Silenzio Stanlio Olio

Da chi si rovina col gioco d’azzardo a chi si spacca le dita messaggiando, da chi è stravolto dal sesso compulsivo a chi spende tutto con lo shopping senza riuscire a farne a meno. Oggi, quando si parla di dipendenze,  si parla di tutto. Dai topi che in setting sperimentali sembrano drogarsi con una nota marca di biscotti alle dipendenze dallo zucchero, dalla pasta o da altri cibi o dal lavoro, tutto è ammesso.
Ma … non si parla più di droghe. La questione droga  è sparita dalle agende e dalle priorità.
Da un punto di vista teorico la situazione non è negativa. Non assistiamo frequentemente a dibattiti politici sulla celiachia, sul morbillo, sull’insufficienza cardiaca o su altre malattie. Perché farlo, quindi, sulle patologie correlate all’uso di droghe. Le grandi trattazioni sul tema degli anni passati erano sempre legate ad emergenze ma non si può vivere una situazione di emergenza continua. Anche gli allarmi creano assuefazione.
Ci siamo accorti che le dipendenze patologiche gravi non riguardano solo le droghe.  Nessuno ha più voglia di dibattiti vecchio stile tra proibizionisti ed antiproibizionisti. I pochi rimasti a trattare l’argomento in salotti televisivi di importanza secondaria, tra pubblicità di materassi, serramenti  e vasche da bagno per anziani sembrano parlare di cose che non appartengono alla loro esperienza ma a quello di qualcun altro. Chi fa i conti con lo share o con il consenso degli elettori capisce bene che è meglio girare alla larga dalla questione ed in presenza di coalizioni che hanno in sé anime molto variegate, il silenzio appare “politicamente corretto”.
Purtroppo ci sono nodi non risolti che, invece, sarebbe meglio affrontare.

1) Il nostro sistema legislativo, ad esempio, seppur con successive modifiche, risale al 1975. E’ stato pensato in scenari completamente diversi dagli attuali in cui le droghe erano poche, meno diffuse ed in cui l’uso delle stesse, spesso, corrispondeva a situazioni di “devianza” e di dipendenza patologica. Oggi molti soggetti che usano droghe non sono dipendenti e tantomeno “devianti”. Rischiano patologie anche gravi, conseguenti ai loro consumi, ma nella grande maggioranza dei casi, non vorrebbero avere a che fare con comportamenti illeciti. Esiste anzi un progressivo spostamento dal consumo di sostanze illecite, definite, appunto, droghe, a sostanze lecite, dalle più note quali l’alcol, alle più nuove appositamente “disegnate”, ai farmaci di vario genere.

2) Le azioni di prevenzione e i Servizi di cura, sebbene in continua trasformazione, risentono di una impostazione antica. Il sistema, nel suo complesso, va sempre più restringendo il suo campo di intervento alle situazioni di cronicità, non di rado con componenti psichiatriche, ed a quelle in cui esiste un procedimento amministrativo o penale in corso. E’ così strutturato per intervenire su una parte del tutto che si va facendo relativamente sempre più piccola rispetto al fenomeno complessivo. I SERT (Servizi Tossicodipendenze Pubblici) sono in grado di curare ma sono stigmatizzati almeno quanto i “tossicodipendenti” che dovrebbero “contenere”.  Vivono una difficile identità indifferenziata a cavallo tra la cura, assistenza alla cronicità e controllo sociale che rischia di strozzarli. Con sempre meno personale, in virtù del contenimento della spesa, vivono la difficoltà di conciliare sempre più adempimenti, sempre più pazienti cronici da seguire nel tempo con la contemporanea costruzione nuove modalità di azione. Le Comunità Terapeutiche, dal canto loro, dovrebbero educare, curare e riabilitare con rette giornaliere, rimborsate dal Servizio Sanitario Nazionale, che a malapena permetterebbero di pagare un soggiorno in un bed & breakfast. Viste le risorse disponibili spesso fanno miracoli, ma è questo di cui abbiamo bisogno?

E’ chiaro che affrontare la questione droghe e dipendenze da un diverso punto di vista legislativo e di intervento per essere adeguati ad affrontare fenomeni di consumo più vasti e variegati di un tempo richiederebbe molte energie e lo sviluppo di accordi e consensi attualmente tutti da costruire.
Abbracciare il problema nella sua multiformità  sarebbe una azione di grande interesse pubblico ma poiché la complessità non è spiegata e compresa, qualsiasi azione difficilmente troverebbe consenso e supporto. Per questo, nessuno sembra tentarci. Così non si parla più di droga. E’ un circolo vizioso anche perché nessuna comunità sociale è in grado di attrezzarsi culturalmente per affrontare un pericolo, se non lo riconosce come tale e c’è chi lavora attivamente ed investe per evitare che questo avvenga. Nella società contemporanea nessun prodotto interessa i consumi di massa senza una efficace azione di marketing. Gli interessi in gioco sono enormi. Per questo, dopo un periodo di sbilanciamento legato anche alla situazione economica, mercati vecchi (legati all’illecito), compresi quelli legati all’eroina, sembrano gradualmente rifiorire a fianco di mercati nuovi. Le cronache locali incominciano a popolarsi di casi di overdose; i pronto soccorso vedono sempre più persone che assumono sostanze sconosciute. L’abuso di farmaci, anche oppiacei, rimane un grande interrogativo, mentre siamo bombardati da notizie che ci parlano degli effetti positivi o addirittura terapeutici di sostanze lecite o illecite che, guarda caso, possono essere utilizzate a scopo “ricreativo” e per l’alterazione voluttuaria dello stato mentale.

Il tutto fino alla prossima emergenza quando, ancora una volta, diremo di essere arrivati tardi ma non ne capiremo il perché.  Parleremo di droga ma saremo indirizzati, ancora una volta, a focalizzare solo una parte del problema. Così potrà continuare lo sfruttamento commerciale della nostra intrinseca fragilità. Pochi guadagnano tanto: molti perdono. Questa è la regola. Pensiamoci  è già successo con le sigarette, con l’eroina, con l’ecstasy con la cocaina, forse meno con l’alcol di cui siamo tra i più grandi produttori, e, in tempi più recenti, sta succedendo con il gioco d’azzardo. Succederà ancora. Non ha mai smesso di succedere.

Riccardo C. Gatti 11.2.2015