Sul sito “Una parola al giorno” leggo il significato di stigma.
stìg-ma
SIGNSegno,
marchio
dal greco: stigma, puntura, marchio.

È un segno di grande valore, di grande peso – in positivo e in negativo, anche se è preponderante in questo senso. Lo stigma è il segno che diparte, che separa: lo stigma di una malattia, lo stigma di un vizio, lo stigma di un gruppo, più che segni veri sono marchi apposti da un contesto sociale con particolare attitudine alle discriminazioni e alle emarginazioni, incapace di trovare un momento di comprensione e sintesi delle sue parti.

Così si potrà arrivare a stigmatizzare una tendenza sessuale diversa dalla propria come laida e deviante, o davanti a un simbolo anche solo lievemente politico che non ci piace si stigmatizzerà la persona intera che lo porta.

Lo stigma, per essere apposto, ha bisogno di un giudice, ma non esistendo questo giudice che abbia il potere di farlo, ogni stigma negativo diventa un’idiozia da psicologia di branco.
Mentre per onorare ed encomiare è sempre bello trovare stigmi che innalzino e celebrino, seppur dolorosi. A nessuno sono venute in mente le stigmate di Cristo?

Sul sito Quotidiano sanità.it leggo, invece, a firma di Claudio Mencacci, Past President Sip,  “Bisogna investire di più in salute mentale, vincolare le risorse destinate, fissare standard minimi di personale, dedicato poiché la contrazione delle risorse ha avuto un impatto maggiore sull’assistenza psichiatrica che in altre discipline, nelle quali la tecnologia ha potuto sopperire in parte al fattore umano”. Il testo appare in un articolo a proposito delle proposte degli psichiatri a 39 anni dalla legge Basaglia del 1978. Il testo appare subito dopo una parte in cui si propone, tra le altre cose di mettere in atto campagne di sensibilizzazione anti stigma nei confronti della depressione e delle patologie gravi come la schizofrenia

Anche nel trattamento delle dipendenze patologiche la tecnologia non ha potuto sopperire, almeno in parte, al fattore umano. Per curare una dipendenza servono ancora progetti individualizzati e multidisciplinari dove, contemporaneamente, intervengano medici, infermieri, psicologi, assistenti sociali ed educatori. Esistono programmi strutturati ed equipe dedicate ma non esiste il trattamento standard che va bene per tutti. E’ un lavoro attivo, non passivo in cui chi cura e chi è curato debbono lavorare assieme.

Per un insieme di ragioni i tossicodipendenti e, di conseguenza, tutti coloro che hanno una dipendenza patologica, atteggiamenti di addiction o uso di droghe, sono stati stigmatizzati negativamente. Se la dipendenza, infatti, viene considerata, a tutti gli effetti, una malattia, l’atteggiamento nei confronti di chi è affetto da questa malattia è, comunque, dequalificante.

Un esempio? Se nei bagni del Parlamento si trovano residui di droghe, ci si può costruire una trasmissione televisiva che grida allo scandalo e, dall’altra parte, ci si difende dicendo (tra l’altro) che i bagni sono aperti anche agli esterni. Non si dice, però, la cosa più semplice: anche nel Parlamento come nel resto della società civile, è possibile che ci siano persone che usano droghe. Alcune di queste non possono farne a meno perché sono tossicodipendenti. Corrono dei rischi gravi per la loro salute e, in parte per quella degli altri: in alcuni casi possono essere alterate dall’uso di sostanze e questo può far danni. La situazione non è ristretta alle aule del parlamento ma riguarda tutti i luoghi che anche noi, normali cittadini, frequentiamo (dalle nostre case, agli ospedali, dai luoghi del divertimento ai luoghi di lavoro, dagli spazi aperti delle strade a quelli chiusi delle carceri ecc.). In dieci anni in relazione all’uso di sostanze varie, legali ed illegali (la maggior parte sono legali nel nostro Paese, come alcol e tabacco) muoiono nel mondo circa 100 milioni di persone; altre persone ne ricevono gravi danni diretti o indiretti (si pensi al fumo passivo o agli incidenti stradali). Quindi non si tratta di situazioni marginali o poco diffuse.

Condivido, quindi, il commento di “una parola al giorno” quando afferma “Lo stigma, per essere apposto, ha bisogno di un giudice, ma non esistendo questo giudice che abbia il potere di farlo, ogni stigma negativo diventa un’idiozia da psicologia di branco”.

E’ una idiozia perché lo stigma spinge verso il mantenere sommersa e nascosta una situazione che riguarda molti di noi e, questo atteggiamento, a sua volta, provoca altre decisioni conseguenti che non fanno altro che peggiorare il tutto. E’ una idiozia perché consideriamo la tossicodipendenza una malattia e, quindi, una cosa che può colpire chiunque ma poi ci stupiamo che ci siano parlamentari che usano droghe perché, in fondo, consideriamo il tutto una malattia disdicevole. E mentre siamo preoccupati di che cosa dirà in parlamento chi è sotto l’effetto di droghe, viaggiamo sereni senza preoccuparci più di tanto di cosa ha assunto chi guida il TIR dietro di noi, l’autobus su cui siamo saliti oppure fa la baby sitter ed è a casa con i nostri figli.

