CrisiLa dipendenza è una normale condizione umana. Si nasce dipendenti dalla madre e si muore dipendenti da tutto e dalla vita stessa che, a parte eccezioni, lasciamo con fatica.

All’inizio del secolo scorso nacque la società dei consumi quando si comprese pienamente che la naturale tendenza alla dipendenza ed ai comportamenti additivi delle persone, poteva essere modulata a fini commerciali. Si scoprì, cioè, che era possibile programmarla e orientarla verso bisogni e stili di vita che si trasformavano in consumi di massa.

Oggi i bambini, nel momento in cui si emancipano dalla dipendenza totale dalla madre, sono già pilotati verso bisogni e desideri indotti per condizionare le scelte di acquisto degli adulti.
Forse anche per questo, sebbene le tendenze più avanzate delle neuroscienze tendano, oggi, a considerare la dipendenza come una malattia del cervello, e le definizioni di dipendenza patologica sembrino chiare, i confini i tra comportamenti additivi “patologici” e quelli “non patologici” rimangono, di fatto, sfumati, esattamente come sono sfumati i confini tra equilibrio mentale e follia. E’ su questa linea di confine che si può agire per spingere bisogni compulsivi di massa costruendo “liturgie” per promuoverli, giustificarli e condividerli. Dormire in un sacco a pelo su un marciapiede, per essere i primi a possedere un nuovo gadget; “santificare” prodotti di cui viene filmato l’unboxing (il disimballaggio) per trasmettere via Rete l’esperienza a migliaia di “adepti”, sono due esempi di comportamenti che ben esemplificano il labile confine tra passione e patologia. Altri tipi di azioni indotte che sfruttano la nostra propensione all’additività, sono meno evidenti e, quindi, molto più diffuse e incontrollate o, forse, incontrollabili, una volta innescate. Si pensi, ad esempio, alla costruzione ed all’offerta di strumenti finanziari basati sul nulla, all’utilizzo delle carte di credito a rimborso rateale, alla spinta verso acquisti immobiliari sorretti da mutui insostenibili, al “compra oggi e paga alla primavera prossima” ecc..

La crisi economica in cui ci troviamo è correlabile anche ad un insieme di situazioni costruite per aumentare additivamente i consumi con lo scopo principale di alimentare una economia che potesse sostenerli. Le similitudini con le situazioni di dipendenza patologica, in cui si segue un’escalation di consumi, fino ad arrivare ad una situazione di completa perdita del controllo sui propri obiettivi e sul significato stesso del proprio essere e delle proprie relazioni non è casuale.
Oggi, in tempo di crisi, le capacità di spesa e, quindi, la propensione al consumo si sono ridotte improvvisamente e, probabilmente, si contrarranno ancora. Ciò favorirà quei prodotti commerciali in grado di produrre intrinsecamente un viraggio tra tendenza all’additività e dipendenza vera e propria. Potrebbero avere particolare successo, proprio per la capacità di trasformarsi da superflui in indispensabili.

In questa accezione diventa facile pensare immediatamente alle droghe. Meno facilmente siamo portati a pensare ai mercati legali e questo ci lascia culturalmente ed organizzativamente scoperti di fronte ad eventi che potrebbero avere conseguenze disastrose. In questo momento, ad esempio, tutto il Nord America cerca di risolvere il problema della diffusione epidemica dipendenza da “painkillers”. Farmaci oppiacei per la terapia del dolore, prescritti, inizialmente, con troppa facilità e poca attenzione, sono diventati oggetto di abuso e dipendenza. Siamo proprio sicuri che nel nostro Paese non possa avvenire qualcosa di analogo? Qualcosa di simile non è già avvenuto? In Italia, come in altre parti del mondo,  c’è un uso ampio, di una serie di farmaci per la depressione e per l’ansia che sono in grado di provocare dipendenza. L’uso è così diffuso da far pensare che per molti soggetti questi farmaci siano diventati indispensabili anche se, per la loro condizione, sarebbero superflui. Ci sono decessi, ci sono danni, problemi fisici o psichici conseguenti? Non lo sappiamo: la situazione non è senz’altro studiata e monitorata così come è fatto per le sostanze illecite.

