Tutto il sistema sanitario è in sofferenza perché la necessità di contenere la spesa pubblica obbliga a definire priorità. La tossicodipendenza, oggi, non è una priorità: in passato le cose stavano diversamente, forse in relazione ad una strana coincidenza tra la valorizzazione del sistema di cura e l’intensificazione di quanto connesso con il sostegno alla guerra alla droga nel mondo.

La prima dichiarazione di “guerra alla droga” è attribuita a Richard Nixon e risale al 1971. Quando Nixon dichiarò guerra alla droga, tuttavia, “due terzi dei fondi a disposizione furono destinati alle terapie per un elevatissimo numero di tossicodipendenti” (- Egemonia americana e «Stati fuorilegge» di Noam Chomsky – pag. 134 – Edizioni Dedalo).

La legge 685 che istituisce i primi Centri Medici e di Assistenza Sociale in Italia è del 1975. Difficile pensare che, nel progettarla, il legislatore non abbia tenuto conto di quanto succedeva negli Stati Uniti. Poco propensi alla guerra vera e propria da noi ci si incentrò sulla definizione del controllo e della cura. L’ Art. 1. della legge, infatti, riguardava le Attribuzioni del Ministero della Sanità e diceva, tra l’altro: “La prevenzione, la cura e la riabilitazione dagli stati di tossicodipendenza   da   sostanze   stupefacenti o psicotrope sono sottoposte alle direttive, all’indirizzo e al coordinamento del Ministero della Sanità”. L’enfasi sulla funzione del Ministero della Sanità era, ovviamente, correlata a un concetto molto esteso di patologia (da curare) che era subito esplicitato nell’Articolo 2 della legge, inerente le Attribuzioni delle Regioni: “Le   funzioni   di prevenzione ed intervento contro l’uso non terapeutico delle sostanze stupefacenti o psicotrope, al fine di assicurare   la   diagnosi,   la   cura,   la riabilitazione ed il reinserimento sociale delle persone interessate, sono esercitate dalle regioni, in applicazione dei criteri di indirizzo e di coordinamento stabiliti dallo Stato e secondo le norme della presente legge”. L’uso non terapeutico delle sostanze stupefacenti, quindi, non semplicemente la tossicodipendenza, in senso stretto, era considerato come un qualcosa da diagnosticare e curare. L’articolo 90 della stessa legge definiva che la cura e la riabilitazione dei soggetti facenti uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope era affidato ai normali   presidii   ospedalieri, ambulatoriali medici e sociali, localizzati   nella   regione ed appositamente abilitati,   con   esclusione   degli   ospedali psichiatrici. Tuttavia prospettava, secondo le necessità, l’istituzione di uno o più centri medici e di assistenza sociale (CMAS): i progenitori degli attuali Servizi Pubblici per le Tossicodipendenze.

La nascita dei CMAS, intesi come Centri di Cura Specializzati, accompagnata da una serie di norme collegate al controllo, costruiva un iniziale intrico tra cura e controllo sociale mai risolto a pieno ma che, assieme ad una sorta di confusione (!?) tra tossicodipendenza ed uso non terapeutico delle sostanze stupefacenti e psicotrope, è arrivato sino ai giorni nostri. Si riflette, ad esempio, sull’applicazione dei benefici di legge che permettono alternative al carcere non solo per chi è tossicodipendente ma anche per chi, più semplicemente, usa droghe e compie reati. Con questa legge è anche sancita l’ambigua funzione del sistema di cura specializzato, quando è definito che la persona segnalata che si rivolge al CMAS “ha facoltà di farsi assistere da un medico di sua fiducia e di far presenziare lo stesso agli accertamenti necessari”. Strano pensare ad un sistema di cura che, improvvisamente, può anche essere controparte del curato, ma stranamente questa “particolarità” non è stata mai messa in discussione.

Gli anni che seguirono furono, in tema di diffusione di droga, particolarmente oscuri. Leggiamo cosa riporta Wikipedia a proposito di una operazione detta “Blue Moon”.

