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Apparentemente tutto si spiega così: esistono problemi più importanti della diffusione di droghe e delle dipendenze patologiche e, quindi, è normale che della questione si parli poco. A livello internazionale l’attenzione è puntata sul tema terrorismo e sui possibili conflitti collegati. A livello nazionale, nel Governo ci sono parti “proibizioniste” e “antiproibizioniste” che, ovviamente, non è opportuno che entrino in conflitto. Dunque … silenzio, oppure valorizzazione di tutto ciò che può essere utilizzato in modo rassicurante sul tema, anche a costo di far identificare, a livello mediatico, il concetto di dipendenza con il solo gioco d’azzardo patologico, lasciando droga, alcol, sigarette e farmaci sullo sfondo, in modo sfumato.

Dicevo che si tratta di una spiegazione tanto diffusa quanto inconsistente. Prima di tutto non è vero che a livello internazionale ci sia lo stesso silenzio sul tema. Negli USA, ad esempio, la questione del nuovo boom della diffusione di eroina sta influenzando addirittura la campagna per la presidenza degli Stati Uniti e l’argomento dell’abuso di farmaci da prescrizione rimane di primo piano. Ogni giorno leggo articoli provenienti da diverse parti del mondo che approfondiscono l’argomento droga, ovviamente orientato localmente, e che testimoniano un impegno culturale e operativo che, da noi, sembra scomparso. Con qualche brivido osservo come in molte nazioni, anche avanzate, si stia arrivando oggi a cose che da noi sono consolidate da anni come, ad esempio, la disponibilità del Naloxone (serve per le overdose da oppiacei) in farmacia senza necessità di ricetta oppure l’esistenza di Servizi di cura specializzata, di facile accessibilità e diffusi sul territorio.

Sarebbe facile, a questo punto, concludere che, nel nostro Paese non è più necessario trattare con priorità la questione droghe e dipendenze, perché ci siamo dotati, a suo tempo, di modalità di intervento avanzate che hanno permesso di contenere i fenomeni correlati e di avere oggi un sistema di intervento consolidato ed efficace. Insomma, usciti dall’emergenza, la situazione sarebbe stabile e, quindi, a regime, perché dare al tutto un’attenzione particolare? A ciò colleghiamo che, al di fuori di un’emergenza, difficilmente si ottiene consenso parlando di quest’argomento, per capire perché si tornerà forse a parlare di queste cose, solo quando si discuterà della proposta di legge sulla legalizzazione della cannabis: i fronti opposti solleveranno stendardi e suoneranno tamburi di guerra ma nulla di più. Con un minimo di accortezza si riuscirà a spostare il tutto a dopo l’assemblea UNGASS 2016, la speciale sessione delle Nazioni Unite sul problema mondiale della droga, per allinearsi alle decisioni prese di conseguenza (se il lettore ha qualche interrogativo sul perché non si sia attuata la Conferenza Nazionale prevista dalla legge ogni tre anni per valutare l’impatto della legislazione sul fenomeno e per riferirne al Parlamento, ora ha una risposta).

Eppure il tutto, come dicevo, non è convincente perché, se così fosse, da qualche anno non sarebbe in atto un’azione continua e diffusa su tutte le Regioni che vede una “riorganizzazione” proprio di quel Sistema d’intervento pubblico che, nato un po’ dal nulla tra gli anni ’70 ed ‘80 del secolo scorso, era stato consolidato, seppur con una certa difficoltà, negli anni ’90. Il massimo livello di questo consolidamento si era verificato con l’istituzione dei Dipartimenti per le Dipendenze. Il Dipartimento è la massima forma organizzativa e gerarchica del Servizio Sanitario: quando più Strutture Complesse sono aggregate, appunto, in forma dipartimentale. Per spiegare ad un profano, il Direttore di Dipartimento è la massima carica di un determinato settore, al di sopra dei Direttori di Struttura Complessa (una volta si chiamavano Primari) e, ovviamente, dei Responsabili di Struttura Semplice ecc.. Oggi i Dipartimenti per le Dipendenze sono gradualmente in “estinzione”, vuoi perché vengono fatti confluire nei Dipartimenti di Salute mentale, vuoi perché, più in generale, è necessario alleggerire i Sistemi gerarchici della sanità pubblica che, dal punto di vista erogativo, saranno sempre meno “pesanti” in futuro.

