Per favore, non ricominciamo ogni volta da zero. Abbiamo una grande esperienza nell’intervento sulle dipendenze patologiche. I fenomeni di oggi non sono semplicemente la ripetizione di quelli di ieri, perché si sviluppano in un contesto socio-culturale differente, ma questo non significa che dobbiamo cedere alle fantasie ed alle illusioni emotive per affrontarli. Prima di tutto, non sta ritornando la droga: semplicemente si è riaccesa l’attenzione su fenomeni che volutamente abbiamo dimenticato. Stanno aumentando le overdose e sono in corso “promozioni” in cui si vende eroina a prezzo basso e, a volte, ad alta potenza, ma è questa una situazione che si è preparata nel corso di una decina di anni. I giovani di oggi non hanno vissuto le epidemie passate e, quindi, sono facilmente ingaggiabili in percorsi per cui i loro genitori hanno costruito “anticorpi mentali” che non sono stati trasmessi ai figli. In mezzo c’è una frattura, un vuoto culturale, appunto, nel passaggio tra la società post-industriale e la società interconnessa dove i più giovani, nativi interconnessi, costruiscono socializzazione, opinioni, e tendenze in un modo diverso da chi li dovrebbe educare. Chi li dovrebbe educare, invece, ha una crisi di credibilità e di autorevolezza, non utile per mettere regole e per farle rispettare, perché in un mondo che, con i nuovi media, è cambiato velocemente, fatica ad educare in base a una esperienza che non ha. Un problema è che la Rete e ciò che vi è connesso non nasce solo per comunicare ma anche per vendere, per generare bisogni che spingono i consumi, compresi quelli di droghe. La chimica permette, nel frattempo, di moltiplicarle a basso costo, sempre più potenti e sempre meno conosciute negli effetti.

I boschetti della droga, più o meno alberati, ci sono in tutte le città: non sono la rappresentazione del fenomeno droga di oggi, ma solo la punta visibile di un iceberg contro cui rischiamo di andare a sbattere, facendoci male. Sotto il pelo dell’acqua ci sta di tutto, compreso l’uso di sostanze legali, l’alcol e i farmaci, ad esempio, per alterarsi e la concorrenza tra i mercati locali dello spaccio ed il km. zero virtuale, che si crea tra produttori/distributori e clienti sulla Rete. La situazione potrebbe peggiorare in fretta, soprattutto se verranno ampiamente distribuiti oppiacei sintetici ad alta potenza ed a basso costo, come negli USA, dove stanno facendo una strage. Che fare? Prima di tutto imparare dagli errori. I mercati della droga sono sempre attivi, cambiano nel tempo. Trascurare il problema, come abbiamo fatto in questi, anni è uno sbaglio. In questo anche la classe politica, fin troppo consapevole che parlare di droga al di fuori delle emergenze non porta voti, ha fatto non pochi errori. L’errore principale, comunque, è quello di considerare la questione droga un fenomeno statico. Dobbiamo monitorare continuamente l’evoluzione dei mercati e dei consumi (non solo il loro esito!) e prevederne l’andamento, per tarare le nostre strategie. Costruire strategie per raggiungere obiettivi chiari e misurabili. La situazione odierna era prevedibile; infatti, era stata prevista. Peccato che abbiamo preferito la scaramanzia alla prevenzione. Non dobbiamo, invece, semplificare la risposta agli eventi: pensare, ad esempio, che i genitori siano lasciati soli perché non esiste un meccanismo per obbligare i figli che si drogano a chiudersi in una comunità e che tutto il resto, Servizi Pubblici per le Dipendenze compresi, sia una inutile trafila burocratica è un errore che può essere fatale. Piuttosto dobbiamo dare maggior respiro alla pluralità di interventi possibili, dando ossigeno alle diverse forme accreditate di intervento, che sono in sofferenza di risorse, gestendo attentamente e potenziando la rete di offerta pubblica che è stata progressivamente ridimensionata.

