Muccioli– Purtroppo per lo Stato il tossicodipendente continua ad essere un malato. Da 30 anni gli dice: sei un drogato e non puoi essere altro. Al massimo puoi convivere con la droga. Tieni il metadone, prendi gli psicofarmaci, eccoti il medico e l’infermiere ma non rompere troppo le scatole. Lo fa diventare uno zombie. E a 45 anni lo molla nelle comunità, che rischiano di diventare delle discariche sociali. E non è un caso se negli ultimi 15 anni hanno chiuso in Italia 300 comunità’.

Perché lo Stato secondo lei fa così?.
‘Perché questo sistema è diventato anche un business per troppi: medici, psichiatri, aziende farmaceutiche, eccetera eccetera…’.
Invece cosa bisognerebbe fare?.
‘Il tossicodipendente non è un malato. Noi dobbiamo aiutare queste persone a cambiare. Crescere vuol dire cambiare. Cambiare vuol dire anche soffrire. I giovani vanno educati al cambiamento’-.

Così ha dichiarato Andrea Muccioli in una lunga intervista pubblicata il 20 settembre 2010 dal Quotidiano Nazionale e che è possibile leggere a questo link

E’ difficile dire che cosa abbia voluto, nel tempo, lo Stato per chi si droga. Spesso ho avuto la sensazione che si sia occupato della questione soprattutto quando si trattava di contenere una devianza costruendo, di conseguenza, un grande contenitore parzialmente elastico costituito da Magistratura, Polizia, Comunità Terapeutiche e Servizi Pubblici per le tossicodipendenze. Ho anche avuto, negli anni, la sensazione che ciascuno abbia operato dall’interno di questo contenitore senza (voler) rendersi conto della cosa. Di fronte alla storia di molte persone che, una volta entrate nel contenitore, non ne uscivano, era più facile considerare gli altri componenti del sistema incapaci di proporre risposte risolutive. Certamente molti trattamenti terapeutici hanno visto scarsi risultati ma anche molti interventi educativi sono falliti e, ancor oggi, la maggior parte delle persone che sceglie una Comunità terapeutica la abbandona senza completare il percorso, spesso ritornando nel contenitore sopra descritto, non prima di essere ricaduta nell’uso di droga.

Cos’è che non va? Molte cose. Prima di tutto quella di voler generalizzare mettendo tutto insieme e non cercando di capire meglio ciò che potrebbe essere, invece, meglio compreso, per agire di conseguenza.

Chi si droga non è di per sè un tossicodipendente. Alcune, tra le persone che usano droghe, diventano tossicodipendenti e, in questo caso, hanno una patologia che si manifesta in modo molto chiaro: la loro vita è completamente condizionata dalla necessità di consumare la sostanza da cui dipendono. Queste persone hanno bisogno di cure dal punto di vista psicologico e medico per poter affrontare la loro condizione e, se possibile, per uscirne. La volontà di costruire un “sistema contenitore” ha però costruito il sinonimo “drogato” = “tossicodipendente”. Di conseguenza, proprio per la costruzione di questa equivalenza, al drogato, al momento di erogare una sanzione per il possesso di droga o per reati connessi al suo consumo, viene offerta, in alternativa,… la possibilità di cura. Nello stesso tempo, molte persone che usano droghe vengono spinte alla cura da partner, familiari ed amici.

Così, ogni giorno, tante persone che non hanno una patologia, ma, semplicemente, utilizzano volontariamente droghe illecite, vengono spinte direttamente o indirettamente a chiedere cure. Non avendo alcuna patologia o non avendo alcuna intenzione di curarsi, sono però, di fatto … “incurabili”. Entrano nel “contenitore” solo perchè ne hanno un vantaggio. E’ possibile che l’incontro con personale esperto possa indurre in loro scelte diverse ma, in generale, eventuali trattamenti non avranno successo. Tenendo presente che non è sempre facile comprendere, in tempi brevi, l’eventuale uso strumentale del Sistema di cura, questi soggetti, che non sono pochi, riducono e, talvolta, saturano le reali possibilità di offerta. Risultato: difficoltà per affrontare compiutamente i bisogni di chi, invece, sarebbe disposto a curarsi ed a collaborare per la costruzione di un cambiamento. Tutto ciò non succede solo nei Servizi Pubblici ambulatoriali, i Ser.T., per intenderci, ma anche nelle Comunità terapeutiche, che vengono viste come una buona meta per chi cerca, con i benefici di legge, di non stare in carcere, avendo una pena sino a 6 anni (si tratta, quindi, anche di reati di una certa entità). E’ ovvio che una comunità terapeutica sia un luogo migliore di un carcere (ed anche di un ambulatorio) al fine di costruire un percorso di re-inserimento sociale ma è anche ovvio che non sempre chi (ri)-educa può riuscire nei suoi intenti, quando si trova di fronte a soggetti che vedono nella comunità solo l’occasione per stare in un luogo meno restrittivo di un carcere.