Tuttavia il risultato complessivo, unito alle sempre presenti impossibilità di rimpiazzo del personale legate al contenimento della spesa, è che il Sistema Pubblico di intervento sulle dipendenze patologiche perde gradualmente forza, all’interno del più vasto Sistema Sanitario, diminuisce la capacità di costruire progetti realmente multidisciplinari e individualizzati (troppi pazienti per ciascun operatore) e sembra gradualmente concentrare le sue energie su pazienti eroinomani cronici in terapia sostitutiva o su soggetti che ricorrono al SERT conseguentemente ad azioni amministrative (Prefetture) o penali (misure alternative alla detenzione) che li riguardano.

Il tutto avviene nel silenzio generale perché, se la questione droga, nel suo complesso, non è più considerata una priorità, anche chi se ne occupa diventa meno interessante. Probabilmente, e questo è il problema, non si è riusciti ancora a declinare il passaggio concettuale tra droga = emergenza e ordinario intervento del Sistema Sanitario sulle dipendenze patologiche (anche non da sostanze) e sull’uso improprio di sostanze illecite e lecite (farmaci, alcolici e tabacco compresi).

L’evidenza di questa difficile declinazione è l’intervento sul gioco d’azzardo patologico. A tutti gli effetti considerato una dipendenza, la cui assistenza non è mai stata considerata compiutamente un livello essenziale del Servizio Sanitario ma di cui i Servizi per le Tossicodipendenze si sono fatti carico a tutti gli effetti, senza che, salvo eccezioni, una risorsa in più arricchisse la loro dotazione organica.

Se la tendenza attuale non verrà corretta il destino dei Servizi Tossicodipendenze – Ser.T., o Ser.D. per chi li considera Servizi per tutte le Dipendenze patologiche (non solo le tossicodipendenze) è abbastanza chiaro: occuparsi sempre più di situazioni croniche con una domanda di intervento sproporzionata rispetto alle risorse disponibili, abbandonando una reale possibilità di incisivo intervento per evitare la cronicità, sia a livello preventivo che a livello di diagnosi precoce che di trattamento ad alta densità di cura. Insomma, una dipendenza patologica ci mette anni a diventare tale ma il nostro sistema di cura sembra sempre più strutturarsi per intervenire dopo e non prima che questo si sia verificato.

Oltre al difficile passaggio tra droga = emergenza ed ordinario è anche ostacolato da una serie di interessi commerciali che si giocano sul campo. La prevenzione e la stessa strutturazione di interventi dedicati all’abuso ed alla dipendenza da quelli che, a tutti gli effetti, sono anche prodotti commerciali, danno fastidio a molti, sebbene per motivi diversi. Ci sono, ad esempio, molte persone che hanno situazioni di dipendenza da farmaci. Sarebbe interessante capire quanto rende il mercato a loro dedicato. E’ chiaro che insistendo particolarmente sull’informazione e sulla prevenzione, rispetto ai farmaci che possono dare dipendenza, si ostacolerebbe anche la disponibilità alla cura da parte di chi ne avrebbe bisogno (e della dipendenza ha paura). Siamo primi nel mondo nella produzione di alcolici: possiamo insistere particolarmente nella prevenzione in questo ambito senza danneggiare l’immagine di questo tipo di prodotti? Il discorso potrebbe allargarsi ulteriormente ma l’induzione ai consumi (di qualunque prodotto) e la fidelizzazione ai consumi stessi, sono un cardine della nostra costruzione economica e nessuno vuole rischiare che consumatori diventati critici, oltre che consapevoli, si orientino diversamente nei loro stili di vita. Nessuno vuole rischiare che il suo prodotto sia associato al concetto di malattia. Da qui la spinta alla nascita di servizi “non connotati” e ad una prevenzione che educando “alla salute” sia poco incisiva sull’evitamento di alcuni prodotti.