Nel frattempo chi gestisce la sanità, ed è persona come tutti gli altri rispetto allo stigma, risponde alle leggi finanziarie cercando di ridurre la spesa pubblica ma, probabilmente, non pensa a quello che sostiene lo Psichiatra Mencacci e cioè che la contrazione delle risorse ha avuto un impatto maggiore in questi settori rispetto ad altri della sanità, nelle quali la tecnologia ha potuto sopperire in parte al fattore umano. Questo anche perché, se gli articoli sulla droga in Parlamento fanno ancora notizia, altre situazioni pur dichiarate, magari sui siti di informazione locale, lasciano indifferenti. Ne riporto una anonimizzandola:

“Spesso non riusciamo a fare abbastanza ma bisogna andare avanti ed è anche per questo che il Sert è sempre promotore di iniziative con le amministrazioni comunali, cercando di coinvolgere pure le forze dell’ordine, con l’obiettivo di puntare sempre più sulla prevenzione”. Droga, alcool e tanto altro, ma c’è spazio anche per “nuove mode”. Infatti, “C’è gente che ormai si sta rovinando con la ludopatia. A questo proposito, però, abbiamo le armi spuntate perché non disponiamo più dello psicologo che è una figura fondamentale per le visite psicodiagnostiche.“

Non importa capire dove si verifica questa situazione. Importa, piuttosto capire che è molto diffusa. I Servizi di cura per le tossicodipendenze sono in sofferenza come tutti i Servizi Pubblici che si occupano di salute: questo significa, però, che in diversi Servizi Pubblici mancano ormai figure professionali indispensabili per diagnosticare e curare e, quando non mancano, sono “carenti”: non ce ne sono a sufficienza per curare le persone che si presentano ai Servizi. La situazione è in peggioramento. Spesso vengono effettuate manovre organizzative di fusione, ottimizzazione, incorporamento, integrazione e razionalizzazione dei Servizi (ognuno usa i nomi che più gli piacciono) che non sono un rimedio quanto, piuttosto, il tentativo di tirare ulteriormente una corda logora e che sta per spaccarsi.

Ho una idea generale sul perché questo accada e la potete leggere a questo link, ma sono anche sicuro del fatto che lo STIGMA conti, anche perché, in questo caso è molto forte. La riprova di questa forza è nel fatto che, a differenza di altri malati, i dipendenti patologici non hanno associazioni potenti, in grado di sostenerne i diritti. La maggior parte delle dipendenze patologiche non sono collegate ad atti illeciti ma l’utilizzo di droghe, sebbene non sanzionato per uso personale, rimane un illecito. Il “drogato” quindi è sempre considerato un po’ matto e un po’ criminale e tutti i dipendenti patologici contraggono questo stigma, anche se dipendono da cose che sono lecite e regolarmente pubblicizzate in TV.

Quindi chi è affetto da una dipendenza patologica, non solo contribuisce ampiamente ai proventi dei mercati leciti e illeciti che hanno contribuito alla sua condizione e, quindi, al PIL del Paese, ma deve anche stare zitto, perché se si dichiara, perde ulteriori diritti e possibilità e, se non è un parlamentare, difficilmente trova qualcuno disposto a sostenerlo.

Bisognerebbe che i tossicodipendenti ricchi e potenti uscissero allo scoperto anche per i loro “colleghi” meno economicamente fortunati, oppure che, questi ultimi, avessero la voglia e la forza di affrontare uniti una battaglia culturale per riottenere i diritti civili che hanno, anche rispetto alla cura. Bisognerebbe, cioè, che qualcuno riuscisse a spezzare un cerchio che è fatto di interessi economici di pochi (che i dipendenti patologici finiscono per sostenere ampiamente prima di rovinarsi completamente dal punto di vista psico-fisico) e dell’idiozia di molti.

Si tratta di quegli “idioti” che magari hanno stigmatizzato tutta la vita i “tossici” e, poi sbiancano in volto e si sentono svuotati quando improvvisamente si accorgono che la dipendenza patologica ha colpito loro stessi o una persona cara. A quel punto vorrebbero servizi efficienti, sedi adeguate, possibilità di scelta per i luoghi di cura … insomma tutte quelle cose che chiunque vorrebbe per un malato grave.

Già oggi si fa fatica a trovare situazioni di cura ed assistenza adeguate (qualitativamente potrebbero esserlo; quantitativamente le risorse latitano)  ma…  le troveranno nei prossimi anni? Se il cerchio interessi economici – idiozia non si spezza … non credo. E il danno lo stiamo già pagando tutti da tempo (pensiamo solo ai soldi che finiscono a chi vende droghe ed a chi sostiene comportamenti a rischio nel gioco e nel consumo di alcol e tabacco e ancora a chi non previene l’abuso di farmaci ed a tutto ciò che in tema di sicurezza, corruzione, incidenti, invalidità, cronicità e malattia ne consegue).

Certo anche le droghe lecite o illecite ed i comportamenti additivi generano ricchezza e posti di lavoro ma, visto che lo fanno con i soldi nostri … forse ci sarebbero investimenti migliori in grado di produrre ricchezza ma non pagati con lo stigma e la disperazione.

Pensiamoci o il prezzo da pagare sarà sempre più alto.

Riccardo C. Gatti