Con operazione Blue Moon si intende un’operazione sotto copertura messa in atto dai servizi segreti dei paesi del blocco occidentale all’inizio degli anni settanta, nell’ambito della Guerra Fredda, finalizzata a diffondere l’uso di droghe pesanti, in particolare l’eroina, tra i giovani attivisti dei movimenti giovanili di contestazione, in modo da renderli dipendenti e distoglierli dalla lotta politica. La strategia si attuò mediante una sapiente operazione di “lancio” del prodotto: dapprima vennero bruscamente tolte dal mercato clandestino tutte le altre droghe allora diffuse (in particolare marijuana, hashish e anfetamine), al contempo si iniziò una capillare diffusione di piccole dosi di eroina vendute a bassissimo prezzo, così da indurre i consumatori (in particolare giovani e giovanissimi, in buona parte appartenenti alla galassia di gruppi politici di sinistra extra-parlamentare nati nel post-sessantotto) a passare alla nuova sostanza, sfruttando anche la diffusa ignoranza sui gravissimi effetti collaterali in termini di dipendenza che essa comporta. Gli esiti sociali di questa operazione furono un aumento vertiginoso del numero dei tossicodipendenti e delle morti da overdose: il numero degli eroinomani passò da zero nel 1970 agli oltre 300.000 nel 1985. (Da Wikipedia, l’enciclopedia libera, testo rilevato in data 28.5.2015). Difficile capire quanto ci sia di reale o di immaginario nella descrizione dell’operazione blue moon. Consiglio anche la visione di questo documentario RAI in proposito:

Fatto sta che, l’impressione che il mercato dell’eroina fosse stato creato con una intensa operazione di marketing, rimane netta. Chi non c’era a quei tempi o era molto giovane, tra l’altro, non può ricordare quella sensazione complessiva di morte, sofferenza che attraversò le generazioni, creando una emergenza nazionale che negli anni ’80 non si era affatto estinta, anzi si aggravava, con la diffusione dell’AIDS.

Le persone seguite dal sistema di cura in Italia, dal 1985 al 1989 passarono da 13.905 a 61.689 (Rezza G, Dorrucci M, Filibeck U, Serafin I, Estimating the trend of the epidemic of drug use in Italy, 1985-89, British Journal of Addiction

[1992, 87(12):1643-1648]). L’aumento di affluenza ai Servizi di cura era dovuto ad una serie di elementi confluenti. In una situazione in cui le tossicodipendenze conclamate erano soprattutto collegate all’eroina ebbero grande peso anche i “Decreti Aniasi” che, nel 1980, regolarono la possibilità di utilizzo dei farmaci sostitutivi, ma anche le iniziative delle Regioni che, dopo la nascita delle Unità Sanitarie Locali unirono l’essenza dei Presidi di Diagnosi e Cura (da qualcuno detti “Presidi Metadonici”) con quella dei CMAS, costituendo, in modo più distribuito nei territori, Centri specializzati dai nomi diversi (in Lombardia erano i Nuclei Operativi Tossicodipendenze) ma senza dubbio molto più accessibili.

Certo è che se alcune teorie che spiegano la diffusione nixondi droghe (eroina ma anche allucinogeni) in quegli anni fossero esatte ci troveremmo di fronte ad azioni di Stati tesi, da una parte, a far guerra alla droga e, dall’altra a diffonderla per spegnere la forza di movimenti destabilizzanti e rivoluzionari. Se questa fosse l’interpretazione esatta di quei giorni, posso capire come ci sia chi vede un collegamento tra la diffusione di droghe, la definizione di tossicodipendenza come malattia cronica e recidivante e la costituzione di sistemi socio-sanitari misti, di cura e di controllo sociale, in grado di “contenere” le persone, più che di curarle. L’alternativa al farmaco sostitutivo per eccellenza, il metadone, era vista nella “comunità terapeutica”. Esistono sincronicità particolari e suggestive tra la diffusione della epidemia di dipendenza da oppiacei e la messa a disposizione di farmaci oppiacei “sostitutivi” in grado di stabilizzare la situazione, a patto di utilizzarli per un tempo indefinito, o, in alternativa, di luoghi dove stare il più a lungo possibile senza necessariamente porre vincoli di raggiungere risultati specifici e definitivi in relazione alla patologia “in remissione”. Tutto ciò con la banale giustificazione, pure sorretta da “evidenze scientifiche”, che l’outcome degli interventi, in una patologia intesa come cronica, migliorava con il prolungarsi degli stessi. In pratica l’eroinomane che assumeva un oppiaceo sostitutivo, oppure rimaneva all’interno di una comunità, diminuiva i rischi di overdose, di contrarre malattie infettive come l’AIDS, o di delinquere per procurarsi droga.

