Nel nostro Paese ormai la droga è diventata un pretesto per scontrarsi, rinverdendo antichi dibattiti sulla legalizzazione, con l’aggiunta di qualche elemento seminuovo legato alla ingegnosa invenzione della “cannabis light” e ad un settore correlato alla cannabis “industriale” che, se non regolamentato rischierebbe, secondo alcuni, “di mandare in tilt una filiera fatta di 3 mila aziende e 12 mila addetti” (Federico D’Incà – Ministro per i rapporti con il Parlamento). Come se non bastasse, basta aprire Twitter per vedere come “combattono” Antonio Tajani, giornalista e politico, e Roberto Burioni, medico, accademico e divulgatore scientifico. Ecco due loro espressioni, diventate titolo per La Repubblica: Cannabis, Tajani: “Si comincia con lo spinello e si arriva all’eroina”. Burioni: “Si inizia tagliando un filetto e si uccide il cognato”.  Ma, per non farci mancare nulla abbiamo anche una usuale e forse inutile, se il Parlamento non ne discute, “Relazione al Parlamento 2019 sul fenomeno della tossicodipendenze in Italia”, che continua ad essere dedicata alle droghe illecite, pressoché ignorando, per doveroso mandato istituzionale, che tra le tossicodipendenze esistono anche quelle da tabacco, alcol e farmaci. Abbiamo anche “il grido delle comunità e dei servizi”: «Serve una nuova legge» (titoli di Avvenire.it) che arriva come una proposta di maggior attenzione al Sistema di Intervento, ad un Governo e ad un Parlamento che, di fatto, non solo non ne hanno la gestione, demandata alle Regioni, ma che intuiscono benissimo che, aprendo una riforma della legislazione sulla droga, altri temi, in grado di spaccare qualunque maggioranza, prenderebbero il sopravvento.  

Insomma, in una situazione di instabile immobilità rischiamo, come da tradizione, di non avere strategie condivise di intervento e di aspettare che, eventualmente, arrivino tragiche e pesanti emergenze, per costringere tutti a fare qualcosa in più, o di diverso, di ciò che si sta facendo ora. Una immobilità instabile, come dicevo, perché, siccome siamo permeabili al mondo, proprio negli apparentemente inutili dibattiti di questi giorni, si intravedono anche concetti e ragioni molto simili a quelle che in Canada, USA e  Messico hanno creato condizioni predisponenti per la legalizzazione della cannabis. Una legalizzazione, talvolta attuata, talvolta no, o non ancora, ma, che comunque, apre a possibilità che sino a pochi anni fa erano impensabili e, probabilmente, improponibili. 

Ha ragione chi, da un punto di vista conservatore, teme proprio questi concetti e questi argomenti, perché la legalizzazione della cannabis oggi ha anche forti moventi finanziari, economici ed industriali che nulla hanno a che fare con le antiche ragioni libertarie di Pannelliana memoria e che incontrano il consenso di una generazione di giovani adulti che vede la cannabis, non più come un simbolo di controcultura o trasgressione ma, piuttosto, come un possibile bene di consumo, così come è considerato l’alcol. Ed è proprio questo tipo di concettualizzazione delle sostanze come bene di consumo, che unita ad un percorso di possibile legalizzazione totale o parziale della cannabis, rischia di minare alla base e far crollare, una costruzione sul significato di droga e su ciò che è lecito (e ciò che non lo è) che, seppur barcollante e piena di contraddizioni, ha retto per anni. Il problema è che, ad oggi, non c’è consenso su un nuova costruzione che la sostituisca. D’altra parte, è un segno dei tempi la velocità con cui alcuni concetti cardine possano cambiare, prima ancora che possano essere razionalizzati. Gli stessi media sono cambiati e ci hanno cambiato, mentre la nostra capacità di comprenderne, nel bene e nel male, le potenzialità, rimane ancora limitata. 

Oggi convivono, anche laddove si siano operate parziali azioni di legalizzazione, forti correnti di pensiero che considerano da sempre tutte le droghe (ma in realtà, principalmente quelle illecite) come un male assoluto, contro cui la società deve mobilitarsi e combattere, con altre che ripudiano il concetto di guerra alla droga fino a spingersi ad ipotizzare, per motivi diversi, mercati leciti, regolamentati e controllati, a vantaggio di un consumo consapevole ma anche profittevole per il commercio e la fiscalità degli Stati. Su questi nuovi mercati possibili nasce l’interesse di investitori vecchi e nuovi,  ma anche parte di politici, convinti di trovare consenso in ciò che parte della popolazione, non più minoritaria, sembra condividere. E’ chiaro quindi che i ragionamenti riguardanti la cannabis e le sua legalizzazione a scopo ricreativo hanno una valenza molto più ampia di quello che potrebbe sembrare, mentre le battaglie ideologiche che circondano il problema, restringono strumentalmente il campo agli usuali antichi concetti, nel tentativo, semplificando gli schieramenti, di raccogliere il maggior consenso possibile, trasversalmente alla fasce di età. 

