzi che un meccanismo per vendere di più è quello di generare bisogni aumentando nei consumatori desideri e consapevolezza verso determinate scelte, abbassandone, contemporaneamente, la capacità critica. La nostra “fame” rispetto a certi prodotti deve diventare insaziabile. Nell’elettronica di consumo, ad esempio, i meccanismi sono molto ben pianificati. Non appena acquistato l’ultimo prodotto tecnologico è già vecchio perché accompagnato dalle notizie sul prossimo, più evoluto, che uscirà e che dobbiamo incominciare a desiderare per le sue caratteristiche. In campo alimentare, invece, è la spinta salutistica a spingere i consumi. Si scoprono effetti benefici di prodotti dimenticati per riattivarne le vendite o, improvvisamente, prodotti sempre usati diventano pericolosissimi per la salute a vantaggio di altri. Anche per le droghe avviene qualcosa di simile. Da quando alcuni Stati USA hanno approvato l’utilizzo terapeutico della cannabis, ogni giorno si scopre che fa bene a qualcosa. Il possibile business è enorme perché in grado di spingere sia il mercato legale che quello illegale. Così, poco per volta, anche per altre droghe si scoprono effetti curativi. Gli effetti negativi, ovviamente, vengono sottaciuti. Talvolta per i farmaci si segue la stessa strada rispetto alla spinta alla prescrizione ed al consumo, salvo poi accorgersi che la situazione non è più sotto controllo. Proprio negli USA i farmaci oppiacei per la terapia del dolore hanno provocato più overdose ed interventi di urgenza di cocaina ed eroina messe assieme ed oggi i nuovi eroinomani  iniziano la loro carriera di dipendenza patologica con i farmaci.

I meccanismi che spingono i nostri bisogni ci vogliono consumatori consapevoli ma poco critici.  La nostra consapevolezza si basa come tutte le consapevolezze su una conoscenza, ma la questione è quale conoscenza? Da quali fonti? Appresa in quanto tempo? In più senza l’esercizio critico si rischia di oscillare tra posizioni consapevoli che cambiano al variare delle onde del mare. Esempio: oggi quante persone mirano all’autoterapia? Si curano attraverso Google. Scelgono di essere consapevoli di quello che decidono di conoscere. Ma non esercitano alcuna critica riguardo la conoscenza appresa. Qui sta il punto.

IL DISCRIMINE PATOLOGICO Teoricamente, osservando dall’esterno, è molto facile riconoscere in  una persona una dipendenza patologica. Basta osservare il rallentamento dei suoi processi di sviluppo, di crescita, di relazione con sé e con gli altri che interviene ad un certo punto della sua storia, appunto, come una malattia. Vista dal di dentro, invece, è difficilissimo. Chi costruisce un rapporto di dipendenza patologica col lavoro potrebbe anche fare una brillante carriera. Chi gioca d’azzardo potrebbe, sebbene sia molto raro, vincere soldi. Ciò mentre attorno tutto, apparentemente si guasta: i rapporti affettivi, in prima istanza. Ma come attribuire il tutto ad una patologia quando, ancora, non si è in grado di leggerne i segni? E’ difficile anche in situazioni oggettivamente più chiare perché legate a sostanze.

Anni fa un’amica mi aveva chiamato con problemi di ansia, l’avevo incontrata e dopo aver valutato la situazione e alcuni chiari sintomi, le avevo spiegato che aveva problemi di alcolismo. Risultato? Per circa un anno, offesa, non mi ha più parlato. Non solo aveva perso il controllo del suo consumo alcolico ma nemmeno se ne era accorta.

La maggior parte delle persone che hanno una dipendenza patologica, già evidente a chi le conosce bene, sono convinte di avere ancora pieno controllo della loro vita. Credono che, avendo operato scelte consapevoli, il tutto vada di conseguenza. Dimenticano che non siamo allenati ad avere una visione critica rispetto ai nostri consumi ed ai nostri comportamenti che possono diventare additivi; caso mai il nostro imprinting è opposto. Lo ricordo: “dobbiamo” essere consapevoli ma poco critici! I meccanismi che ci stanno accompagnando dalla vecchia “società dei consumi” del ‘900 in quella nuova e verso il futuro sono tutti costruiti in questo senso.

Ciò che esplicita e consacra iLa Grande Abbuffatal meccanismo in maniera adeguata ha successo perché provoca una automatica identificazione. La serie televisiva americana The House of Cards ne è un esempio. E’ una rappresentazione interessante di come si possa fare consapevolmente qualunque cosa, quando la dipendenza patologica è dai meccanismi di potere. Il protagonista cerca esplicitamente e trova la “complicità” dello spettatore quando a lui si rivolge per meglio sottolineare le sue trame e risulta anche simpatico, pur essendo un pluriomicida alla conquista della Casa Bianca. Sapremo in futuro come finirà la serie ma, intanto, si rimane a nostra volta “fidelizzati” dalla sua evoluzione. Già … la dipendenza da televisione è una cosa di cui nemmeno più si parla, pur essendo la madre di tutte le dipendenze moderne.

Insomma partecipiamo, consapevoli ma non critici, ad una “grande abbuffata” (ricordate La grande abbuffata, film italo francese del 1973 con Mastroianni, Tognazzi, Piccoli e Philippe Noiret, dove tutti i protagonisti si trovano consapevolmente a mangiare fino a morirne?). In una scena del film una ragazza dice ai protagonisti “Siete grotteschi! Grotteschi e disgustosi! Perché continuate a mangiare se non avete fame!?” Già: “perché” è una buona domanda. Peccato che siamo poco abituati agli interrogativi che richiedono pensieri e risposte complesse. Nella società dei consumi ma anche in quella dei “nativi digitali” tutto deve essere semplice e veloce. I tempi ed i modi del pensiero vengono “compressi” e “decompressi”, a seconda del momento, in processi che analizzano un mare di informazioni ma ci fanno perdere molti parametri di valutazione. E’ così che si continuano a spingere bisogni e consumi. Ovviamente non è solo tutto questo a generare patologia. Esistono altre importanti determinanti di tipo sociale ed individuale. Per quanto riguarda droghe e farmaci, poi, le stesse sostanze possono avere una capacità additiva. Insomma, quando la situazione precipita non esiste una unica causa. E’ strano, però, che non si parli mai di come la nostra naturale tendenza alla dipendenza venga incentivata e rafforzata in modo squilibrato e … perché. O, forse, non è strano.

Riccardo C. Gatti

Questo articolo è stato pubblicato nella rivista EXTRA MOENIA  Trimestrale promosso da Fondazione ERIS  N.5, 2015