Tutto chiaro, quindi? Dipende. Di fronte alla malattia “tossicodipendenza da eroina”, uno dei principali rimedi, la comunità, non nasceva con presupposti realmente di cura quanto, piuttosto, di supporto sociale ed educativo: l’aggettivo terapeutico serviva, probabilmente, a giustificare l’investimento di fondi per pagare le rette provenienti dal Servizio Sanitario Nazionale. L’altro, il metadone, ancor oggi, viene visto da molti con sospetto: un rimedio molto simile al male. E’ un fatto, tuttavia, che sia il trattamento sostitutivo che la comunità terapeutica fossero intesi per un periodo relativamente indefinito di “cura” quasi come se, tra gli anni ‘70 e ’80, persone sane fossero state trasformate in malati cronici prima dalle droghe e dalle operazioni mirate alla loro diffusione e, poi, dall’azione di mantenimento e controllo sociale dei Servizi di “cura”.

Per fortuna non è così. Leggere i fatti a posteriori, spesso interpretandoli in mancanza di evidenze, scivolando su piani logici diversi, può portare a poter giustificare, anche in modo fantasioso, qualunque ipotesi. Le teorie che ci parlano di complotti spesso hanno successo, soprattutto quando sembrano in grado di spiegare cose, apparentemente, inspiegabili, come il fatto che intere generazioni, possano essere attraversate da epidemie di dipendenza patologica, nonostante l’evidenza distruttiva che le accompagna. In assenza dei trattamenti sostitutivi e delle Comunità terapeutiche molte persone non sarebbero oggi in grado di raccontare la loro storia. La diffusione epidemica di eroina avrebbe prodotto e continuerebbe a produrre risultati catastrofici anche se, comunque, è difficile definirla diversamente da ciò che è stata e da ciò che potrebbe ritornare ad essere: una strage.

Bisogna però anche evitare di pensare che tutto ciò che accade nel campo della diffusione di droghe sia frutto del caso e, quindi, imprevedibile. La confluenza di situazioni diverse, non preordinate e non correlate direttamente tra loro, può creare disastri, anche in campo sanitario e sociale. Di questo bisogna tener conto così come del fatto che il sistema di intervento per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle dipendenze, sia sempre stato strutturato in modo da non avere mai risorse e capacità di impatto ottimali, anche quando il Sistema Sanitario Pubblico non aveva i problemi economici di oggi. Questo lascia aperti molti interrogativi inquietanti.

La cosa si fa ancor più interessante comparando la situazione attuale a quella degli anni 70 e ‘80.

Oggi, il concetto di “guerra alla droga” perde colpi, se non altro perché i Paesi Occidentali, all’interno di una crisi economica mondiale, si sono trovati a fare i conti della spesa. Quarant’anni di guerra alla droga hanno avuto costi non indifferenti, da tutti i punti di vista ma il fatto che i reali risultati di questa strategia e dei relativi investimenti non siano chiari, dovrebbe porre qualche domanda in più di quelle che normalmente ci poniamo.

Il numero di persone che utilizzano droghe nel mondo pare aumentato, non diminuito, anche se le sostanze lecite (tabacco, alcol e farmaci) continuano a creare più danni di quelle illecite e, naturalmente, questo dato può essere letto secondo due visioni completamente differenti. Se non fosse stata, a suo tempo, dichiarata una guerra alla droga, saremmo oggi in una situazione migliore o peggiore?