Tutti coloro che studiano la questione droga, intesa come mercato, si rendono però conto che, indipendentemente dai dibattiti in corso ed anche dagli schieramenti di parte, il mondo sta cambiando e cambierà. Una delle rivoluzioni riguarda il graduale, ma sempre più veloce passaggio, dalle droghe che derivano da una coltivazione agricola, a quelle che vengono prodotte il laboratorio. Si tratta di un cambiamento così veloce che gli stessi laboratori di analisi fanno una gran fatica a stare al passo per identificare le nuove sostanze che vengono immesse sul mercato. In questa fase, tra l’altro, non sostituiscono quelle vecchie ma si aggiungono ad esse. La cosa strana, ma coerente con i tempi,  è che la nascita delle “nuove sostanze psicoattive”, almeno inizialmente, ha avuto a che fare con la ricerca (anche da parte dei consumatori) di “nuove droghe legali” che sono state rapidamente trasformate in “nuove droghe illegali”, probabilmente senza valutare a pieno il significato e le ricadute di questo percorso. Ecco una dichiarazione del Capo della sottosezione di analisi e statistica della settima sezione dello stato maggiore della difesa nazionale del Messico, Carlos Alberto Soto Muerza: “La radiografia è molto chiara nel senso che ci sono gruppi che erano dedicati alla semina e ora sono dedicati a ciò che è più redditizio per loro, come lo sono le droghe sintetiche”. Ed ha aggiunto: “La marijuana scende perché hanno smesso di seminare. La maggior parte dei gruppi criminali è impegnata in droghe sintetiche, che negli ultimi due anni hanno aumentato il traffico per i costi e la facilità di trasferimento, ma soprattutto i costi, che sono molto più bassi di marijuana e papavero” (El Universal del 22/12/2019 – ADUC). E’ una osservazione che conferma quanto già riportato da Panorama del 12 giugno 19, in un articolo di Paolo Manzo “I narcos, quelli veri e potenti, hanno cominciato piuttosto a dedicarsi con successo alla creazione di nuove droghe sintetiche che stanno devastando milioni di giovani americani e canadesi; in Europa si stanno affacciando timidamente, per adesso, con il pericolo però di un’ecatombe nei prossimi anni”. Nel frattempo “L’epidemia di eroina che colpisce gli Stati Uniti ha già raggiunto il Messico, dove i casi di overdose negli ospedali hanno iniziato a essere scatenati dal fentanil, conosciuto anche come “eroina sintetica”, 50 volte più potente dell’originale”.  

Ma potrebbe esserci, a mio parere, una seconda rivoluzione in atto, ancora tutta da valutare. Quando parliamo di “Nuove Sostanze Psicoattive” tendiamo naturalmente a riferirci a sostanze singole, normalmente tagliate con altre sostanze inerti. La nuova frontiera sembrerebbe essere diversa, riguardando la messa in vendita di preparati già costituiti da miscele di più sostanze attive. Il tutto è già in atto: quando, ad esempio, parliamo di una epidemia di Fentanil e derivati che ogni anno, negli USA, uccide per overdose più Americani di quanti ne siano morti in tutta la guerra del Vietnam, pensiamo al Fentanil come una singolo prodotto. In realtà non è propriamente così. I distributori di droghe hanno deciso autonomamente (ed indipendentemente da una domanda, che non c’era) di mettere sul mercato prodotti dove il Fentanil era solo uno dei componenti attivi. Non è stato semplicemente aggiunto all’eroina per potenziarla, ma anche a cocaina ed amfetamine ecc. ed è diventato il componente di un insieme di nuovi prodotti, con effetto diversificato, anche perché i derivati del Fentanil sono diversi. Una rivoluzione iniziata in USA e Canada che, ora, sta sconfinando in Messico. Come riferisce, ad esempio, Marco Romero  (Ansa Spanish del 25/12/2019 – ADUC), uno studio del National Institute of Psychiatry pubblicato sulla rivista scientifica Adiction ha rivelato che 750 consumatori di eroina del confine americano hanno dichiarato di non sapere se avevano assunto il Fentanil, sebbene avessero avuto sintomi direttamente correlabili alla sostanza ed una analisi di un campione di siringhe usate ha individuato questo oppioide nel 74% dei casi. Oggi mentre l’epidemia di overdose da oppiacei sta incominciando ad estendersi anche in Messico, tutti coloro che, sul fronte criminale, trafficavano con l’oppio sono in crisi, perché il prezzo dell’eroina è crollato a causa del Fentanil, molto più potente e meno costoso. Capire, quindi, se l’introduzione del Fentanil sia una sorta di “adulterazione” dell’eroina, oppure, una strategia sostitutiva, oppure, ancora, l’inizio di un nuovo mercato di preparati composti da più sostanze attive, non è facile: ci troviamo di fronte a mercati che si stanno evolvendo. Ciò che impressiona è che il passaggio dal naturale al sintetico dei Narcos e la eventuale messa sul mercato di miscele di sostanze attive sta prendendo piede velocemente proprio nel Nord America, dove il Canada e diversi Stati USA hanno legalizzato la Cannabis, anche a scopo ricreativo, e dove il Messico sembrerebbe seguire un percorso analogo. Ora l’associazione tra legalizzazione della cannabis e la diffusione di droghe sintetiche non è sostenibile ma, piuttosto, se i ragionamenti riguardanti la cannabis e le sua legalizzazione a scopo ricreativo, vengono letti come un indicatore di un cambiamento del significato di droga e di ciò che è lecito (e ciò che non lo è), chi commercia e investe nel settore illecito, non può evitare di porsi interrogativi e di agire di conseguenza per preservare la sua posizione di monopolio. Se pensiamo che l’America sia lontana, non dimentichiamoci che i rapporti delle nostre organizzazioni criminali  con quelle che operano oltreoceano sono molto stretti.  