Osservando quanto viene investito nello studio, nel controllo e nel contrasto repressivo dei mercati illeciti delle droghe, capiamo che la definizione di droga come “male assoluto”, da sola, può giustificare la spesa, ma trascina con sé la stigmatizzazione, conseguente, del tossicomane con pesanti distorsioni. La Casa Bianca ed anche il nostro Ministro Riccardi, recentissimamente, si sono espressi ricordando che i tossicomani sono malati e non criminali, ma non hanno spiegato come mai, allora, così tanti tossicomani sono in carcere.
Chi è favorevole alla “guerra alla droga”, costi quello che costi, sostiene che, anche proprio grazie a questa azione nel nostro Paese i morti per droga sono solo poche centinaia all’anno a fronte di una stima di decine di migliaia di morti legati all’alcol ed al tabacco. Ciò che continua a non essere chiaro, tuttavia, è perché gli investimenti e l’impegno organizzativo per il contrasto della diffusione dei consumi di tabacco ed alcol siano marginali (rispetto a quelli, complessivi investiti per la droga) e perché non siano ricercati e diffusi dati sulla consistenza e sugli effetti dell’abuso di farmaci.

L’unica spiegazione è che i mercati di tabacco, alcol e farmaci, siano a pieno diritto considerabili come parte integrante della società dei consumi che, come ho detto, poggia le sue basi sulla tendenza all’additività . La stigmatizzazione di alcune dipendenze e di alcuni consumatori, ma non di altri, permette la diffusione di prodotti che, altrimenti, sarebbero maggiormente controllati e visti con partecipe attenzione, anche da parte di chi li consuma. Ciò potrebbe anche spiegare come mai gli Stati Uniti si siano accorti in ritardo della diffusione epidemica dei painkillers. Pur essendo ingaggiati in modo consistente in guerre alla droga e schierati, anche militarmente, per il controllo dei confini, sono stati colti di sorpresa dal “fuoco amico” di una epidemia tossicomanica indotta da sostanze lecite.
In modo paradossale e, forse, non completamente previsto, il nostro impegno verso il contrasto delle dipendenze finisce, così, per concentrarsi su comportamenti che noi stessi abbiamo definiti illeciti per lasciar spazio anche economico e culturale ad altri comportamenti additivi di massa (leciti) che non solo non vengono contrastati ma sono, addirittura, promossi.

In questi anni e nel nostro Paese abbiamo assistito ad una azione concertata che chiarifica questo pensiero. E’ stata pianificata la possibilità di realizzare una pressione fortissima al gioco d’azzardo, praticamente in ogni angolo del territorio, con un ampio utilizzo dei media e di Internet, sia per la promozione che per il gioco on-line. L’incremento del gioco d’azzardo genera entrate ed occupazione è stato considerato opportuno. Ciò che stava nella sfera del superfluo o nel vietato è stato, così, trasformato in qualcosa di utile o di indispensabile. Ora si creano anche meccanismi di consenso, utilizzando una parte degli utili per sostenere ricerche e servizi di cura per chi, dalla pressione all’azzardo, ne esce devastato. Il tutto è appoggiato dallo Stato, che dai comportamenti additivi leciti riceve un immediato vantaggio economico in termini fiscali. Le cure dei giocatori patologici verranno sostenute dal Servizio Sanitario Nazionale. Apparentemente un meccanismo perfetto se non fosse che sta svegliando alcune contraddizioni sopite. Emblematica, in questo senso, è la posizione di chi sostiene che sarebbe utile favorire la coltivazione e la distribuzione della cannabis proprio per aumentare le entrate fiscali. Praticamente la proposta è quella di togliere uno “stigma” in cambio del pagamento di una tassa.

Cosa è utile o non utile, lecito o illecito, viene, perciò, giudicato sulla base di un bilancio economico tra il danno potenziale che crea e le risorse economiche che può produrre. Purtroppo nella pesatura, abbiamo l’interesse economico di una società dei consumi economicamente malata di additività, da una parte, e l’interesse per la salute ed il benessere psicofisico dei singoli, dall’altra. L’interesse generale prevarrà, a scapito dei singoli e, quindi, aumenteranno le occasioni di spinta verso l’additività lecita che saranno compensate di riflesso da una stigmatizzazione ancora maggiore di alcuni tipi di (tossico)dipendenza o di uso di droghe (illecite).

Ciò a meno che la situazione di profonda crisi economica, in cui ci troviamo, ci porti a comprendere la patologia sociale in cui siamo immersi quando consideriamo i termini “crescita” e “sviluppo” come valori (additivamente) positivi perché collegati alla ricchezza ed al Prodotto Interno Lordo. Ci stiamo dimenticando che la crescita e lo sviluppo sono un’altra cosa e, mentre non riusciamo a progettare un futuro,  siamo in continuo “sbattimento” alla ricerca di tutto ciò che già sappiamo non sarà la soluzione dei nostri problemi e delle nostre ansie. Come fossimo tossicomani.

Riccardo C. Gatti

26 giugno 2012