Forse, in Italia, non avremmo avuto Servizi per le tossicodipendenze diffusi su tutto il territorio e, della legge del ’75, si sarebbe maggiormente valorizzata quella parte dell’Art. 90, teso a definire che la cura e la riabilitazione dei soggetti facenti uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope era affidato ai normali   presidii   ospedalieri, ambulatoriali, medici e sociali e non a Servizi specializzati. Un problema? Vediamo.

La situazione si fa, oggi, ancor più interessante, comparata a quella di ieri perché, ora, sono gli Stati Uniti ad essere attraversati da una diffusione epidemica di eroina. Al momento non ci sono indizi di alcun genere per sospettare un uso strumentale di questa droga per cronicizzare parti della popolazione attiva. Quindi il campo di osservazione è più chiaro. Sembra che la situazione sia sfuggita di mano rispetto a una troppo facile inadeguata prescrizione di farmaci oppiacei che ha creato nuovi tossicomani e relativi incidenti e overdose

. Il tentativo di controllare maggiormente il processo prescrittivo ha visto la contemporanea introduzione sul mercato di eroina a basso costo e il resto è andato di conseguenza. Il nuovo eroinomane USA, nella maggior parte dei casi, ha iniziato la sua carriera tossicomanica con i farmaci, non con le droghe illecite. Oltre che ad una maggior disponibilità di antidoti per contrastare le overdose, gli Stati dell’America del Nord cercano di rendere più accessibili le cure per tutti anche con farmaci sostitutivi. Forse, almeno in termini di accessibilità, vorrebbero avere oggi quel sistema di Servizi, gratuito e diffuso a livello territoriale, che noi abbiamo reso attivo da tempo.

Tuttavia, ciò che è paradossale, è che contemporaneamente, nonostante queste evidenze e per qualche ragione di difficile comprensione, i media sembrano valorizzare particolarmente la comunicazione di chi pensa che la tossicodipendenza non sia una patologia. Per la precisione le posizioni sull’argomento vanno estremizzandosi: da una parte c’è chi dice che la tossicodipendenza è una malattia del cervello e, quindi, una malattia mentale (cronica e recidivante) ed, allargando il concetto, c’è chi sostiene che qualsiasi dipendenza (anche non da sostanze) sia una malattia; dall’altra c’è chi nega tutto ciò ed il concetto di malattia: spiega che la dipendenza è una condizione umana, in pratica una scelta non obbligata che può essere tranquillamente mutata, se esiste la motivazione per farlo.

Contemporaneamente ogni giorno e con una frequenza disarmante, arrivano, soprattutto da oltreoceano, notizie sugli effetti benefici di questa o di quella droga. Un discorso iniziato con gli effetti dalla cannabis che sembra, ormai, essere il rimedio per qualunque male, si va estendendo alla ketamina, all’ecstasy, all’LSD ecc. Non sono novità. La novità, piuttosto è proprio nell’imponente flusso di notizie che riguarda informazioni, un tempo, di nicchia e la loro amplificazione contemporanea: quasi come se il tutto fosse governato da una strategia.

Tentiamo un’interpretazione “complottista”?

Facile: se le droghe hanno effetti benefici … perché non usarle e, soprattutto, perché fare guerre alle droghe e organizzare servizi di prevenzione e cura della dipendenza che non è nemmeno una malattia? Se le persone avessero libero accesso alle droghe, si risparmierebbe un’enorme quantità di risorse preziose, anzi, i consumi potrebbero essere ragionevolmente tassati, risanando le casse di molti Stati. La strategia è di rendere la droga libera, guadagnandoci, e aprendo nuovi monopoli. Chi sostiene che la tossicodipendenza non è una malattia deve essere portato all’attenzione dei media, la sua voce amplificata, mentre i Servizi di cura devono essere svalorizzati agli occhi dell’opinione pubblica perché dannosi e non idonei per affrontare una situazione se non cronicizzandola. Tutti i lavori scientifici che possandroga liberao dimostrare un qualunque effetto benefico di una droga illegale devono essere prima finanziati e poi diffusi attraverso i media generalisti. Ogni opinione di chi afferma che la droga fa male va messa a confronto con il parere di chi pensa che non sia così, in modo da invalidare entrambe le opinioni. L’importante è che il pubblico sia confuso. La confusione abbassa le resistenze culturali al consumo di droghe ed anche di farmaci o altre sostanze legali che possono provocare dipendenza e questo aumenta fatturati leciti e illeciti, senza effetti collaterali, ovviamente per chi vende. Finirà la guerra alla droga e l’assistenza pubblica si limiterà essenzialmente a chi perde il “controllo di sé” non tanto per causa della droga ma, perché affetto da malattia mentale cronica.