Purtroppo non è facile far comprendere che la patologia tossicomanica non è curabile in modo passivo. O il soggetto partecipa al processo terapeutico, che, ovviamente, è un processo di cambiamento, oppure i risultati saranno scarsi o nulli. Questo non accade solo per i programmi che mirano ad uno stato drug-free ma anche per quelli che utilizzano farmaci sostitutivi dell’eroina (metadone e buprenorfina). Per questo motivo ci sono due grandi tipologie di soggetti che utilizzano farmaci sostitutivi. La prima è costituita da persone che partecipano attivamente alla cura e con i terapeuti si pongono obiettivi progressivi che li portano gradualmente a vivere una vita stabile senza l’uso di altre sostanze e ad uscire dalla sintomatologia che li portava a costruire la propria esistenza attorno all’eroina. La seconda è costituita da persone che utilizzano anche il farmaco sostitutivo come fosse una droga. Difficilmente riprendono i ritmi e le relazioni di una vita “normale” e da loro, quando va bene, si riesce ad ottenere solo una riduzione dei consumi di sostanze illecite ed, almeno, uno stile di vita meno rischioso per sè e per gli altri. Qualcuno definisce tutto ciò “riduzione del danno” ma, in realtà non è nemmeno questo. E’, semplicemente, -ciò che si riesce a fare-. Si tenga presente, inoltre, che tra le persone che usano droghe o sono tossicodipendenti ci sono anche soggetti affetti da patologie psichiatriche gravi. In questi casi, tuttaltro che rari, al di là degli intenti e della buona volontà, la costruzione di una vita “regolare” diventa molto, molto difficile, se non impossibile.

Sarebbe possibile costruire Servizi Pubblici in grado di ottenere alti successi nei trattamenti? Senza dubbio. A patto, però, di selezionare l’utenza intervenendo solo sui tossicodipendenti in grado di seguire correttamente e non strumentalmente i programmi terapeutici più adatti al loro caso ed alla loro patologia. Attualmente questa selezione non è possibile, se non in alcune specifiche situazioni, perchè il sistema di offerta non è sufficientemente differenziabile, in presenza di una domanda propria e impropria molto alta ed a risorse che, nella maggior parte dei casi, sono meno di quelle che sarebbero necessarie. Non dimentichiamo che non solo, come dice Muccioli, ci sono persone che a 45 anni finiscono in Comunità dopo trattamenti interminabili ai Ser.T. ma anche persone che, alla stessa età, rimangono in cura ai Ser.T. dopo interminabili e ripetuti trattamenti in Comunità.

Concludendo, negli anni è stato fatto molto dal punto di vista clinico e da quello educativo per chi si droga. Esistono, tuttavia, ancora grossi limiti in un Sistema di Intervento poco differenziato e pensato come un contenitore. Pur considerandone i limiti, tuttavia, l’errore più grande potrebbe essere, oggi, quello di negare ai tossicodipendenti la possibilità di cura definendo un comportamento ciò che, in realtà, è sintomo di una patologia.

Dobbiamo dedicare migliori processi educativi e di supporto a chi ne ha bisogno ma anche migliorare le condizioni e le possibilità di cura per chi ne ha necessità. Il tutto senza dimenticarci di quelle persone che, tossicodipendenti o no, considerano, purtroppo, le droghe come una parte importante della loro vita. Per loro le cure possono essere inefficaci così come i processi educativi. Non vorrei che per questi soggetti, alla fine, le uniche risposte fossero sanzioni. Ricordo quanto diceva Pasolini trentacinque anni fa: -Per chi non si droga, colui che si droga è un “diverso”. E come tale viene generalmente destituito di umanità, sia attraverso il rancore razzistico che si attirano sempre addosso i “diversi”, sia attraverso l’eventuale comprensione o pietà. Nei rapporti col “diverso” intolleranza o tolleranza sono la stessa cosa-.

Riccardo C. Gatti 21.9.2011