A questo punto leggiamo cosa ha recentemente scritto Gianni Santucci per il Corriere. “Il pomeriggio del 16 dicembre scorso accade un fatto (all’apparenza) di routine: gli uomini dell’Unità contrasto stupefacenti della Polizia locale fermano un uomo, 47 anni, marocchino, in viale Giovanni da Cermenate; lo hanno «curato» per un po’ di giorni, hanno buone conferme che faccia lo spacciatore, dunque lo seguono fino al suo appartamento e lo perquisiscono; in casa trovano quello che s’aspettano, tre panetti di hashish per un peso che s’aggira sui tre etti: così lo arrestano. Fino a qui sarebbe un’operazione di polizia che rientra in pieno nell’ordinario per Milano, uno di quegli arresti che viene catalogato nel mattinale, ma che viene presto dimenticato tra decine di altri analoghi.  Il particolare decisivo, quello per cui bisogna invece tener conto di quel rapido blitz nella zona Sud della città, emerge poco dopo in laboratorio, tra analisi e reagenti chimici, durante gli esami che necessariamente devono essere allegati agli atti da inviare in Procura: quei tre etti di hashish erano impastati con metanfetamina, una sostanza molto più potente e molto più pericolosa (per effetti e per dipendenza). (…) “ il 19 dicembre, gli uomini della Polizia locale stanno lavorando su un quadrante completamente diverso della città, in via Palmanova. Stavolta seguono e arrestano uno spacciatore italiano e anche a lui sequestrano poco più di quattro etti di hashish. Stavolta attendono le analisi con una qualche «curiosità» in più: e poco dopo, dal laboratorio, arriva la conferma. Anche quel fumo presenta «pesanti tracce di metanfetamina». 

Per chi era la sostanza? I consumatori sapevano di assumere, in pratica, hashish e shaboo? E’ possibile che  ci troviamo di fronte ad una serie di situazioni casuali (o forse no, perché la scoperta è recente) ma, senz’altro, le sostanze sintetiche stanno sostituendo quelle di origine agricola, mentre nascono nuovi preparati, come mix di diverse sostanze psicoattive, già forniti così a livello di distribuzione e spaccio. Il prossimo gradino, come per i farmaci, potrebbe riguardare nuove sostanze psicoattive innovative, capaci di agire contemporaneamente su più di un bersaglio. Praticamente ci troviamo di fronte, attraverso le possibilità offerte dalle sostanze di sintesi, alla reale potenzialità di generare “policonsumi guidati” che, come per i piatti dei cuochi stellati, finiscono per concentrare l’interesse, non sul singolo ingrediente o su come è cucinato, ma sull’esperienza complessiva che si ricava da un prodotto complesso. Questo potrebbe trasformare gradualmente le vecchie droghe in un prodotto di nicchia, un po’ come il vinile per chi ascolta la musica.  Se così fosse, non solo la legalizzazione della cannabis, ma anche di altre singole sostanze, potrebbe essere meno interessante per i consumatori; la possibilità di costituire mercati regolati e controllati lecitamente diventerebbe molto complicata, così come, di converso, anche la repressione dei traffici illeciti, rispetto a produzioni fattibili ovunque ed ai moderni mezzi di delivery; gli eventuali percorsi di cura, in caso di dipendenza, potrebbero diventare ancor più difficili di quanto lo siano oggi. 

Riccardo C. Gatti