Vogliamo, invece, un’interpretazione più ragionevole di ciò che accade? Facciamola: non è facile, però, perché, anche questa volta bisogna spiegare ciò che è difficilmente spiegabile e, personalmente, non sono sicurissimo che ciò che ho appena ipotizzato sia così lontano dal vero.

Non credo, tuttavia, che si tratti di un complotto. Piuttosto c’è, in questo momento, una convergenza di interessi che potrebbe avere una risultante molto pericolosa: ignorare il tema droga, e, più in generale, quello delle dipendenze patologiche (In Italia, ad esempio, il Governo è composto da parti che su questo tema vanno dal proibizionismo più duro all’antiproibizionismo. E’ opportuno dividere il Governo su questo tema? Evidentemente si è giudicato più opportuno il silenzio, …per ora).

La tendenza è molto pericolosa perché partendo da presupposti diversi ed anche corretti (quello ad esempio, di rivedere le strategie dell’azione repressiva internazionale sul traffico e, probabilmente, l’atteggiamento repressivo nei confronti dei consumi individuali di alcune sostanze), nel tentativo di creare un substrato di opinione favorevole e di non svegliare conflitti irrisolti all’interno delle stesse Nazioni Unite, rischia di avere effetti paradossali e indesiderati in campi completamente differenti, indebolendo gli anticorpi culturali e sociali relativi all’alterazione voluttuaria dello stato psicofisico indotto da sostanze e sminuendo l’importanza della azione di cura per chi è affetto da dipendenza patologica.

Insomma meno guerra alla droga, meno cure da parte dei Sistemi Sanitari pubblici, meno ricerca di terapie adeguate, forse più assistenza e contenimento per gli stati di cronicità psichiatrica, contemporanei al probabile aumento di consumi delle sostanze più disparate. E’ proprio questo che vogliamo?

Pensiamoci: le realtà dei nostri tempi si muovono molto velocemente. Non stiamo parlando di un indefinibile futuro ma di qualcosa che è già cominciato.

Nel frattempo, anche l’Osservatorio di Lisbona si è accorto che ci sono segnali particolari che suggeriscono di monitorare attentamente la situazione (ancora!!!) degli oppiacei e dell’Eroina che, per la prima volta, dopo tanti anni torna ad essere prodotta in Europa. – Changes in heroin trafficking into Europe are also noted. While the traditional ‘Balkan route’ remains prominent, there are signs that the ‘Southern route’ is gaining ground. (This originates in Iran and Pakistan and reaches Europe directly or indirectly via countries in the Arabian Peninsula and east, southern and west Africa). A new analysis released today on opioid trafficking from Asia to Europe points to a diversification in the products traded (e.g. morphine base and opium, in addition to heroin) and in the means of transport and routes used (see ‘Perspectives on Drugs’/POD) – .

In un mercato più libero e più ampio c’è maggiore concorrenza ed, evidentemente, le organizzazioni criminali conoscono bene i prodotti che possono “fidelizzare” i clienti per anni. Forse non hanno letto attentamente le dichiarazioni di chi dice che la tossicodipendenza non esiste e si muovono di conseguenza: agendo in conformità a quelle che qualcuno definirebbe errate e strumentali credenze … preparano il futuro, come è già successo nel Nord America.

Inquietante? Molto.

Riccardo C. Gatti