Nella cura delle dipendenze non esistono magie. Chi le propone è un truffatore. Qualunque dipendenza ha bisogno di percorsi calibrati ad hoc sui singoli individui, per essere trattata, ma la conoscenza tecnico-scientifica su cosa fare è ricca e appropriata. Seguiamola, però, anche ricordando che una dipendenza richiede percorsi di trattamento lunghi, con possibili ricadute e che il percorso migliore non è quello che consideriamo ideale ma quello che la persona è in grado di accettare e di seguire. A differenza di altre situazioni, infatti, la dipendenza patologica non è curabile se l’individuo non partecipa alla cura. Non confondiamo le situazioni patologiche con quelle che non lo sono. La dipendenza patologica è curabile, la scelta di usare sostanze psicoattive a scopo non terapeutico, invece, deve essere approcciata in modo differente, con l’informazione e l’educazione prima che diventi una dipendenza. Si tratta di nozioni banali ma, nel nostro ricominciare ogni volta daccapo, non mi sembra che ne stiamo tenendo conto. In ogni caso abbiamo bisogno di maggiori interventi di informazione, prevenzione e di prossimità nelle situazioni a rischio, ma non fatti a caso. Costruire cataloghi di sostanze, spiegandone gli effetti con l’esperto di turno, spiegando che “la droga fa male”, rafforza sia chi non ne vuole far uso, sia chi vorrebbe usarla o già la usa ed è in cerca di nuove esperienze. Partire per i “boschetti” per convincere le persone a non drogarsi, senza alcuna conoscenza del fatto che il lavoro di strada richiede preparazione e collegamenti di rete, può essere un disastro. Inoltre non pensiamo che l’uso di sostanze psicoattive a scopo non terapeutico sia solo un problema giovanile. I giovani imparano dagli adulti e non solo da quelli che vogliono vendere loro l’alterazione ma anche da quelli che l’acquistano. Insomma, non chiediamo ai ragazzi di assumersi responsabilità che gli adulti non si vogliono assumere: non funziona. Ricordiamoci anche che non siamo soli nell’affrontare questi problemi. Esistono Servizi di cura, i SERD, con personale esperto, esiste un Privato Sociale altrettanto esperto e capace, esiste un volontariato attento preparato ed operoso ma, soprattutto, non dimentichiamo che, quando un problema, individuale o sociale esplode è perché è mancato qualcosa prima. Quando si cerca alterazione, ad esempio, è perché non si vuole più essere ciò che si è, dove si è. Siamo in una situazione di vuoto culturale: ne sentiamo tutti il peso, ma aspettarsi che arrivi qualcosa o qualcuno che risolva il problema, magicamente, è esattamente come credere di poter essere diversi perché si è assunta una droga.

Il vuoto culturale nel passaggio da una costruzione sociale ad un’altra, in un mondo che non ci piace, può essere riempito dalle droghe. Lo diceva Pasolini tanti anni, fa proprio sulle pagine del Corriere: potremmo ripeterlo oggi. Ma se il mondo non ci piace, non possiamo semplicemente cambiare canale: non siamo in un reality. Questa è vita vera. Ed è proprio qui che giovani e adulti potrebbero trovare risposte, rimboccandosi le maniche assieme, senza cercare soluzioni magiche e immediate, che non esistono, ma scoprendo che le cose possono andare meglio se si lavora per costruire la realtà diversamente da come stiamo facendo ed in modo partecipato. Si potrebbe partire da piccole cose. Come ci approcciamo ai consumi, ad esempio, come leggiamo le proposte commerciali che ci bombardano ogni giorno, come ci accostiamo alla musica, all’arte, alla conoscenza ed alla cultura. Come possiamo noi stessi essere protagonisti di un progresso collettivo, anche sviluppando le nostre capacità creative: dove sono i nostri punti di forza e di debolezza. Cosa facciamo ogni giorno per questo. Piccole cose, dicevo, ma sostanziali, anche se passate in secondo piano da una società che tende a concentrare pensieri, parole e azioni nello spazio di un tweet, di un selfie o di un messaggio Instagram.

Un mondo con meno droghe non è quello che dichiara guerra alle droghe ed alle persone e nemmeno quello che propone droghe di tutti i tipi per poi stigmatizzare chi ne diventa dipendente. Non è nemmeno quello che costruisce inutili e contradditori messaggi istituzionali per ribadire che la droga illecita fa male, mantenendo ambiguità e costruendo profitti degli Stati con le droghe lecite. È un mondo che costruisce ragioni per vivere a pieno, in quel piccolo spazio/tempo che a ciascuno di noi è dato per farlo, senza sprecarlo nella alterazione.   

 

Riccardo C. Gatti

Versioni di questo articolo sono state pubblicate il 3.2.2019 sulle pagine milanesi del Corriere della Sera e di Corriere.it