Nello stesso tempo la definizione che le dipendenze patologiche sono parte dell’intervento sulla salute mentale rafforza nella popolazione generale il concetto che chi ne è affetto ha un problema psichiatrico, cosa che tecnicamente ha le sue ragioni ma, così rappresentata, rassicura rispetto ai consumi di tutti coloro che non si ritengono matti e ritarda l’accesso ai servizi di tutti coloro che non pensano che la soluzione ai loro problemi sia data dallo Psichiatra. Irragionevoli risultati di un doppio stigma verso la tossicodipendenza e la follia? Può essere. Probabilmente è così, ma il risultato non cambia. Il pericolo conseguente all’interno del Servizio Sanitario Pubblico può essere quello di costruire Servizi Tossicodipendenze indirizzati soprattutto a persone con dipendenze patologiche croniche che hanno anche altri problemi mentali e … di lasciar fuori tutti gli altri, oppure di inviarle in Servizi generalisti “non connotati” che, tuttavia, non avrebbero la specializzazione e l’esperienza tecnica per intervenire sul problema specifico.

Non è una situazione semplice. Se consideriamo le risorse disponibili per il Servizio Sanitario Pubblico vediamo che sono sempre più esegue, considerando i costi sempre più grandi di particolari tipi di farmaci e di attrezzature per la diagnostica sofisticata. Ciò di cui ci sareb
be bisogno è un sistema di intervento sulle dipendenze patologiche maggiormente differenziato in una rete di poli a diversa specializzazione (non solo di tipo strettamente sanitario) ed intensità di cura, ma questo richiederebbe investimenti che, per ora, nessuno sembra disponibile a fare. Contemporaneamente la cura delle dipendenze patologiche dovrebbe essere distribuita su ambiti diversi, dalla medicina generale, ai consultori familiari, all’ospedale, all’interno di interazioni fattive e di competenze distribuite e condivise che, ad oggi, non ci sono.

Quindi, lo ripeto ancora una volta, il rischio è che il Sistema Sanitario sempre meno si occupi di coloro che avendo comportamenti che preludono ed una dipendenza patologica non sono cronici e non hanno problemi mentali e che i Ser.T. diventino gradualmente solo i “dispensari” di farmaci per specifiche categorie o gli Enti certificatori e di controllo per chi ha problemi legali.

La domanda potrebbe essere: e di tutti gli altri, prima che diventino cronici e con problemi legali, chi si occupa? La risposta potrebbe essere che, in fondo, mai ce ne si è occupati: perché farlo ora?

E’ una bella domanda ma solo se accostata alla ragioni per cui il Servizio Sanitario ha incominciato ad occuparsi di dipendenze patologiche e fenomeni correlati: il danno che viene provocato non solo al singolo, ma alle persone che vivono con lui, all’ambiente di lavoro ed al connettivo sociale. Si tratta di danni ingenti e di costi, anche per le patologie correlate, che sono probabilmente molto superiori a quelli necessari per garantire interventi precoci, efficaci ed efficienti.

Purtroppo la politica di questi anni è stata decisamente miope sia per guardare (troppo) avanti, sia per guardarsi intorno e la stampa è troppo distratta per accorgersi che certi fenomeni, che pure osserva, non sono solo lo spunto per un titolo ma richiederebbero approfondimenti che non vengono fatti. Le Regioni combattono prima di tutto con problemi di bilancio e, a differenza di altri settori, chi ha problemi di dipendenza patologica è troppo stigmatizzato per costituirsi in associazione e far valere i suoi interessi rispetto alla cura.

Ma se è vero che avere un intervento per le dipendenze patologiche specializzato accessibile ed efficace sarebbe interesse di tutti e un investimento, anche per evitare maggiori danni futuri, in questo momento, restringendo il campo, stiamo sbagliando strada. Saremmo sciocchi e imprevidenti ad aspettare una prossima emergenza per rendercene conto.

Per andare sul concreto, provate a pensare ad un problema nella vostra famiglia, non in quella degli altri, e fatevi delle domande su ciò di cui avreste bisogno. Chiedetevi se c’è e, magari, se vi occupate di politica o di programmazione, se ci sarà.

Poi datevi delle risposte.

Riccardo C. Gatti